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di Gabriella Di Massimo

In Italia sono presenti allo stato spontaneo, numerose specie di tartufo, di queste solo sette sono ammesse al commercio, esse sono: il tartufo nero pregiato (Tuber melanosporum Vittad), il tartufo bianco (Tuber magnatum Pico), il tartufo nero estivo (Tuber aestivum Vittad.) il tartufo uncinato (Tuber uncinatum Chat.), il tartufo brumale (Tuber brumale Vittad.), il tartufo nero moscato (Tuber brumale Vittad. forma moschatum Ferry), il tartufo nero di Bagnoli (Tuber mesentericum Vittad.), il tartufo nero liscio (Tuber mascrosporum Vittad.) e il tartufo bianchetto o marzuolo (Tuber borchii Vittad.).
La specie più largamente coltivata e che ha dato i migliori successi produttivi è il tartufo nero pregiato; è stata tentata la coltivazione del tartufo bianco ma con esiti alquanto deludenti; buoni risultati si sono avuti con il tartufo bianchetto e con il tartufo estivo.

Tuber melanosporum
Tuber melanosporum Vittad. (foto Gabriella Di Massimo)

La coltivazione dei tartufi in Italia è incominciata verso la metà degli anni ottanta del secolo scorso,  in questo arco di tempo sono stati registrati risultati estremamente diversi: da buone produzioni a completi fallimenti.
Sulla scorta delle esperienze fatte, si può affermare che una tartuficoltura razionale ed economicamente valida debba tenere nella giusta considerazione i seguenti aspetti:
1 – Idoneità del sito alla coltivazione dei tartufi
I tartufi hanno esigenze pedologiche e climatiche molto precise e specifiche per ciascuna specie. Prima di intraprenderne la coltivazione, bisogna valutare se il terreno scelto è idoneo ed eventualmente, a quale specie.
I terreni estremamente compatti o con pH acido vanno comunque scartati, quelli che hanno altre caratteristiche vanno attentamente analizzati. E’ indispensabile un’indagine pedologica in cui vengano analizzati la tessitura, la struttura, il pH, la presenza di carbonato di calcio totale e di quello libero nella soluzione circolante. E’ necessaria anche un’analisi stazionale che prenda in considerazione l’altitudine, l’esposizione, la pendenza e un esame della vegetazione che metta in evidenza le specie forestali presenti nei boschi limitrofi e il loro sviluppo allo stato adulto.

Tartufaia coltivata di Tuber melanosporum
Tartufaia coltivata di Tuber melanosporum Vittad. (foto Gabriella Di Massimo)

2 – Scelta della giusta combinazione pianta – tartufo
Stabilita la specie di tartufo più indicata ad essere coltivata nella tipologia di suolo a disposizione, bisogna scegliere la specie forestale simbionte in base alle caratteristiche climatiche e vegetazionali della stazione. Il tartufo nero di Norcia ad esempio, ha dato ottimi risultati produttivi in simbiosi con il leccio però, questa specie forestale non è adatta alle quote elevate. E’ preferibile realizzare impianti con due o tre essenze forestali per avere una maggiore variabilità fonte di garanzia verso gli eventuali stress climatici o patologici.
3 – Fornitura delle piante
Le piante micorrizate sono prodotte da vivai specializzati dislocati soprattutto nel Centro – Nord Italia. Generalmente la qualità delle piante prodotte in Italia è buona ma, è sempre opportuno richiedere piante certificate. La certificazione della qualità delle piante viene effettuata da strutture pubbliche (Università e altri enti di ricerca) sulla base di un protocollo abbastanza rigido, essa non è obbligatoria in quanto i vivaisti possono fornire un’autocertificazione, la maggior parte dei vivai italiani comunque, richiede la certificazione alle strutture preposte.
Il prezzo medio di una pianta micorrizata oscilla dai 6,5 euro ai 10,5 euro soprattutto in base alla specie di tartufo simbionte, (le piante micorrizate col tartufo nero pregiato costano in media uno o due euro in più rispetto a quelle micorrizate con altre specie), e al fatto se sono certificate o autocertificate (la certificazione incide per circa 0,5 euro). E’ bene prenotare le piante con un certo anticipo in quanto, negli ultimi anni, si sta verificando una vera corsa alla piantagione di tartufaie e pertanto i vivai migliori ne rimangono presto sforniti.

