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Cof­fea ara­bi­ca e Cof­fea ca­ne­pho­ra (ro­bu­sta)

di Pie­tro Si­mo­ni

Coffea arabica
Cof­fea ara­bi­ca L.

Pren­dia­mo un caffè!: 6,5-7 gram­mi di caffè ma­ci­na­to, pres­sio­ne del­l’ac­qua a 8-9 at­mo­sfe­re, tem­pe­ra­tu­ra del­l’ac­qua 88-92 gradi, 25-30 se­con­di di con­tat­to tra acqua e caffè ma­ci­na­to, 25-30 cc. di estrat­to in taz­zi­na di por­cel­la­na bian­ca calda, 3-4 mm di crema sul caffè. Il caffè espres­so è ser­vi­to. Si beve su­bi­to, caldo, in uno o due sorsi e senza zuc­che­ro. Que­ste sa­reb­be­ro le “re­go­le” per l’e­spres­so al­l’i­ta­lia­na. Poi, cia­scu­no farà il caffè come me­glio crede.

In Ita­lia il con­su­mo to­ta­le di caffè è di circa 5,4 Kg pro ca­pi­te e si cal­co­la che ogni gior­no si con­su­mi­no circa 10 mi­lio­ni di espres­si al bar. Vi sono paesi dove si con­su­ma molto più caffè che in Ita­lia: il Lus­sem­bur­go con 16,7 kg. (!), la Fin­lan­dia con 12 Kg, la Da­ni­mar­ca e la Sve­zia con 8 kg e l’ Olan­da con 10 Kg pro ca­pi­te. La pro­du­zio­ne to­ta­le di caffè nel 2010 è stata di circa 7 mi­lio­ni di T: l’A­me­ri­ca La­ti­na ne ha pro­dot­ti 4.2 mi­lio­ni, con 2 mi­lio­ni di T. pro­dot­te dal Bra­si­le (quasi un terzo della pro­du­zio­ne mon­dia­le), se­gui­to dalla Co­lom­bia con circa 700 mila T., dal Gua­te­ma­la con 300 mila T. e dal Me­xi­co con 280 mila T. In Asia si sono pro­dot­ti 1,7 mi­lio­ni di T. prin­ci­pal­men­te in In­do­ne­sia con 550 mila T. e in Viet­nam con 460 mila T. In Afri­ca la pro­du­zio­ne, sem­pre nel 2010, è stata di 1,1 mi­lio­ni di T., con 200 mila T. pro­dot­te dal­l’U­gan­da, e 150 mila T. della Costa d’A­vo­rio. Spes­so i dati sul com­mer­cio mon­dia­le ven­go­no in­di­ca­ti in “sac­chi” del peso di circa 60 Kg: il com­mer­cio mon­dia­le to­ta­le cor­ri­spon­de a circa 110 mi­lio­ni di sac­chi. In Eu­ro­pa, la Ger­ma­nia è il prin­ci­pa­le im­por­ta­to­re, con 8,6 mi­lio­ni di sac­chi se­gui­ta dal­l’I­ta­lia con 5,8 mi­lio­ni di sac­chi.

Ori­gi­ni e dif­fu­sio­ne

La pian­ta del caffè è ori­gi­na­ria del­l’E­tio­pia e da que­sta re­gio­ne si è dif­fu­sa in Ara­bia e Yemen. Il ter­mi­ne “caffè” de­ri­ve­reb­be dal­l’a­ra­bo “qahwa” (che vuol dire “lo sti­mo­lan­te”), di­ven­ta­to poi “qahve” e fi­nal­men­te “caffè”, op­pu­re de­ri­ve­reb­be dalla re­gio­ne etio­pe di “Kaffa”. I primi ri­fe­ri­men­ti certi ri­sal­go­no al­l’an­no mille con una de­scri­zio­ne del caffè da parte del me­di­co arabo Avi­cen­na (Ibn Sina, 980-1037) che lo uti­liz­za­va come me­di­ci­na. Il caffè ha avuto una prima dif­fu­sio­ne gra­zie agli Arabi che tra il 1300 e il 1400 lo dif­fu­se­ro in tutto il mondo isla­mi­co, come so­sti­tu­to di be­van­de al­co­li­che vie­ta­te dal Co­ra­no e come be­van­da ener­giz­zan­te e sti­mo­lan­te.

