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di Elena Nelli

Studio della produttività di un pascolo della fattoria Valdastra (Borgo S. Lorenzo – Firenze)
per l’allevamento biologico di bovini di razza Limousine

1. Utilizzo del pascolo in Agricoltura Biologica
Il termine “biologico”  fa la sua comparsa “ufficiale” con l’emanazione del Regolamento CE 2092/91, che disciplina le produzioni agricole biologiche, demandando ad un successivo regolamento la normativa riguardante le produzioni zootecniche. In attesa dell’emanazione di una normativa specifica, veniva fatto riferimento alle regolamentazioni vigenti a livello dei singoli Paesi o delle singole Regioni, e, in mancanza di queste, alle normative convenute dalle Organizzazioni di promozione e tutela delle produzioni biologiche, internazionali e nazionali, come IFOAM (International Federation of Organic Agriculture Movements), FIAO (Federazione Italiana Agricoltura Organica) ed i vari Organismi di Controllo (AIAB, AMAB, CCPB).
La Regione Toscana, prima fra tutte, si dotò, nel 1995, di una legge completa sulla zootecnia biologica, ma con l’emanazione del Regolamento CE 1804/99 e, in Italia, con il D.M. 4 agosto 2000, vennero stabilite a livello europeo le caratteristiche dell’allevamento biologico e  finalmente, si poté parlare di “prodotti animali da agricoltura biologica”.
Nel riguardo dei pascoli è enunciato che i sistemi d’allevamento devono essere basati in massima parte su di essi, ogni qualvolta lo consentono le loro condizioni fisiologico-sanitarie, le condizioni climatiche e lo stato del terreno. Durante i mesi invernali è consentito evitare il pascolo, sempre che il sistema di stabulazione permetta libertà di movimento oppure che gli animali abbiano avuto accesso al pascolo nel periodo favorevole.  Secondo la fase produttiva gli animali possono essere allevati in stalla, ma solo per periodi limitati (3 mesi di finissaggio), e soprattutto al pascolo (vacche gravide). Assicurare il pascolo al bestiame, anche se di notevole importanza, è forse il punto più difficile da realizzare nel nostro Paese e nella nostra Regione per i sistemi di allevamento utilizzati e per la mentalità degli allevatori, perché per un grande periodo dell’anno non c’è pascolo fresco nella maggior parte delle aree, inoltre per la produzione del latte vengono utilizzati animali altamente produttivi che hanno bisogno di una alimentazione spinta ed equilibrata che il pascolo potrebbe squilibrare.

