Capra pezzata mochena

Negli ultimi anni possiamo vantare la nascita, in Italia, di un numero crescente di realtà sostenibili e di tutela. Nel ripensare ai migranti, non solo nella classica idea mediatica, possiamo scorgere concrete esperienze di imprenditoria che si sviluppano come fonte di idee innovative che osservano la tradizione locale. A fronte di questo quadro abbiamo la possibilità di osservare il lavoro di una donna etiope che con coraggio e dedizione ha sviluppato una realtà che trasmette valori dal sapore antico. Nel 2010 sorge l’Azienda Agricola Biologica “La Capra Felice” creata da Agitu Idea Gudeta, ubicata in un piccolo comune di circa 400 abitanti dal nome Frassilongo, nella Vallata Trentina dei Mòcheni. Agitu, giovane donna etiope, era arrivata in Italia all’età di 18 anni e si era laureata a Trento in Sociologia. Dopo il suo percorso formativo era rientrata nel suo Paese d’origine con il desiderio di avviare un progetto di agricoltura sostenibile…

Stefania Tomaino. Agente di sviluppo, laureata con lode in Scienze per la Cooperazione e lo Sviluppo presso l’Università della Calabria.
Viktoriya Puzdranovska. Agente di sviluppo, laureata in Scienze per la Cooperazione e lo Sviluppo presso l’Università della Calabria.

agricoltura sostenibile

Il rapporto tra attività agricola ed ecosistemi è un tema centrale nel dibattito sulle relazioni fra sviluppo economico e vincoli ambientali che, sin dalle prime emergenze globali degli anni ’60, ha coinvolto numerosi soggetti, da politici a tecnici, suscitando un notevole e sempre maggiore interesse. In questo contesto, il tema della sostenibilità è diventato sempre più importante, sia a livello globale che a livello locale, sottolineando la necessità di inquadrare con chiarezza l’argomento e le sue implicazioni. Tuttavia, le varie interpretazioni di sostenibilità che, secondo l’ambito di applicazione del concetto sono diverse e talvolta distanti fra di loro, hanno determinato l’impossibilità di arrivare ad una definizione unica e condivisa di questo concetto. Come conseguenza di queste differenze teoriche su cosa sia effettivamente la sostenibilità, non vi è una metodologia di calcolo standard, né a livello scientifico, né a livello tecnico, che possa definire sostenibile un’attività economica.

Angelo Martella, Assegnista di Ricerca presso l’Università della Tuscia di Viterbo e Dottore Agronomo. E-mail: a.martella@unitus.it
Elisa Biagetti, Laureanda in “Marketing e qualità” presso l’Università della Tuscia di Viterbo. E-mail: biagettielisa94@gmail.com
Donato Ferrucci, Dottore agronomo libero professionista, riveste attualmente l’incarico di Responsabile di Bioagricert Lazio e di Cultore della materia presso la cattedra di Gestione e Comunicazione d’Impresa” – Facoltà di Scienze della Comunicazione, Università degli Studi della Tuscia.

pomodoro corbarino

II pomodoro (Solanum lycopersicom, Famiglia Solanaceae) arrivò in Europa dal Messico tramite i semi che, portati da coloni e missionari, giunsero in Spagna nel 1532, la prima attestazione in spagnolo della parola tomate. Nell’anno 1596 giunge in Italia e, dopo una ventina di anni, al Meridione, ove trovò le condizioni climatiche favorevoli, dove si ha il viraggio del suo colore dall’originario e caratteristico oro, che diede appunto il nome alla pianta, all’arancione-rosso, con bacche più grandi, che invogliarono i poverissimi contadini ed il popolo a consumarli. E bene fecero: crudi o cotti, in salsa o fritti nell’olio, nelle minestre e nelle zuppe, i meridionali incominciarono ad assaporare il pomodoro quasi un secolo prima di tutti gli altri Europei, grazie a selezioni e innesti successivi. La patria adottiva del pomodoro fu la Campania: storicamente è sempre stata tra le aree dove la coltivazione di questa solanacea annuale si diffuse, costituendo un importante habitat di produzioni tipiche autoctone di alto valore di qualità, si sono plasmati geneticamente negli anni per ibridazioni spontanee e/o mutazioni e successive selezioni operate, spontanee o mediate dai coltivatori.