Tra leg­gen­da e sto­ria. Un rac­con­to po­po­la­re turco narra che Allah abbia be­vu­to caffè nel gior­no della crea­zio­ne del mondo, tè il gior­no suc­ces­si­vo, per ri­po­sa­re, e vino il gior­no del pec­ca­to ori­gi­na­le. Per que­sta ra­gio­ne il vino fu proi­bi­to agli uo­mi­ni, ma fu dato loro il caffè “che porta il senno”. La leg­gen­da rac­con­ta di un pa­sto­re, in Yemen, che os­ser­vò la stra­na ec­ci­ta­zio­ne di al­cu­ne capre che ave­va­no man­gia­to delle bac­che rosse. Con­sul­ta­ti i sa­cer­do­ti que­sti af­fer­ma­ro­no che si trat­ta­va di cibo del dia­vo­lo e quin­di bru­cia­ro­no i rami con le bac­che che li­be­ra­ro­no un in­ten­so aroma: fu la sco­per­ta del caffè to­sta­to. Si rac­con­ta che il caffè sa­reb­be giun­to in Eu­ro­pa quan­do i tur­chi, scon­fit­ti nella bat­ta­glia di Vien­na nel 1683, ab­ban­do­na­ro­no al­cu­ni sac­chi di caffè sul campo di bat­ta­glia. I sac­chi di caffè ven­ne­ro con­se­gna­ti al re di Po­lo­nia Gio­van­ni III, che li donò a un suo ge­ne­ra­le, Kulc­zyc­ki che, pare, aprì la prima caf­fet­te­ria a Vien­na.

In real­tà il caffè fece la sua com­par­sa in Eu­ro­pa, a Ve­ne­zia, nel 1615, gra­zie al bo­ta­ni­co Pro­spe­ro Al­pi­ni e si dif­fu­se len­ta­men­te in Eu­ro­pa par­ti­co­lar­men­te dopo il 1650. Verso la fine del 1600 l’au­men­to della do­man­da e lo svi­lup­po dei si­ste­mi co­lo­nia­li por­ta­ro­no la col­ti­va­zio­ne nelle zone tro­pi­ca­li del­l’A­sia e suc­ces­si­va­men­te verso le isole dei Ca­rai­bi (Mar­ti­ni­ca e An­til­le). Nel 1727 nac­que­ro le prime pian­ta­gio­ni a Parà, nel nord del Bra­si­le e nel 1730 la Spa­gna in­tro­dus­se il caffè in Co­lom­bia e nel resto del­l’A­me­ri­ca La­ti­na e Cen­tro Ame­ri­ca.

Le Caf­fet­te­rie (i Caffè)

Nel 1457, ad Istam­bul, venne aper­to un lo­ca­le nel quale gli uo­mi­ni con­su­ma­va­no caffè o tè, ascol­ta­va­no mu­si­ca, gio­ca­va­no a scac­chi e con­ver­sa­va­no. Que­ste ca­rat­te­ri­sti­che fu­ro­no le stes­se dei primi lo­ca­li aper­ti in Eu­ro­pa at­tor­no al 1650. Al­cu­ne caf­fet­te­rie ita­lia­ne sono ce­le­bri: il Caffè Flo­rian aper­to nel 1720 a Ve­ne­zia, il Caffè Greco a Roma nel 1760, il San Carlo a To­ri­no nel 1822, il Pe­droc­chi a Pa­do­va nel 1831, e i più re­cen­ti ma al­tret­tan­to fa­mo­si caffè come Le Giub­be Rosse di Fi­ren­ze e l’A­ra­gno di Roma, se­gui­to dai due Ro­sa­ti, sem­pre a Roma. Molte caf­fet­te­rie hanno avuto par­ti­co­la­ri evo­lu­zio­ni: i caffè let­te­ra­ri fre­quen­ta­ti da ar­ti­sti, scrit­to­ri e in­tel­let­tua­li, sorti in Fran­cia, Au­stria, Ger­ma­nia e Ita­lia e i “café-chan­tant”, am­bien­ti nei quali si pre­sen­ta­va­no spet­ta­co­li tea­tra­li, svi­lup­pa­ti­si a Pa­ri­gi dopo il 1850 e pre­sto dif­fu­si in tutta Eu­ro­pa. At­tual­men­te, ac­can­to alle caf­fet­te­rie tra­di­zio­na­li si stan­no af­fer­man­do ca­te­ne tipo “Star­bucks”, con una pre­sen­za ca­pil­la­re in tutto il mondo, con una of­fer­ta stan­dard di caffè, e una par­ti­co­la­re at­ten­zio­ne ai con­su­ma­to­ri gio­va­ni.