2. Pascolo
Il pascolo è una risorsa seminata o naturale, di lunga durata (da alcuni anni a secoli).  Un pascolo è costituito da un numero elevato di specie, l’insieme di esse determina la qualità e la quantità produttiva di un pascolo che solo una buona gestione della mandria può preservare, evitando che il pascolamento agisca come selezione negativa  per le specie più appetite. Però non tutte le specie presenti nei terreni a pascolo sono ugualmente appetite dalle diverse specie (bovini ovini, etc..). Le specie dei pascoli possono essere classificate in: pabulari, parzialmente pabulari (utilizza solo parte della pianta), non pabulari (l’animale rifiuta completamente la pianta perché sgradevole)e senza interesse pabulare (le piante hanno uno sviluppo vegetativo così modesto da non consentirne il prelievo). Le funzioni del cotico erboso si esplicano sotto diverse forme che riesce a svolgere grazie alla sua organizzazione interna, ogni specie svolge funzioni specifiche e contribuisce in modo diverso all’organizzazione del cotico che è tanto più stabile quante più specie costituiscono il cotico. Le diverse funzioni possono essere: funzione produttiva (alimento per gli animali), funzione protettiva (assorbimento e il trattenimento idrico e quindi meno erosione), funzione regolatrice della distribuzione degli animali nello spazio (le piante più profumate oppure più colorate attirano l’attenzione degli animali distribuendoli nello spazio). Inoltre a funzione ricreativa e estetica (variabilità paesaggistica). Fattori condizionanti il cotico sono il suolo (tessitura equilibrata e reazione vicina alla neutralità ne favorisce lo sviluppo), il clima (frequenza delle precipitazioni, la copertura nevosa, la luminosità, ombreggiamento degli alberi, vento), gli animali al pascolo svolgono una duplice funzione: da un lato sono gli utilizzatori e i trasformatori dell’offerta pabulare, dall’altro sono un potente strumento di gestione e di mantenimento delle potenzialità produttive e dell’equilibrio vegetazionale. Le specie utilizzatrici appartengono essenzialmente agli erbivori domestici e selvatici. Domestici o selvatici che siano, gli animali utilizzatori influenzano il cotico per avere un certo comportamento sociale, peferenze alimentari, organizzazione giornaliera del tempo e dello spazio, prelievi di fitomassa, restituzione delle deiezioni ed infine per il calpestamento.
Tutte le graminacee hanno un apparato radicale estremamente diffuso, molto fascicolato, cosa che favorisce il trattenimento delle particelle di terreno e la sua struttura. Spesso nelle graminacee perenni, l’apparato radicale viene rinnovato annualmente al 90%. Questo fenomeno crea delle buone opportunità al terreno, che proprio grazie alle radici riesce a mantenere la sua compattezza e a trovare migliorate le proprie caratteristiche strutturali. Quando però la pianta emette un nuovo apparato radicale, questo si colloca sopra al precedente, questo comporta il progressivo innalzamento dell’apparato radicale rispetto al terreno e, con il passare degli anni, condizioni sfavorevoli rispetto alle piante più giovani e meglio ancorate; inoltre diminuisce la resistenza della pianta nei confronti della siccità. Soluzione per questo inconveniente è preparare, al primo anno, un buon letto di semina, fino ad una profondità di 30 cm, in questo modo la radice già dall’inizio tende ad andare più in profondità. Le graminacee sono ricche di zuccheri ma sono utili soprattutto per la produzione di fitomassa se poi l’utilizzazione è tardiva (dopo la spigatura) si ha la rapida perdita di appetibilità e, in genere, anche un notevole decremento del valore alimentare.  Alla base dei culmi si possono formare stoloni (radici superficiali orizzontali, dai cui internodi possono essere emesse foglie e radici) o rizomi (continuazione ipogea del culmo, ad andamento verticale, dal quale si dipartono radici), capaci di colonizzare nuove zone del terreno. Le graminacee possono ricostituire riserve radicali rapidamente, dopo essere state consumate, questo consente utilizzazioni frequenti ed infine non danno problemi di meteorismo.
Le leguminose hanno un apparato radicale fittonante e svolgono un ruolo ecologico importante per l’apporto di azoto che riescono a fissare nei noduli radicali, ogni anno un campo di leguminose apporta 130-600 kg/ha di azoto al terreno, sia grazie al grande sviluppo dell’apparato radicale, che ricerca gli elementi minerali anche in profondità, sia grazie alla relazione di simbiosi che stabilisce nelle sue radici con i batteri del genere Rizobium. Questo permette alla pianta stessa e a quelle limitrofe maggiore disponibilità di azoto assimilabile (nitrico e ammoniacale), migliorando così la fertilità chimica del terreno. Le leguminose hanno una migliore qualità del foraggio ma hanno problemi nel pascolamento. Direttamente sono pericolose per fenomeni di meteorismo quando l’utilizzo è troppo precoce, in tal caso l’eccesso di saponine può portare alla morte dell’animale. È ridotto se ultilizziamo miscugli e se facciamo pascolare a stomaco pieno, evitando le ore del mattino quando l’erba è bagnata. Indirettamente gli animali tendono ad asportare parti della corona ricche di sostanze di riserva che si ricostituiscono lentamente e concedono il nuovo utilizzo solo ad inizio fioritura, non accestiscono e essendo poi piante più ricche di acqua, sono anche più fragili nei confronti del calpestamento. Per tutte queste caratteristiche delle leguminose e la bassa qualità delle graminacce si effettuano delle consociazioni tra le due famiglie.