Gennaro Pisciotta, laureato in Scienze e Tecnologie agrarie all’Università G. Marconi – Facoltà di Scienze e Tecnologie Applicate di Roma, è Agrotecnico Laureato ed Enologo Enotecnico libero professionista Maestro Assaggiatore ONAF (Organizzazione Nazionale Assaggiatori Formaggio). Ha insegnato presso l’ISIS “Falcone” di Pozzuoli (Napoli) fino al 26/09/2018.

Cão de Gado Transmontano

“Un antico retaggio nell’eterna contesa tra lupo e pastorizia”… questo in sintesi è il Cão de Gado Transmontano. Dunque anche questa razza è arrivata al traguardo tanto ambito, ossia l’inserimento nell’elenco delle razze riconosciute. Ebbene sì, adesso il “Transmontano” è da considerarsi razza a tutti gli effetti; a mio modesto parere era un passo doveroso da parte della Federazione Cinologica Internazionale. Questa razza, era già una vera razza da tempo, per la sua omogeneità, molto più evidente rispetto a tante altre razze; per la sua storia, molto interessante; per il suo aspetto morfo-funzionale, ancora molto esplicito e mantenuto invariato nel tempo. Quel che è palese a mio avviso, per poter dichiarare il Cão de Gado “razza”, è il suo tangibile legame con il suo luogo d’origine, con la pastorizia tipica di quei luoghi, la sua inequivocabile identificazione con una determinata funzione, che ha portato la selezione della razza al mantenimento della sua peculiare attitudine e che l’ha plasmata anche a livello fenotipico.

Federico Vinattieri è un appassionato allevatore cinofilo, giudice F.I.A.V., ornitofilo e avicoltore (titolare Allevamento di Fossombrone)

Il genere Populus o più comunemente chiamato Pioppo è una pianta arborea a comportamento pioniere tipica dei territori dell’emisfero settentrionale caratterizzati da climi temperato umidi. Essendo una specie igrofila ed eliofila tende a stabilirsi in ambienti dotati di una buona disponibilità idrica, esposti al sole e composti da terreni con una tessitura fine. Infatti i luoghi in cui è possibile riscontrare molto più spesso questa pianta sono principalmente pianure e zone di golene. Le caratteristiche morfologiche che definiscono il pioppo sono molto variabili, questo perché la pianta, oltre ad essere dioica e ad avere un taxa molto ampio, possiede una grande variabilità genetica che le consente di ottenere individui con molteplici caratteristiche morfologiche e biologiche. Il pioppo dunque è caratterizzato da un vasto polimorfismo riscontrabile in diversi aspetti come la forma delle foglie, il portamento dei rami, il portamento della chioma e la disposizione delle gemme.

Paffetti – Università degli studi di Firenze.

Negli ultimi decenni sono stati incrementati progetti di ricerca volti al recupero ed alla conservazione di antiche razze avicole, con lo scopo di preservare e valorizzare la biodiversità zootecnica. Le razze autoctone piuttosto ben distribuite presso il territorio peninsulare sino alla metà del secolo scorso, hanno assistito ad un progressivo declino dovuto alla diffusione degli ibridi commerciali, altamente selezionati da genetisti per le spiccate produzioni di carne e uova. Benché il loro utilizzo sia rivolto all’allevamento intensivo, che prevede sistemi microclimatici e programmi alimentari altamente controllati, tale tipologia di pollame si è andata diffondendo anche in ambito rurale, tanto che i contadini li hanno introdotti nei loro pollai incrociandoli con il pollame locale. Razze pure e morfotipi leggeri sono stati ben presto ritenuti poco redditizi, tra di essi le razze nane, dette anche bantam che nel nostro paese non sono state mai lungamente allevate.