Na­po­li e il caffè. Il caffè si af­fer­mò a Na­po­li quan­do Maria Ca­ro­li­na D’A­sbur­go-Lo­re­na, sposò Fer­di­nan­do di Bor­bo­ne, nel 1768, e portò con sè l’a­bi­tu­di­ne del con­su­mo del caffè dalla corte vien­ne­se. Un passo fon­da­men­ta­le per il fu l’in­ven­zio­ne nel 1800 della “caf­fet­tie­ra na­po­le­ta­na” di­ven­ta­ta tanto po­po­la­re da es­se­re sog­get­to di un ce­le­bre mo­no­lo­go di Eduar­do de Fi­lip­po che teo­riz­za l’im­por­tan­za del pic­co­lo cap­puc­cio di carta da met­te­re sul bec­cuc­cio in modo da di­mi­nui­re la per­di­ta di aromi. Il caffè a Na­po­li è cul­tu­ra e tra­di­zio­ne: “Ah, che bel­l’ò cafè,…….. che crema d’A­ra­bia ch’è chi­sto cafè”, re­ci­ta una can­zo­ne De André.

Col­ti­va­zio­ne

Cenni bo­ta­ni­ci e agro­no­mi­ci

Ap­par­tie­ne alla Fa­mi­glia delle Ru­bia­cee, Ge­ne­re Cof­fea, che com­pren­de circa 50 spe­cie di cui solo 4 hanno in­te­res­se pra­ti­co: Cof­fea Ara­bi­ca L. e Cof­fea Ca­ne­pho­ra L. (co­mu­ne­men­te chia­ma­to Ro­bu­sta, sco­per­to nel 1895 in Congo, ora Zaire), Cof­fea Li­be­ri­ca Hiem e Cof­fea Ex­cel­sa Che­val. E’ un ar­bu­sto sem­pre­ver­de con fo­glie lan­ceo­la­te, ovali verde scuro in­ten­so, car­no­se e lu­ci­de. I fiori sono bian­chi di pro­fu­mo in­ten­so. Il frut­to è una drupa, rossa a ma­tu­ra­zio­ne, di circa 1,5 cm. La ri­pro­du­zio­ne è per seme, in vi­va­io, e suc­ces­si­va messa a di­mo­ra con 3000/5000 pian­te a ha. Il caffè pro­du­ce dal quar­to fino circa al tren­te­si­mo anno. I ren­di­men­ti oscil­la­no tra i 400 e i 1200 Kg/ha.
La pian­ta del caffè pre­di­li­ge ter­re­ni col­li­no­si, dai 700 ai 1400 metri, com­pre­si fra il 20° pa­ral­le­lo Nord e il 20° pa­ral­le­lo Sud, con tem­pe­ra­tu­re miti tra i 15 °C e i 25 °C e con piog­ge co­stan­ti. Le ope­ra­zio­ni col­tu­ra­li sono la po­ta­tu­ra, la pu­li­zia del ter­re­no, la con­ci­ma­zio­ne, i trat­ta­men­ti fi­to­sa­ni­ta­ri per il con­trol­lo delle ma­lat­tie come la broca, Hy­po­the­ne­mus ham­pei, un co­leot­te­ro che at­tac­ca il frut­to e la roya, He­mi­leia va­sta­trix, un fungo che at­tac­ca le fo­glie.
La spe­cie Ara­bi­ca rap­pre­sen­ta i 3/4 della pro­du­zio­ne mon­dia­le ed è più de­li­ca­to del Ro­bu­sta. Il caffè che si ot­tie­ne è aro­ma­ti­co, poco amaro e con­tie­ne caf­fei­na tra 0,8% e 1,5%. E’ col­ti­va­ta pre­va­len­te­men­te in Ame­ri­ca La­ti­na, Cen­tro Ame­ri­ca, Ca­rai­bi e Mes­si­co. La spe­cie Ro­bu­sta è più re­si­sten­te del­l’A­ra­bi­ca e il caffè che si ri­ca­va ha sa­po­re amaro, cor­po­so e con­tie­ne dall’ 1,7 al 3,5% di caf­fei­na. E’ col­ti­va­to prin­ci­pal­men­te in Asia e in Afri­ca. Le va­rie­tà più co­no­sciu­te di Ara­bi­ca, sono “Moka” dello Yemen, “Bour­bon San­tos” dal nome del porto bra­si­lia­no e “Ma­ra­go­gy­pe”, fa­mo­so per i suoi chic­chi gi­gan­ti, oltre a “Ca­tuai”, “Ca­tur­ra”, ecc. Il caffè più ap­prez­za­to al mondo è il “Ja­mai­ca Blue Moun­tain”, con una pro­du­zio­ne li­mi­ta­tis­si­ma, ot­ti­mo anche il “Volcán de oro” del Gua­te­ma­la, il “Tar­ra­zu” del Costa Rica, e il “Ca­ra­co­lil­lo” del Ni­ca­ra­gua. Tra i Ro­bu­sta, si se­gna­la il Co­nillón (in Bra­si­le), Java, Koui­lou, e Niao­li­li, col­ti­va­ti in Asia e Afri­ca.