3. Progetto Equizoobio
La prova è interna ad un progetto interregionale sulla zootecnia biologica finanziato dalla Regione Marche con i fondi messi a disposizione da Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Molise, Piemonte, Provincia Autonoma di Trento, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana, Umbria e Veneto. Ad essa partecipano 22 partner (università, istituti di ricerca, associazioni, ecc.). Obiettivo è quello di eliminare il rischio di OGM nei mangimi e di ottimizzare i sistemi di produzione biologici di: bovini da carne e latte, pecore da latte, suini e polli da carne.

4. Limousine e linea vacca vitello
La razza bovina utilizzata per la prova è la Limounsine. Essa è una razza francese divenuta una delle più specializzate nella produzione di carne, conseguendo molto successo sia tra i consumatori, per le ottime caratteristiche organolettiche della sua carne, sia tra gli allevatori, vista l’assenza di difficoltà nella gestione dell’allevamento (brado) e le buone rese al macello. Ha il mantello rosso fromentino vivo, con zone più chiare sul ventre, occhi, musello e aperture naturali. La pelle, è piuttosto sottile, morbida evidenziabile dalle piccole pieghe (pliche) che assume attorno al collo ed alle articolazioni, e la giogaia è fortemente ridotta. Per quanto riguarda la conformazione, ha una struttura possente, robusta, con arti brevi ma solidi e ossatura fine. La statura è media ed il peso vivo delle femmine adulte arriva a 650-800 kg, i maschi 1.000-1.200 kg. È una razza precoce, rustica e fertile, di grande salute, qualità che le permettono di vivere al pascolo o stabulate in qualsiasi clima, molto freddo o caldo e in terreni difficili e marginali, con pochi investimenti e limitata manodopera. Le vacche, molto produttive partoriscono nel 98% dei casi senza assistenza. L’attitudine materna che esse dimostrano e l’elevata produzione di latte ad alto contenuto in grasso, garantiscono i buoni incrementi ponderali dei vitelli che nascono abbastanza piccoli, di peso inferiore ai 40 Kg, e vengono svezzati intorno ai 6 -7 mesi di età ad un peso superiore ai 250 Kg. I tori Limousine sono impiegati negli incroci perchè trasmettono i caratteri della razza in modo preponderante senza dare problemi di parto. Le rese al macello dei vitelloni(9-16 mesi) sono del 64%, mentre quello delle femmine intorno al 58%. Rapporto muscolo/osso pari a 4,7. La sua carne è magra ed a grana molto fine, priva di fibre grossolane qualità che persiste a qualsiasi età di macellazione. Esistono 2 linee di selezione, una chiamata “Boucherie”, più adatta all’ingrasso e meno rustica, e l’altra “Elevage” più rustica ed adatta al pascolo. In genere gli allevatori tengono soggetti sia dell’una sia dell’altra linea.
La linea vacca vitello è un metodo di gestione della mandria per avere una consitente produzione nazionale di vitelli con la detenzione di vacche fattrici (le cosiddette «vacche da corpo») dalle quali richiedere la sola produzione di vitelli, utilizzando il «poco» latte prodotto alllo svezzamento dei piccoli. Saranno allevate per più parti e macellate, previo ingrassamento, a fine carriera. Il sistema più economico sarebbe l’allevamento estensivo cioè detenere in continuazione gli animali completamente liberi, seppur mantenendo sugli stessi un certo controllo. Ciò è pressoché impossibile nel nostro Paese. L’allevamento semiconfinato (o semibrado): consiste nel dare agli animali nei periodi dell’anno più favorevoli la possibilità di beneficiare di aree pascolive; e di ricoverarli in stalle con paddock per il periodo invernale.