Giuseppe Rauseo, medico veterinario libero professionista, laureato presso l’Università degli Studi di Milano, attualmente specializzando in Tecnologia e Patologia delle Specie Avicole, del Coniglio e della Selvaggina. Allevatore amatoriale di Mericanel della Brianza.

Biologo ambientale

Con il fare noi impariamo (By doing we learn), uno dei tanti motti che coniò il grande biologo scozzese Patrick Geddes botanico ed ecologo, creatore della “architettura del paesaggio” e di molti concetti fondamentali che vengono ancora oggi utilizzati in diversi contesti devoti alla progettazione di spazi verdi all’interno di aree urbane, ma spesso volutamente non riconosciuti al suo antesignano; creò concetti come la conurbazione (fusione in un unicum spazio-temporale, della struttura urbana, con le circostanti aree rurali e boschive, prodromo dei corridoi ecologici), del bioregionalismo (ovvero che si doveva con sopralluoghi su campo, verificare tutte lo condizioni del tessuto vivente web life e abiotico, per poter creare una città ideale) e della Geografia evolutiva (somma della biogeografia, geomorfologia e attività antropica), fornendo le basi concettuali e pratiche della Ecologia urbana.

Giuliano Russini, Biologo Botanico applicato-Fitopatologo, Referente Tecnico del Comitato Nazionale dei Biologi Ambientali (CNBA), dell’Ordine Nazionale dei Biologi (ONB): si occupa di progettazione botanica e del paesaggio vegetale, esperto in gestione e riqualificazione di giardini e parchi storici, aree verdi urbane, periurbane, archeologiche (verde antico), naturali (oasi e riserve). Perito per analisi dello stato di salute comunità di piante (piantagioni), valutazione della stabilità di specie arboree-Visual Tree Assessment (VTA), valutazione della propensione al cedimento, analisi fitoiatrica, fitopatologica, fitosanitaria, con relativa perizia per i Comuni. Bonifica e riqualificazione di aree verdi, terrestri e corsi d’acqua (Lentici e lotici, naturali: fiumi, torrenti, laghi, lagune, paludi, falde acquifere, fossati, pozzi e artificiali: fossati artificiali, canali, capifossi, casse di espansione) con aspetti sanitari, aree irrigue fertirrigazione, Consorzi di Bonifica Agraria e a sistemazione Fondiaria, ruolo della vegetazione nei buffer zone vegetali come limite di sicurezza rispetto capifossi, chiuse, canali, fossati; progettazione di muri vegetali, siepi per stabilizzazione di sponde fluviali, argini, sponde dei canali idrici, idrografici e come mezzo anti-frana in ingegneria biologica, o naturalistica, etologia applicata.

E’ in atto una crescente sensibilità verso la pesca sostenibile certificata, espressa dal continuo aumento il numero di aziende di produzione e lavorazione di prodotti ittici che scelgono di offrire prodotti sostenibili per il mare e tracciabili da chi li acquista. Questa sensibilità nasce da diversi segnali manifestati da un settore che vede gli stock ittici sovrasfruttati (secondo i dati dell’ultimo Sofia Report della Fao, il 34,2% degli stock è pescato a livelli biologicamente non sostenibili). E’ questa la situazione che emerge dall’Annual Report di MSC (Marine Stewardship Council), organizzazione non profit internazionale che promuove la salute degli oceani attraverso i suoi standard di sostenibilità ittica. I sistemi qualità legati alla produzione ittica, a valenza ambientale o a denominazione di origine continuano a interessare una quota sempre maggiore di mercato.

Donato Ferrucci, Dottore agronomo libero professionista, riveste attualmente l’incarico di Responsabile di Bioagricert Lazio e di Cultore della materia presso la cattedra di Gestione e Comunicazione d’Impresa” – Facoltà di Scienze della Comunicazione, Università degli Studi della Tuscia.
Nicolò Passeri, Dottore Agronomo, libero professionista. Dottore di ricerca in “Economia e Territorio” presso l’Università degli Studi della Tuscia. Consulente per la certificazione prodotti biologici e analisi tecnico economiche dei processi produttivi. Collabora con l’Università degli Studi della Tuscia a progetti di ricerca su studi relativi alla valutazione della sostenibilità ambientale dei processi produttivi agricoli.
Francesco Paesanti. Biologo, ha iniziato ad occuparsi di molluschicoltura nel 1980, come libero professionista ed in collaborazione con diverse università. Ricercatore presso l’Istituto Scientifico Naturedulis srl (riconoscimento MIPAAF G.U. 187 del 10 agosto 2019).