Rac­col­ta e po­st-rac­col­ta

La rac­col­ta e le fasi di po­st-rac­col­ta hanno una ri­le­van­te im­por­tan­za per la qua­li­tà del caffè. La rac­col­ta è com­pli­ca­ta per la pre­sen­za si­mul­ta­nea sulla pian­ta di frut­ti ma­tu­ri e di frut­ti a di­ver­si stadi di ma­tu­ra­zio­ne. Le tec­ni­che di rac­col­ta si di­vi­do­no in: a) “pic­king”, con rac­col­ta ma­nua­le uno ad uno dei soli frut­ti giun­ti a ma­tu­ra­zio­ne. E’ un me­to­do co­sto­so e fa­ti­co­so, che ne­ces­si­ta di molta mano d’o­pe­ra, ma as­si­cu­ra qua­li­tà; b) “strip­ping”, che uti­liz­za un at­trez­zo a “pet­ti­ne” che stac­ca tutti i frut­ti dai rami. Altri si­ste­mi pre­ve­do­no l’ uti­liz­za­zio­ne di mac­chi­ne che scuo­to­no i rami. I frut­ti rac­col­ti de­vo­no es­se­re trat­ta­ti entro le quat­tro-sei ore dalla rac­col­ta per evi­ta­re fer­men­ta­zio­ni.

Trat­ta­men­to umido. Il pro­ces­so ha bi­so­gno di molta acqua pu­li­ta. Le drupe rac­col­te pas­sa­no nelle mac­chi­ne che se­pa­ra­no la polpa car­no­sa dal seme. Suc­ces­si­va­men­te si pro­ce­de a una fer­men­ta­zio­ne dei semi per circa 24-36 ore per poter ri­muo­ve­re, con acqua cor­ren­te, la mu­cil­la­gi­ne che ri­ma­ne at­tac­ca­ta al seme. Il caffè così “la­va­to” viene messo a es­sic­ca­re al sole per vari gior­ni, su piat­ta­for­me in ce­men­to fino a rag­giun­ge­re il 12% di umi­di­tà. Il caffè secco ha an­co­ra il te­gu­men­to ester­no detto “per­ga­mi­no” che viene eli­mi­na­to mec­ca­ni­ca­men­te. Il caffè così ot­te­nu­to è caffè verde “la­va­to” pron­to per la com­mer­cia­liz­za­zio­ne. La uti­liz­za­zio­ne di que­sto me­to­do im­pli­ca un at­ten­to con­trol­lo degli ef­fluen­ti per evi­ta­re con­ta­mi­na­zio­ni.

Trat­ta­men­to secco. Non si uti­liz­za acqua e, dopo la se­pa­ra­zio­ne della polpa, si met­to­no i chic­chi a sec­ca­re in modo che la mu­cil­la­gi­ne, una volta secca, si possa se­pa­ra­re. Que­sto pro­ce­di­men­to è molto più eco­no­mi­co ma la qua­li­tà del caffè (caffè non la­va­to) è de­ci­sa­men­te più bassa del caffè trat­ta­to con il me­to­do umido.

