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di Alessandra Adessi

I parchi biotecnologici: una possibilità per la ricerca italiana

Introduzione
Le biotecnologie rappresentano ad oggi un’importante opportunità sia per il mondo della ricerca scientifica che per le più disparate realtà industriali, tanto che in materia i due campi risultano essere profondamente intrecciati da una rete di interdipendenze. E’ infatti la promettente prospettiva di efficienza produttiva (ne è un esempio evidente il successo dell’utilizzo di organismi ricombinanti per la produzione di farmaci con alte rese) che ha attirato finanziamenti per la ricerca non solo nel settore farmaceutico-sanitario, ma anche in quello agroalimentare e nella tutela dell’ambiente.
In questo paper si vuole tentare un’analisi del panorama della ricerca in Italia ponendo l’attenzione sui Parchi Biotecnologici che stanno nascendo nel nostro Paese negli ultimi anni. Sono un esempio di quanto il progresso nel campo delle Scienze della Vita sia oggi profondamente legato al progresso tecnologico e quindi di quanto la crescita sinergica dei due settori porti alla nascita di realtà competitive su entrambi i piani.
Innanzitutto si analizzeranno i fattori politici ed economici, a livello sia europeo che italiano, che hanno favorito e incoraggiato la creazione dei Parchi Scientifici e Tecnologici; dopodichè si procederà osservando più in dettaglio l’assetto di queste realtà per andare infine a sottolineare quanto queste coltivino in maniera consistente e fattiva il settore R&S, prendendo ad esempio alcuni Parchi. In questo elaborato si vuole rivolgere una particolare attenzione alla ricerca scientifica, perché la si ritiene fondamentale non solo per la crescita delle singole imprese e delle economie locali ma anche per lo sviluppo culturale, per l’aumento del benessere e per il miglioramento della qualità della vita della nostra società.

Il metodo di analisi a cui si farà riferimento è perciò l’analisi PEST o STEP, che permette di spaziare attraverso gli aspetti Sociali Tecnologici Economici e Politici della questione; è abitualmente utilizzato come strumento strategico che permette di “prevedere il futuro” dell’oggetto in esame attraverso lo studio dei grandi cambiamenti in atto; nel nostro caso è più che altro un’analisi di conferma, e non di previsione, che descrive il macro-ambiente intorno ai Parchi attualmente attivi. Avendo come limite il materiale disponibile, la presente sarà un’analisi PEST sui generis e perciò la trattazione non sarà suddivisa per punti, ma gli argomenti saranno illustrati spaziando tra  i diversi campi ed entrando via via nel dettaglio degli oggetti di interesse.

È  innanzitutto doveroso chiarire cosa si intenda per Parco Biotecnologico. Secondo la definizione dell’ OCSE che riguarda in genere i Parchi Scientifico-Tecnologici si tratta di “concentrazioni territoriali comprendenti aree contigue in cui si svolgono attività correlate alla tecnologia, come ricerca, sviluppo, produzione prototipale, insieme a tutti i servizi di supporto diretto”. Sono dunque realtà eterogenee, con un forte legame al territorio, dove si incontrano laboratori di ricerca pubblici e privati, organi universitari, servizi, imprese grandi e piccole con diverse attitudini così da creare un circolo virtuoso di crescita economica, competitività e incremento culturale, che si è già dimostrato vincente in molti Paesi negli ultimi decenni (USA, Giappone, Regno Unito); infatti i settori che si riuniscono in uno Science Park sono solitamente tutti quelli riconducibili all’high tech e quindi tutti settori in rapida crescita e che non possono che trarre giovamento dal trasferimento di conoscenze (si parla infatti di cross fertilization) (1).
In particolare, grazie al sistema parco scientifico è possibile raggruppare nel territorio le strutture che sono in grado di portare avanti i diversi passi caratteristici del processo innovativo evitando così “da una parte la ricerca di base fine a se stessa e dall’altra sviluppo sperimentale senza risultati positivi per mancanza di conoscenze scientifiche” ; altrimenti “si rischia di avere il mondo della ricerca e le imprese che affrontano le stesse problematiche, ma l’uno all’insaputa dell’altro con conseguente sperpero di risorse umane e finanziarie”.