Piantine micorrizate
Piantine micorrizate (foto Gabriella Di Massimo)

4 – Accesso ai contributi pubblici
In molte regioni italiane è previsto un contributo finanziario per la realizzazione di tartufaie, è sempre bene verificare se, la propria regione di residenza, sta erogando finanziamenti e se si possiedono i requisiti per accedervi. Le informazioni possono essere chieste alle locali Comunità Montane oppure agli appositi sportelli regionali.
5 – Lavorazioni pre impianto
Tutti gli interventi agronomici devono essere decisi in base alla tipologia di suolo e alla combinazione pianta tartufo prescelta. In generale le operazioni pre impianto sono:
1 – Decespugliamento
La vegetazione legnosa, sia arbustiva che arborea, deve essere eliminata per facilitare le lavorazioni, per avere maggiore spazio di piantagione, ma, soprattutto, perché alcune specie potrebbero essere già micorrizate con funghi presenti nel terreno e quindi rappresentare una fonte di inoculo di funghi competitori. Prima di intervenire sulla vegetazione arborea e/o arbustiva, è buona norma verificare la legislazione vigente presso le Comunità Montane o il Corpo Forestale dello Stato.
2 – Spietramento
Nel caso di presenza di grossi massi, sarebbe opportuno provvedere al loro allontanamento,  compatibilmente con i costi che questa operazione comporta. In alcuni impianti, i sassi sono stati macinati sul posto e sparsi sul terreno per sfruttare il loro effetto pacciamante ma, è una operazione non consigliabile in quanto troppo onerosa.
3 – Lavorazione del terreno
La lavorazione principale deve essere decisa in base al tipo di suolo e alle colture precedenti l’impianto. In generale la profondità dell’aratura non dovrebbe superare i 30 – 40 cm, profondità maggiori potrebbero portare in superficie orizzonti sterili o troppo argillosi inoltre, verrebbe alterato l’assetto della flora microbica del suolo. In generale, per terreni mediamente profondi si consiglia una rippatura incrociata in modo da favorire la circolazione dell’aria e dell’acqua senza rovesciamento del suolo, seguita da un’aratura piuttosto superficiale e un successivo affinamento delle zolle.
Sarebbe opportuno eseguire i lavori prima dell’estate in modo che, i probabili propaguli di funghi competitori presenti naturalmente nel terreno, vengano esposti il più possibile all’aria e inattivati dalle elevate temperature e dalla carenza idrica estiva.
4 – Sesto d’impianto
Il sesto di impianto deve essere deciso in base alla specie forestale simbionte, allo sviluppo probabile che la pianta avrà da adulta, alla specie di tartufo e all’esposizione del terreno. In pratica, si deve riuscire a prevedere l’ombreggiamento operato dalle chiome delle piante adulte considerando che: il tartufo nero tollera male ombreggiamenti superiori al 60%, il tartufo estivo tollera ombreggiamenti maggiori, il tartufo bianco predilige un ombreggiamento del 100%.
E’ buona norma adottare sesti larghi piuttosto che stretti: numerose tartufaie realizzate con la combinazione carpino nero – tartufo nero pregiato, in stazioni favorevoli allo sviluppo della specie forestale, dopo 10 – 15 anni risultano troppo ombreggiate. In questi casi bisogna intervenire con le potature che sono abbastanza onerose o con il diradamento, una scelta  molto difficile quando la maggior parte delle piante sono in produzione.
5 – Piantagione
L’epoca più idonea per la piantagione è quella autunno – vernina se le temperature non sono troppo basse, se il terreno non è occupato dalla neve per lunghi periodi, ecc., oppure la primavera ponendo attenzione ai ritorni di freddo. Qualche giorno prima della messa a dimora è bene sospendere l’irrigazione delle piantine in vaso, in modo che il pane di terra sia asciutto e quindi la sua estrazione facilitata. 
6 – Irrigazione
Deve essere prevista l’irrigazione di soccorso alle giovani piantine in modo da favorire il loro attecchimento. Una pianta ben micorrizata è più resistente alla siccità ma, la fase di affrancamento è molto delicata, uno stress idrico prolungato può compromettere oltre alla pianta, le micorrize.

Gabriella Di Massimo è laureata in Scienze Agrarie presso l’Università di Perugia. Iscritta al Registro Nazionale Micologi, svolge attività di ricerca presso il Dipartimento di Biologia Vegetale e Biotecnologie Agroambientali, nel progetto “Evoluzione della micorrizazione in tartufaie sottoposte a differenti tecniche colturali” presso l’Università degli studi di Perugia. Curriculum vitae >>>

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