Caffè in Bra­si­le e im­mi­gra­zio­ne ita­lia­na. Il caffè è ar­ri­va­to in Bra­si­le, por­ta­to dai fran­ce­si, nel 1727 a Belém nel Parà (nord est) e dopo il 1820 ini­ziò a espan­der­si tra Rio de Ja­nei­ro e Sao Paulo (Pa­ra­i­ba). La mano d’o­pe­ra ne­ces­sa­ria pro­ve­ni­va dagli schia­vi. Dopo l’a­bo­li­zio­ne della schia­vi­tù nel 1888 e la pro­cla­ma­zio­ne della re­pub­bli­ca, i “fa­zen­dei­ros” cer­ca­ro­no di sop­pe­ri­re alla man­can­za di mano d’o­pe­ra con im­mi­gra­ti stra­nie­ri e molti ar­ri­va­ro­no dall’ Ita­lia: tra il 1887 e il 1902 en­tra­ro­no in Bra­si­le quasi 900 mila ita­lia­ni. Le con­di­zio­ni di la­vo­ro nelle pian­ta­gio­ni di caffè non erano molto di­ver­se dal la­vo­ro schia­vi­sta: i la­vo­ra­to­ri per­ce­pi­va­no un sa­la­rio gior­na­lie­ro, ma sta­gio­na­le, e per le sole gior­na­te la­vo­ra­te. Erano teo­ri­ca­men­te li­be­ri, ma in pra­ti­ca ri­ma­ne­va­no le­ga­ti al “fa­zen­de­ro” al quale do­ve­va­no pa­ga­re l’al­log­gio e l’a­li­men­ta­zio­ne (che ve­ni­va­no scon­ta­ti di­ret­ta­men­te dal sa­la­rio). Alla fine del­l’an­no spes­so non solo non ave­va­no ac­cu­mu­la­to ri­spar­mi, ma erano “de­bi­to­ri” del fa­zen­de­ro. In ogni caso lo svi­lup­po del caffè in Bra­si­le è stato pos­si­bi­le solo con lo sfor­zo e il sa­cri­fi­cio prin­ci­pal­men­te degli im­mi­gra­ti ita­lia­ni.

La to­sta­tu­ra

La to­sta­tu­ra è il pro­ces­so che con­fe­ri­sce le ca­rat­te­ri­sti­che pe­cu­lia­ri al caffè. In Ita­lia ci sono più di 600 im­pre­se di tor­re­fa­zio­ne e anche tor­re­fa­zio­ni ar­ti­gia­na­li. I me­to­di di to­sta­tu­ra sono a tam­bu­ro ro­tan­te o in letto flui­do. Nel primo caso la to­sta­tu­ra av­vie­ne per con­du­zio­ne-con­ve­zio­ne del ca­lo­re men­tre nel se­con­do caso av­vie­ne per con­tat­to con aria molto calda, in con­tro cor­ren­te. Con tem­pe­ra­tu­re del chic­co sotto i 220 °C la to­sta­tu­ra è “light”, con 220-225 °C si ha una to­sta­tu­ra “media”, men­tre at­tor­no ai 230 °C la to­sta­tu­ra si de­fi­ni­sce “dark”. La du­ra­ta della to­sta­tu­ra è in media di 15 mi­nu­ti circa.

La so­lu­bi­liz­za­zio­ne (caffè so­lu­bi­le)

Il con­su­mo di caffè so­lu­bi­le (o istan­ta­neo) è in co­stan­te au­men­to nel mer­ca­to mon­dia­le. Si ot­tie­ne a par­ti­re da caffè to­sta­to che viene ma­ci­na­to, si pro­ce­de quin­di all’ estra­zio­ne delle fra­zio­ni so­lu­bi­li uti­liz­zan­do acqua ad alta tem­pe­ra­tu­ra e pres­sio­ne. Si ot­tie­ne un estrat­to che passa a una serie di eva­po­ra­to­ri. Il pro­dot­to ot­te­nu­to viene gra­nu­la­to e con­fe­zio­na­to pron­to al­l’u­so.

La de­caf­fei­niz­za­zio­ne

In base alle nor­ma­ti­ve vi­gen­ti il caffè si con­si­de­ra de­caf­fei­na­to se con­tie­ne meno di 0,1% di caf­fei­na. Il pro­ces­so è stato bre­vet­ta­to nel 1906 da Lud­wig Ro­se­lius (Caffè Hag) ed esi­sto­no al­me­no quat­tro me­to­di per la de­caf­fei­niz­za­zio­ne a par­ti­re dal caffè verde: il primo pre­ve­de l’ uti­liz­za­zio­ne di ace­ta­to di etile, ed è il più usato, il se­con­do uti­liz­za acqua e car­bo­ne at­ti­vo, un terzo clo­ru­ro di me­ti­le­ne men­tre il quar­to im­pie­ga ani­dri­de car­bo­ni­ca in con­di­zio­ni cri­ti­che (allo stato li­qui­do a 250 bar). Il caffè de­caf­fei­na­to viene poi to­sta­to. La caf­fei­na estrat­ta si usa in me­di­ci­na o in be­van­de come Coca Cola, Red Bull, ecc.