 Parchi biotecnologici

Analisi del macro-ambiente
L’interesse politico, economico e sociale intorno alle Life Sciences è estremamente elevato, dato che, anche grazie alle tecnologie ad esse applicate, queste aprono la strada verso una migliore qualità della vita su diversi fronti (ambiente, salute, alimentazione ecc.); sono infatti per loro stessa natura “interdisciplinari”, non solo per i molteplici campi di applicazione ma anche per l’eterogeneità delle conoscenze che richiamano intorno a sé. Inoltre bisogna tenere presente che sono in grado di offrire innovazioni sia per quanto riguarda i prodotti che i servizi.
Tale consapevolezza ha portato la Comunità Europea a rimarcare l’importanza strategica delle biotecnologie per il proprio sviluppo economico (documento discusso il 23.1.2003 a Bruxelles (3)) mettendo in risalto tre punti “chiave” su cui intende lavorare:
Risorse: il punto di partenza è la disponibilità e la qualità delle risorse umane, delle tecnologie, dei finanziamenti e una opportuna politica dei brevetti.
Opinione pubblica: è necessaria armonia tra scienze della vita, valori etici ed obiettivi sociali.
Pensiero globale: l’avanzamento nel campo delle biotecnologie riguarda tutti i Paesi del mondo, sono quindi indispensabili accordi internazionali sia con i Paesi in cui l’industria biotech è più avanzata (concorrenza e competitività) sia con quelli in cui è in via di sviluppo (responsabilità e sviluppo sostenibile).
Il primo punto in particolare dimostra l’attenzione delle Istituzioni alla ricerca scientifica, infatti tra i goals che l’Unione Europea si è prefissata di raggiungere entro il 2010 c’è l’investimento del 3% del PIL in R&S (mentre al 2004 si trattava solo dell’ 1.9% – fonte Eurostat(4)) e di questa percentuale almeno 2/3 degli investimenti devono provenire dal BES (Business Enterprise Sector).
Con questi investimenti l’Europa intende inoltre creare incentivi per limitare la cosiddetta “fuga dei cervelli” (si attende per il 2010 un incremento di 700.000 ricercatori), prendendo atto che il buon livello di formazione del personale non è sufficiente allo sviluppo se non sono presenti strutture di ricerca altrettanto avanzate e vitali pronte ad accoglierlo sul territorio. È quindi previsto che per il VII programma quadro (2007-2013) il finanziamento UE destinato alla ricerca raddoppi, rispetto al VI p.q., per raggiungere i 10 milioni di euro l’anno.
L’effetto indiretto che si ha con gli investimenti governativi nella formazione di base e nell’acquisizione di strutture competitive è l’attrazione di capitali di rischio  nelle compagini ad alto potenziale di crescita. Queste infatti devono mostrare la maggiore competenza e stabilità possibile per dare fiducia ad investimenti che mostreranno i loro effetti soltanto nel medio-lungo periodo.
L’UE dimostra di essere pienamente consapevole che la chiave di volta dello sviluppo delle nuove tecnologie è una salda base di conoscenze, che quindi devono essere messe in condizioni di fluire più liberamente possibile: per questo la creazione di reti europee e un sistema dei brevetti comune tra i Paesi dell’ Unione che permetta di tutelare la proprietà intellettuale e quindi gli investimenti a monte, ma allo stesso tempo impedisca una eccessiva chiusura che non consentirebbe il trasferimento di conoscenze necessario.
 
Diamo una rapida occhiata ai dati (Censis, 1999 (5)) riguardo allo sviluppo delle Scienze della Vita in Europa: si nota innanzitutto la rapidissima crescita del settore che solo nel biennio 1996-1998 ha portato un aumento del 64.5% del numero di imprese operanti. È d’altra parte evidente però un dislivello tra i vari Paesi membri dovuto alle differenze nella struttura imprenditoriale (vocazione al rischio, posizione rispetto al mercato finanziario) e nelle istituzioni pubbliche più o meno capaci di sostenere lo sviluppo.
Ad esempio in Germania(5) grazie al progetto delle Bioregioni, che aveva come scopo la promozione dell’imprenditorialità giovanile e il trasferimento tecnologico tra mondo della ricerca accademica e industrie, abbiamo assistito ad una grandissima crescita dovuta alla concorrenza tra i contesti regionali che ha quindi portato il Paese ai vertici delle graduatorie europee.
Un altro esempio di successo nella collaborazione tra ricerca e industria è senza dubbio il Regno Unito(5), dove le imprese biotecnologiche si sono raggruppate, su iniziativa governativa, nelle aree delle università storiche di Cambridge e Oxford: qui gran parte della forza sta nella capacità delle imprese di reperire risorse sul mercato finanziario così da avere una grande disponibilità di investimenti dovuta ai venture capitals.