5. Il Mugello
La prova è stata effettuata nel Mugello regione storica della Toscana settentrionale, situata poco a nord di Firenze. Si presenta come un’aperta conca di circa 230 miglia di superficie, occupata da una striscia di terreni alluvionali e delimitata da colline e da montagne: a nord dai rilievi dell’Appennino Tosco-Emiliano, a sud dai contrafforti del Monte Giovi e del Monte Senario (che la dividono dalla vallata fiorentina) e ad ovest dai Monti della Calvana (oltre i quali si estende la provincia di Prato). L’abbondanza dei pascoli erbosi e le caratteristiche del clima, hanno da sempre facilitato l’insediamento di comunità di pastori dedite all’allevamento ed all’agricoltura. Ancora oggi, numerosi sono gli allevamenti bovini (soprattutto Limousine (diffusa nei comuni di Firenzuola, Barberino di Mugello, Borgo San Lorenzo e Dicomano), Charolais, Chianina, Frisona e Bruna, ma anche Romagnola e Calvana) ovini, suini e, ancora, equini presenti sul territorio. La fattoria valdastra dove è stata svolta la prova è sita nel comune di Borgo San Lorenzo.

6. Descrizione Azienda Valdastra
L’azienda Valdastra dove si è svolta la prova pratica l’agricoltura biologica fin dal 1998 sotto il controllo di ICEA, mentre l’allevamento è stato convertito in biologico successivamente, nel 2001. Sono allevati ovini di razza Suffolk e bovini di razza Chianina e Limousine (linea Elevage). L’azienda è costituita da 200 ha di bosco che la rendono azienda faunistica venatoria e 300 ha tra campi irrigui coltivati a frumento, foraggi, ortive e pascoli per l’allevamento degli animali. La mandria consiste in circa 320 capi, di cui 120 vacche e 4 tori (il resto dei capi è rappresentato da giovani maschi e femmine di varia età), tutti identificati elettronicamente con microchip. La tecnica di allevamento è basata sulla linea vacca-vitello, sistema ideale per l’utilizzazione e la valorizzazione zootecnica della collina e della montagna mugellana. I gruppi di monta, composti da 25-30 femmine fattrici (vacche) ed un maschio (toro), sono inviati al pascolo in primavera insieme ai vitelli appena nati. L’azienda chiude il processo produttivo con la fase di ingrasso, alimentando i capi ad essa destinati con foraggi secchi (di graminacee e di leguminose) e cereali prodotti in azienda secondo il metodo biologico, e completando la razione con un nucleo proteico integrato biologico acquistato sul mercato. La produzione annuale media di vitellame è di circa 110 animali: il 40% dei vitelli viene venduto come riproduttori, i restanti vengono ingrassati e poi macellati come vitelloni biologici dalla Cooperativa Agricola di Firenzuola (CAF), di cui l’azienda Valdastra è membro fin dal 1977.