Modi di pre­pa­ra­zio­ne del caffè

I prin­ci­pa­li me­to­di di pre­pa­ra­zio­ne della be­van­da sono:

De­co­zio­ne (per bol­li­tu­ra) alla turca

E’ il me­to­do “sto­ri­co” e at­tual­men­te usato in Medio Orien­te. Un pen­to­li­no alto e stret­to di rame si mette di­ret­ta­men­te sul fuoco con due parti di caffè ma­ci­na­to molto fi­ne­men­te, zuc­che­ro (a pia­ce­re) e do­di­ci parti di acqua. Si porta a ebol­li­zio­ne, si la­scia raf­fred­da­re, si me­sco­la e si ri­pe­te l’o­pe­ra­zio­ne per due o tre volte, in­fi­ne si at­ten­de la se­di­men­ta­zio­ne della pol­ve­re, si scal­da e si con­su­ma. Tal­vol­ta ven­go­no ag­giun­ti aromi come il car­da­mo­mo (Elet­ta­ria car­da­mo­mum).

In­fu­sio­ne

È un me­to­do molto dif­fu­so e pre­ve­de di por­ta­re ad ebol­li­zio­ne l’ac­qua che poi si versa sul caffè ma­ci­na­to con­te­nu­to in un fil­tro, so­li­ta­men­te in carta, in ra­gio­ne di circa 50 gr. di caffè per litro di acqua. L’in­fu­so per­co­la len­ta­men­te ed è rac­col­to in un con­te­ni­to­re. Da non con­fon­de­re con il caffè “ame­ri­ca­no” che è in­ve­ce ot­te­nu­to con la mac­chi­na per caffè espres­so, ma uti­liz­zan­do molta più acqua.

Alla na­po­le­ta­na

La na­po­le­ta­na (la cuc­cu­mel­la) sem­bra sia stata in­ven­ta­ta nel 1819 e si dif­fu­se in tutta Ita­lia ed è stata uti­liz­za­ta al­me­no fino agli anni ‘50-60, quan­do è stata “scal­za­ta” dalla moka, in­ven­ta­ta de Bia­let­ti. La na­po­le­ta­na è di al­lu­mi­nio ed è for­ma­ta da un ser­ba­to­io del­l’ac­qua, do­ta­to di una ma­ni­glia e di un pic­co­lis­si­mo fo­rel­li­no in alto, di un con­te­ni­to­re del caffè ma­ci­na­to, di un fil­tro che trat­tie­ne il caffè e di un ser­ba­to­io che rac­co­glie il li­qui­do estrat­to. Le parti si in­ca­stra­no tra di loro e si av­vi­ta­no. Si pone la caf­fet­tie­ra sul fuoco, dal lato del ser­ba­to­io con l’ac­qua. Quan­do l’ac­qua entra in ebol­li­zio­ne, si spe­gne il fuoco e si ca­po­vol­ge la mac­chi­net­ta in modo che l’ac­qua bol­len­te si trovi nel ser­ba­to­io su­pe­rio­re da dove per­co­la, pas­san­do at­tra­ver­so il caffè, nel ser­ba­to­io in­fe­rio­re. Il tempo “ca­no­ni­co” di “di­sce­sa” del­l’ac­qua varia dai cin­que ai dieci mi­nu­ti.

La moka

La caf­fet­tie­ra moka (nome di un tipo di caffè e di una città dello Yemen) è un ap­pa­rec­chio in al­lu­mi­nio o ac­cia­io, dalla forma ca­rat­te­ri­sti­ca, in­ven­ta­ta negli anni ‘30 da Al­fon­so Bia­let­ti. E’ for­ma­ta da una cal­da­ia in­fe­rio­re do­ta­ta di val­vo­la di si­cu­rez­za, un con­te­ni­to­re per il caffè che si in­ca­stra nelle cal­da­ia, un fil­tro con guar­ni­zio­ne e un ser­ba­to­io/bric­co su­pe­rio­re che si av­vi­ta sulla cal­da­ia in­fe­rio­re. L’ac­qua viene messa nella cal­da­ia in­fe­rio­re. Si mette sul fuoco e l’ac­qua, per l’ au­men­to della pres­sio­ne sale verso l’al­to pas­san­do at­tra­ver­so il caffè e quin­di l’e­strat­to passa nel con­te­ni­to­re su­pe­rio­re.

