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di Franco Paolinelli

poppi
Poppi – Arezzo (foto A. Ferrini http://www.ilbelcasentino.it)

Il piccolo paesello, con le sue poche case arroccate sul monte, la piazzetta del centro storico della città…, come anche l’insieme dei vigneti sulla collina, la fattoria tradizionale…, ci fanno pensare a contesti “assestati”. Ovvero sensati nella loro configurazione urbanistica, paesaggistica, economica, culturale…, in quanto messi alla prova da secoli d’evoluzione, quindi, per questo validati, funzionali alla sopravvivenza ed alla qualità della vita umana, di una data epoca. E forse, anche per il presente.

Li percepiamo, per questo, anche se solo per una visita occasionale, come “belli” e ci danno piacere. Vediamo, infatti, in quel contesto la corrispondenza tra abilità umane, esigenze di vita ed assetto raggiunto. Ci dà piacere percepire l’esistenza di una comunità assestata e desidereremmo farne parte, vivere quella condizione di assetto, di armonia.

In altre parole, l’assetto raggiunto determina la disponibilità del “bello”, con il suo corollario del “buono”. Questo equilibrio determina la disponibilità di un’”esternalità positiva”, che può essere monetizzata con la fruizione del contesto, ovvero con il turismo, nelle sue varie declinazioni.

Ma, perché l’assetto e l’armonia persistano la comunità dovrebbe, forse, continuare a vivere la propria vita, i propri mestieri, la propria identità…, producendo quei paesaggi, quegli assetti urbanistici, quelle configurazioni socio culturali che determinano l’esternalità positiva stessa?

Se si pone questa condizione, l’ospitalità dovrebbe essere offerta nella quantità che non modifica la vita della comunità che la offre?

Per il mondo rurale, il “Legislatore”, si è posto il problema di questi limiti in termini giuridico-fiscali. È stato specificato, infatti, che le attività di servizio turistico, culturale, sociale, didattico…, vale a dire la multifunzionalità, possono essere proposte nelle aziende agricole, ma che queste rimangono tali finché le attività siano “connesse”, ovvero non superino i limiti quantitativi, che snaturerebbero il contesto rurale, distruggendo l’armonia da cui l’esternalità positiva promana.

Possiamo ipotizzare che il suo ragionamento abbia una base culturale? Che abbia voluto salvaguardare sia l’imprenditore, nel conservare il suo assetto consolidato, sia il consumatore, tutelando “il bello ed il buono” che da quell’assetto vengono.

Conosciamo, infatti, molti casi virtuosi in cui produzione primaria, servizi e paesaggio si coniugano e si arricchiscono vicendevolmente. Ma, ce ne sono altri in cui i limiti descritti sono stati ampliamente superati, trasformando, ad esempio, agriturismi in fabbriche di pasti….

Peraltro, con il turismo di massa, questi superamenti dell’armonia non hanno avuto luogo solo in ambito rurale, ma anche in ambito urbano, costiero…

Infatti, i viaggi di fine Ottocento, del Grand Tour, come anche le villeggiature con l’ombrellino, e poi le scoperte delle élites… hanno, gradualmente lasciato il posto ai torpedoni e successivamente ai pullman.

Aziende, paeselli, centri storici, canali e spiagge sono stati invasi da gruppi organizzati o grattacieli naviganti.

Il fenomeno genera alcune domande: Del bello di cui si sarebbe potuto godere, dell’armonia di cui si sarebbe potuto far parte c’è ancora traccia? Di cosa fruiscono i turisti di massa? Hanno solo bisogno del selfie con il villaggio alle spalle per certificare l’avvenuta fruizione?

Si rendono conto che la bellezza di quel villaggio, ormai prostituito alla loro domanda, è persa nel momento in cui il villaggio è diventato teatro di sé stesso?

Capiscono che i suoi abitanti recitano, in costume, l’economia e la cultura che determinarono l’armonia ed il bello del villaggio stesso, mentre di fatto vivono vendendo pasti e posti letto a “pacchetto” ?

Ma, tant’è. Nella redistribuzione dei ruoli dell’economia globale c’è necessità anche di turismo di massa e forse di “agro-teatro” e l’Italia, date le mitiche “bellezze”, è fisiologicamente candidata a questo ruolo.

Peraltro, in diverse filiere agro-alimentari, come le truffe insegnano, l’importanza della confezione è diventata superiore a quella del prodotto. L’immagine più rilevante della realtà.

Anche noi operatori ed esperti avremo, per la recita, un apposito costume?

E comunque, in un Pianeta che va verso i 10 miliardi di abitanti, per un turista che capisce la farsa, ce ne sono mille pronti a venirsi a fotografare con l’antico romano ed a bere il vino della bottiglia ben etichettata. Ma per quanto?

L’impatto non solo ambientale, ma anche sociale e culturale che ciò comporta ci deve far riflettere sulla necessità di definire un limite, perché questo ruolo dell’Italia sia utile alla crescita culturale ed alla sostenibilità globale del Pianeta e non sia un ulteriore fattore di catastrofe.

Franco Paolinelli è laureato in Scienze forestali presso la facoltà di Agraria di Firenze. Si occupa di verde urbano, con particolare attenzione a due temi: alberi in città ed agricoltura urbana, argomenti che ha approfondito con un Master nell’1984 presso la Faculty of Forestry di Toronto ed un altro, nel 2006, presso la Facoltà di Scienze Agrarie nell’Ateneo della Tuscia. Ha avviato, e dirige, la rete di operatori S.A.P. (Silvicultura Agrocultura Paesaggio) e il progetto “Valorizzazione del Legno degli Alberi di Città”. Sito: www.citta-campagna.it

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