7. Materiali e metodi dello studio dei pascoli
In data 17/5/2006 è stata decisa la disposizione delle gabbie e cioè un gruppo di 6 nel pascolo in località “La Condotta” definito V (“vecchio”) e 6 nel settore N (“nuovo”). I settori hanno circa ambedue 10 anni anche se mostrano caratteristiche differenti che li farebbero pensare di diverse età e hanno una superficie totale di 10 ettari. Le gabbie sono state disposte nella posizione prestabilita in data 26/05/06 mentre la mandria è stata mandata al pascolo in data 31/05/06.
Dal 31 maggio, momento in cui è stata mandata la mandria al pascolo, ad oggi sono stati eseguiti quattro sfalci rispettivamente a fine giugno, luglio, agosto e settembre.
Gli animali presenti sono stati di 35 per 45 giorni, 33 per 30 giorni e 43 per 45 giorni per una media complessiva di 37 capi. È stata maggiorata la zona a pascolo di 10 ha ai primi di luglio di ulteriori 12 ettari e ai primi di settembre di 3 ettari per una media complessiva di 20 ha.
Gli adulti hanno un peso medio di 6.5 quintali mentre i vitelli di 100 kg con incremento medio giornaliero pari a zero nei mesi di giugno/luglio e non significativo in agosto/settembre.
Agli animali adulti oltre al pascolo veniva somministrato un fasciato di 4,5/5 quintali nel mese di giugno, una media di due nel mese di luglio mentre in agosto e settembre un rotolo di fieno d’erba medica perché terminato il fasciato. All’inizio di settembre è stato somministrato mezzo rotolo di fieno perché è stata aperta una nuova parte di pascolo (3 ettari) a cui poteva accedere la mandria. Il fasciato è di giugno 2005 ed è distribuito in zone diverse nel pascolo, questo consente di poter sfruttare aree di pascolo diversificate. Una volta a settimana, per poter atrarre gli animali adulti, viene effettuato il “richiamo” cioè viene somministrato 1,5 kg di farina a capo. Ai vitelli sono stati somministrati 500 gr di farina al giorno in mangiatoie accessibili solo ad essi, in quanto provviste di entrate troppo piccole per consentire l’accesso agli adulti. La farina è aziendale ed è composta da: orzo, favino, grano e mais.
Prelievo all’interno delle gabbie.(foto) Per la prova sono state impiegate 12 gabbie di esclusione piramidali con lati di 1 m (1m2 di superficie totale).  Prima di sfalciare entro ogni gabbia, è stata rilevata la composizione botanica, stimando a vista (con classi di 5% in 5%) il contributo che danno alla biomassa le graminacee, le leguminose e le specie appartenenti alle altre famiglie botaniche. Dopo lo sfalcio la gabbia è stata posta in un area limitrofa. Il foraggio fresco conservato in modo opportuno è stato portato in laboratorio dove è stata eseguita la pesatura per ottenere il peso del foraggio fresco e poi è stato essiccato a 60° C per determinarne il secco. La quantità sfalciata nella gabbia mi permette di determinare la produzione.
Prelievo esterno alla gabbia(foto). Ogni volta fatto un rilievo dentro una gabbia, che essa sia pari o dispari è stato individuato un punto vicino, ritenuto rappresentativo dell’utilizzazione media degli animali pascolanti, per determinare il residuo. Per identificare una superficie pari ad un metro quadro sulla parte residua è stato utilizzato un quadrato di lato un metro. La biomassa presente all’interno del metro quadro è stata sfalciata, conservata con metodo opportuno e portata in laboratorio, dove è stato determinato il peso fresco e, una volta essiccato il campione, il peso secco.  Fuori dalle gabbie (residuo) non si fanno stime della composizione vegetazionale ma tale dato serve solo per ottenere una stima della biomassa consumata dagli animali data dalla differenza tra biomassa prodotta (all’interno delle gabbie)e biomassa residuata dagli animali.
Scelta composizione botanica in laboratorio. Sulla metà dei campioni e cioè sulle  tre gabbie dispari 1, 3, 5 di ogni settore N e V prima di eseguire l’essiccazione è stato separato manualmente il campione di foraggio nelle stesse tre componenti (graminacee, leguminose e altre famiglie) stimate a vista in campo. Le tre componenti ottenute sono state pesate prima e dopo l’essiccatura,  ottenendo il peso fresco e secco delle singole categorie in modo da poter effettuare un confronto con quanto stimato visivamente.
Analisi bromatologiche. Una volta ricomposto il campione, sono state eseguite le analisi bromatologiche standard per ottenere la qualità del foraggio. Sono state determinate l’umidità, le ceneri, la proteina grezza (non si determinano solo le sostanze proteiche contenute nell’alimento ma l’azoto totale), l’estratto etereo (si determina la quantità totale di sostanze solubili (grassi, oli, cere, pigmenti vegetali, steroidi, vitamine liposolubili)), la fibra grezza, la fibra al detergente neutro (NDF), la fibra al detergente acido (ADF), le ceneri isolubili in acido cloridrico (AIA), e infine, si sono stimati gli estrattivi inazotati (EI).
Calcolo della percentuale di utilizzazione e del carico:
È stata determinata la percentuale di utilizzazione attraverso il rapporto tra consumo e produzione. Il consumo è determinato facendo la differenza tra la produzione (rilevata all’interno della gabbia) e il residuo (rilevato all’interno del transetto esterno alla gabbia). Inoltre, è stato determinato il carico potenziale con la formula:

  C = P x S *K                   
        F x D

dove:
C= carico sostenibile, P= produzione kg SS/ha,(5092), S= superficie ha,(20), F= fabbisogno SS/dì,(15), D= durata pascolamento in giorni,(120), K= coefficiente di riduzione che considera alcuni fattori limitanti (0.7).
Il carico reale è stato determinato facendo una media degli animali presenti durante il periodo di pascolamento e, infine, la percentuale di carico è stata determinata facendo il rapporto tra carico reale e potenziale.

Gabbia e prelievo esterno alla gabbia
Gabbia e prelievo esterno alla gabbia (foto Elena Nelli)

8. Risultati e Conclusioni
La stima della composizione botanica si è dimostrata affidabile con coefficienti di correlazione molto alti (da 0,831 fino 0,956). L’incidenza delle graminacee, come atteso, tende ad aumentare nel tempo, quella delle leguminose prima a decrescere e poi a riaumentare. La produzione è risultata diversa nelle due zone studiate e nel tempo. Dato che i pascoli hanno la stessa età si pensa ad un effetto di posizione che crei microclimi diversi. La produzione delle graminacee è influenzata sia dalla data che dalla zona mentre leguminose e altre specie solo dalla data. La produzione totale risulta significativamente influenzata da quella di graminacee che d’altronde rappresentano in media il 60% del campione.
Le analisi di laboratorio hanno mostrato l’ottima qualità dei pascoli. I dati espressi in % mostrano che l’umidità, la proteina grezza, l’estratto etereo, il NAD, il FAD e gli estrattivi inazotati sono risultati influenzati solo dalla stagione, solo la fibra grezza  e le ceneri sono state influenzate anche dalla zona (maggiormente nella zona 2V per la fibra grezza e maggiormente nella zona 1N per le ceneri). In particolare l’umidità, la proteina grezza, l’ estratto etereo e le ceneri tendono a risalire negli ultimi tagli, mentre la fibra grezza, la NAD e l FAD diminuiscono. Questo risulatato può essere spiegato con lo stadio giovanile delle erbe dei tagli effettuati negli ultimi mesi.
L’utilizzazione del pascolo è risultata sempre molto alta, vicino al 95%, il che fa pensare ad un carico elevato del pascolo.
Il calcolo del carico reale risulta essere il 96% del potenziale calcolato. Dato che in bibliografia il carico reale non dovrebbe superare l’80%, se ne deduce che il carico dei pascoli studiati è veramente al limite. Dato che i pascoli sono ormai abbastanza vecchi, e che si nota una presenza elevata di muschio che ne limita la crescita di nuova vegetazione, sarebbe da consigliare un rinnovo degli stessi. A tale scopo l’azienda sta parallelamente facendo anche una sperimentazione su diversi miscugli di prato da utilizzare nel rinnovo dei pascoli. Nell’attesa che i pascoli vengano rinnovati si potrebbe consigliare una diminuzione del carico fino ad arrivare alle 31 UBA che rappresentano l’80% del carico potenziale calcolato di 39 UBA. La sperimentazione comunque continuerà anche il prossimo anno per avere almeno i dati di 2 anni da confrontare ed interesserà probabilmente anche altri pascoli aziendali.

Produzione di sostanza secca
Produzione di sostanza secca g/m2 delle componenti botaniche

Produzione totale di sostanza secca
Produzione totale di sostanza secca g/m2

Elena Nelli, laureata in Tutela e gestione delle risorse faunistiche presso la Facoltà di Agraria di Firenze, è iscritta al corso di laurea magistrale in Agrozootecnia sostenibile.

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