L’e­spres­so

“Espres­so”, ossia fatto “al­l’i­stan­te” e “espres­sa­men­te” per il clien­te. La mac­chi­na per l’e­spres­so fu bre­vet­ta­ta nel 1884 e pre­sen­ta­ta nello stes­so anno al­l’E­spo­si­zio­ne Ge­ne­ra­le di To­ri­no da An­ge­lo Mo­rion­do, e suc­ces­si­va­men­te per­fe­zio­na­ta. La ditta Pa­vo­ni ini­ziò la pro­du­zio­ne in serie nel 1905 men­tre nel 1947 Achil­le Gag­gia in­tro­dus­se altre mo­di­fi­che im­por­tan­ti.
Come ab­bia­mo ac­cen­na­to al­l’i­ni­zio del­l’ar­ti­co­lo, per la pre­pa­ra­zio­ne del­l’e­spres­so si do­vreb­be­ro uti­liz­za­re circa 7 gr. di caffè per dose, acqua a 90 °C e alla pres­sio­ne di 9 at­mo­sfe­re e un tempo di in­fu­sio­ne di circa 30 se­con­di. Poi di­pen­de dalla mano del ba­ri­sta e dai gusti del clien­te. La crema do­vreb­be avere uno spes­so­re di circa 3-4 mm, co­lo­re omo­ge­neo, noc­cio­la o ros­sic­cio per gli ara­bi­ca, mar­ro­ne e gri­gio per i ro­bu­sta, e la sua fun­zio­ne è quel­la di trat­te­ne­re le so­stan­ze vo­la­ti­li. L’aroma deve es­se­re quel­lo par­ti­co­la­re del caffè, di li­qui­ri­zia, di frut­ta ap­pas­si­ta e di to­sta­tu­ra. Il corpo è rap­pre­sen­ta­to dalla sen­sa­zio­ne di den­si­tà e vi­sco­si­tà. Il gusto deve es­se­re equi­li­bra­to ar­mo­ni­co senza trac­ce di “bru­cia­to”, di un amaro gra­de­vo­le. L’im­por­tan­za del caffè espres­so in Ita­lia è cer­ti­fi­ca­ta dal fatto che esi­ste un Isti­tu­to Na­zio­na­le per l’E­spres­so ita­lia­no e altre as­so­cia­zio­ni di set­to­re e una Uni­ver­si­tà del caffè a Trie­ste.

Altre forme di pre­pa­ra­zio­ne

Un si­ste­ma che ha avuto una certa dif­fu­sio­ne è la caf­fet­tie­ra a stan­tuf­fo, nella quale lo stan­tuf­fo do­ta­to di fil­tro serve a se­pa­ra­re la pol­ve­re di caffè dal li­qui­do. La com­par­sa re­cen­te delle mac­chi­ne mi­ni-espres­so per uso ca­sa­lin­go o da uf­fi­cio, che uti­liz­za­no caffè ma­ci­na­to sfuso o in cial­de, per­met­te di gu­sta­re in casa e in uf­fi­cio un caffè “quasi” come al bar. I di­stri­bu­to­ri au­to­ma­ti­ci di caffè uti­liz­za­no un si­ste­ma si­mi­le a quel­lo delle mac­chi­ne per l’e­spres­so.

Caf­fei­na e altri prin­ci­pi at­ti­vi del caffè

Il prin­ci­pa­le com­po­sto che ca­rat­te­riz­za il caffè è la caf­fei­na. E’ un al­ca­loi­de che, oltre che nel caffè, è pre­sen­te nel cacao, nel tè, nella cola, nel gua­ra­nà e nella yerba mate. Le fo­glie di tè hanno un con­te­nu­to di caf­fei­na al­l’in­cir­ca dop­pio (2-4%) ri­spet­to ai semi di caffè (1-2%) ma, dato il di­ver­so me­to­do di pre­pa­ra­zio­ne, una tazza di caffè con­tie­ne circa quat­tro volte più caf­fei­na ri­spet­to a una taz­zi­na di tè. Gli ef­fet­ti sti­mo­lan­ti della caf­fei­na co­min­cia­no a ma­ni­fe­star­si dopo circa 15 mi­nu­ti dalla as­sun­zio­ne di caffè: la caf­fei­na fa­vo­ri­sce il ri­la­scio di adre­na­li­na e no­ra­dre­na­li­na che sti­mo­la­no il si­ste­ma ner­vo­so sim­pa­ti­co con con­se­guen­te au­men­to del bat­ti­to car­dia­co, del­l’af­flus­so di san­gue ai mu­sco­li, con mi­glio­ra­men­to dei ri­fles­si e della ca­pa­ci­tà di con­cen­tra­zio­ne. La caf­fei­na pro­vo­ca un au­men­to della se­cre­zio­ne ga­stri­ca e un uti­liz­zo pro­lun­ga­to può por­ta­re al­l’in­sor­gen­za di ul­ce­ra, eso­fa­gi­te e ri­flus­so ga­stro-eso­fa­geo e un abuso può por­ta­re anche ad in­son­nia, ner­vo­si­smo, ansia, ir­ri­ta­bi­li­tà e bat­ti­to car­dia­co ir­re­go­la­re.