Nell’antichità il latte animale non era considerato un alimento idoneo al consumo umano. Ippocrate e Galeno ne consigliavano l’uso solamente a scopo medicinale, sottolineandone i numerosi pericoli per la salute che questi poteva rappresentare. Tali considerazioni, ovviamente, sono frutto di osservazioni climatico-ambientali, poiché il contesto in cui si svilupparono la cultura greca e poi latina è caratterizzato dalla presenza di climi caldi; questi, insieme alla mancanza delle conoscenze che permettessero un’efficace conservazione e controllo igienico-sanitario del latte, contribuirono a numerosi casi di decessi legati al suo consumo. Nelle regioni in cui la temperatura era invece più rigida (e quindi più idonea alla conservazione e al consumo dell’alimento), come nel Nord dell’Europa, le popolazioni che vi abitavano erano invece descritte – talora con indignazione frammista a stupore – come consumatrici abituali di latte.

Nicolò Gallo Curcio (Roma), Laureato in Scienze delle Attività Motorie e Sportive e Magistrale in Scienze della Nutrizione Umana. Libero professionista.

Portinnesti vite

La necessità di migliorare le caratteristiche vegetative della vite e le sue capacità produttive, sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo, ha fatto sì che nel corso dei decenni venissero introdotti diverse tipologie di portainnesto, in relazione ai diversi fattori biotici e abiotici a cui questa coltura doveva rispondere, in funzione della sempre più ampia espansione della viticoltura verso aree caratterizzate da condizioni pedologiche e climatiche molto difficili.

Il primo traguardo ottenuto dall’uso del portinnesto è stato quello della tolleranza alla fillossera, un insetto introdotto in Europa dal continente Americano verso la fine del 1800, che causa gravi danni all’apparato radicale di Vitis vinifera. Al contrario le specie americane, coevolute con l’afide, mostrano essere tolleranti nei confronti del parassita. A questo inizio è seguito come detto un periodo di intensa attività di breeding che ha portato alla costituzione della grande maggioranza dei portinnesti ancora oggi utilizzati.

Lavoro svolto da Alessandro Contini in collaborazione con Dipartimento di Scienze Agrarie ed Ambientali (DISAA) dell’Università degli Studi di Milano.

Il latte viene definito come il prodotto della mungitura regolare, ininterrotta e completa di animali in buono stato di salute e in corretta lattazione; dal punto di vista biologico si tratta di una secrezione prodotta dalla ghiandola mammaria dei mammiferi. Per “latte alimentare” si intende il prodotto, ottenuto dalle varie specie lattiere, destinato al consumo umano come tale oppure privato di una parte dell’acqua allo scopo di ridurne le spese di trasporto e/o conservazione. Attraverso la coagulazione del latte, senza la sottrazione del siero, e dell’azione di microrganismi caratteristici è possibile ottenere i latti fermentati, la più antica tipologia di derivati del latte; il burro è invece il prodotto ottenuto dalla crema di latte (un latticino esclusivamente costituito dalla materia grassa del latte) mediante zangolatura, processo attraverso il quale si verifica l’emulsione dell’acqua nella fase grassa; il formaggio, infine, è il prodotto ricavato dal latte intero, parzialmente scremato o scremato, o dalla crema di latte, tramite coagulazione acida o presamica, facendo uso di fermenti e sale da cucina…

Nicolò Gallo Curcio (Roma), Laureato in Scienze delle Attività Motorie e Sportive e Magistrale in Scienze della Nutrizione Umana. Libero professionista. E-mail: n.gallocurcio@gmail.com