Eco­no­mia del caffè e com­mer­cio in­ter­na­zio­na­le

Per oltre 25 mi­lio­ni di col­ti­va­to­ri e le loro fa­mi­glie il caffè co­sti­tui­sce la prin­ci­pa­le o l’e­sclu­si­va fonte di red­di­to. Per paesi del­l’A­fri­ca come Ugan­da, Ruan­da, Etio­pia, il caffè rap­pre­sen­ta il prin­ci­pa­le pro­dot­to di espor­ta­zio­ne e in Cen­tro Ame­ri­ca, in media, ap­por­ta il 5% del PIL e circa il 30% del va­lo­re delle espor­ta­zio­ni e oc­cu­pa al­me­no 700 mila fa­mi­glie.
I prez­zi e il mer­ca­to del caffè verde sono par­ti­co­lar­men­te in­sta­bi­li e, dalla can­cel­la­zio­ne dell’ In­ter­na­tio­nal Cof­fee Agree­ment, nel 1989, non ci sono ac­cor­di in­ter­na­zio­na­li sui prez­zi. Il caffè è una com­mo­di­ty che si pre­sta a spe­cu­la­zio­ni, so­prat­tut­to con lo stru­men­to dei fu­tu­res. At­tual­men­te i prez­zi medi pon­de­ra­ti del caffè verde, CIF, sono com­pre­si tra i 170 e i 190 cen­te­si­mi di U$D la libra (circa 3 € al Kg.), men­tre i prez­zi al pro­dut­to­re sono circa 70 cen­te­si­mi U$D la libra, (1,3 € al kg), e rap­pre­sen­ta­no il 5% del prez­zo al con­su­ma­to­re (con­si­de­ran­do un prez­zo al con­su­mo di circa 25 € al kg. per caffè to­sta­to di qua­li­tà medio/buona). I prez­zi si for­ma­no al Board of Trade di New York per la Ara­bi­ca e al LIFFE di Lon­dra per la Ro­bu­sta; il caffè viene trat­ta­to anche nelle borse di Pa­ri­gi, Brema e Le Havre. Gli ac­qui­ren­ti prin­ci­pa­li sono quat­tro im­pre­se: Ne­stlé, Kraft, Proc­ter & Gam­ble e Sara Lee. La tor­re­fa­zio­ne è con­cen­tra­ta in poche gran­di mul­ti­na­zio­na­li con Ne­stlè e Phi­lip Mor­ris/Kraft che con­trol­la­no il 60% del mer­ca­to.

Com­mer­cio equo e so­li­da­le e caffè bio­lo­g­i­co

Una delle ri­spo­ste, par­zia­li, alla vo­la­ti­li­tà dei prez­zi è data dallo svi­lup­po dei ca­na­li del com­mer­cio equo e so­li­da­le che pun­ta­no ad as­si­cu­ra­re un prez­zo ade­gua­to e sta­bi­le nel tempo e a ri­co­no­sce­re un so­vra­prez­zo per i caffè cer­ti­fi­ca­ti bio­lo­g­i­co e per le buone pra­ti­che agri­co­le e so­cia­li. Ma il Fair trade del caffè rap­pre­sen­ta solo il 3% del com­mer­cio mon­dia­le e at­tual­men­te af­fron­ta dif­fi­col­tà le­ga­te al prez­zo, che per i caffè bio­lo­g­i­ci è di circa il 40% mag­gio­re a quel­lo del caffè tra­di­zio­na­le, e dal con­su­mo cir­co­scrit­to ai con­su­mi fa­mi­lia­ri.

Pie­tro Si­mo­ni, lau­rea­to in Scien­ze Ali­men­ta­ri, si oc­cu­pa da più di 30 anni di Svi­lup­po Ru­ra­le in Ame­ri­ca La­ti­na e di temi re­la­ti­vi al­l’a­li­men­ta­zio­ne e alla po­ver­tà ru­ra­le. Ha col­la­bo­ra­to con la Coo­pe­ra­zio­ne Ita­lia­na, con la FAO, la UE e la Banca Mon­dia­le. At­tual­men­te col­la­bo­ra sta­bil­men­te come free-lan­ce con l’I­FAD.

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