Focalizzandoci sulla situazione in Italia si nota come il nostro Paese, pur trovandosi in una posizione arretrata tra i membri dell’UE (cfr. Tabella 1 in Appendice, % PIL investita in R&S – dati OCSE 2001), stia dimostrando una notevole capacità di crescita nel settore biotecnologico (cfr. dati rapporto Assobiotech 2006 (6)), sia per quanto riguarda il numero di imprese in attività che per l’aumento del livello di occupazione ( +25% tra il 2002 e il 2004 (6)).
È necessaria una nota per quanto riguarda le imprese di settore per fare una distinzione tra le cosiddette Established Companies e le New Biotechnology Companies: nel primo caso infatti si tratta di strutture già operanti in diversi settori del mercato con tecnologie tradizionali, che hanno però riconvertito alcune parti del processo produttivo o hanno variato la propria gamma di prodotti grazie alle nuove biotecnologie; le NBC sono invece imprese dedicate esclusivamente al mondo delle biotecnologie, caratterizzate da un alto potenziale scientifico e tecnologico. Secondo dati Censis (5) nel 1999 il settore biotecnologico era guidato dalle EC (78%) mentre soltanto il 22% era affidato alle NBC.
Inoltre il panorama italiano in materia attualmente appare estremamente frammentato, dato che la stragrande maggioranza delle attività sono piccole imprese e distribuite in maniera poco uniforme nel territorio, accentrate in alcune zone. (vedi Figura 1 in Appendice)
Si conferma quindi anche in questo campo la caratteristica dell’imprenditoria italiana di essere suddivisa in numerose piccole e medie imprese dinamiche e flessibili, distribuite in aree territoriali ben distinte solitamente con una “specializzazione” dei campi applicativi tra le Regioni; questa è probabilmente dovuta, almeno nella fase nascente, alle differenze culturali e alle tradizioni locali, ma è stata in seguito incoraggiata dai governi regionali che hanno preferito come strategia competitiva la differenziazione dell’offerta.
Ora, possiamo considerare il territorio italiano suddiviso in zone caratterizzate da un diverso livello di sviluppo (si sfrutterà per alcune parti la suddivisione presentata nel lavoro riportato come ref. bibliografica (2) ):
1. Territori con attività di ricerca sviluppata ma con scarsa attività industriale e imprenditorialità locale
2. Territori con alta concentrazione di attività industriali e imprenditoriali
3. Aree Obiettivo 2 (classificazione UE): aree industriali in declino
4. Aree Obiettivo 1 (classificazione UE): aree in ritardo di sviluppo
Per quanto riguarda le aree di cui ai punti 1. e 2. una possibile soluzione è lo sviluppo di realtà complementari a quelle già presenti sul territorio, che quindi vadano a colmare i vuoti nel processo innovativo; quindi ad esempio lo sviluppo di spin off industriali a fianco delle strutture accademiche (punto 1.)  e invece lo sviluppo di laboratori di ricerca o la creazione di contatti con le Università per il punto 2.. Nelle aree di cui al punto 3. invece è necessario un investimento più massiccio per promuovere la modernizzazione delle imprese, mentre per le aree del punto 4. è necessaria la creazione ex  novo di un tessuto che permetta la crescita economica valorizzando le caratteristiche del territorio. (2)

Il Parco Biotecnologico, una soluzione possibile
I Poli “nascono su istanza “dal basso” del tessuto economico e culturale delle aree interessate, e sono basati sulle fattive esigenze di infrastrutture e di valorizzazione delle risorse esistenti di know-how biotecnologico, spesso con orientamenti applicativi specifici, con concrete prospettive di crescita. […] Tutti, però, godono dell’effettivo sostegno delle istituzioni politiche locali, ed esercitano un significativo ruolo di aggregazione e trascinamento su quanti abbiano talento e passione per nuove iniziative imprenditoriali.” (dal sito www.assobiotec.it ).
Questo stretto legame con il territorio e con le infrastrutture già presenti fa sì che i diversi Poli che sono nati in Italia abbiano tutti caratteristiche profondamente diverse, ed è quindi difficile trovare punti di contatto se non appunto la linea di principio fondante che è lo sviluppo e l’innovazione di un tessuto imprenditoriale altrimenti lento e arretrato, mantenendone però le qualità specifiche. Questo scopo viene perseguito o creando ponti tra imprese ed università per facilitare il trasferimento tecnologico o costituendo dei veri e propri incubatori di imprese.
Al momento della loro nascita i Parchi Scientifici e Tecnologici hanno ricevuto il sostegno del Governo, che ha partecipato al loro sviluppo in maniera più consistente rispetto a quanto non sia avvenuto negli altri Paesi europei. Bisogna però considerare che lo Stato Italiano ha comunque mostrato in passato una certa prudenza nei finanziamenti alla ricerca in ambito biotecnologico, principalmente per la diffidenza dell’opinione pubblica a riguardo. Negli ultimi anni, grazie a politiche di informazione più appropriate e anche grazie ai risultati ottenuti dalla ricerca biotecnologica in Italia e (soprattutto) all’estero, il clima in proposito si è rasserenato, è aumentata la fiducia (dovuta anche alle assicurazioni di controllo) e quindi anche i finanziamenti Statali stanno aumentando di anno in anno (7). Il settore che viene finanziato maggiormente è quello sanitario (mentre quello farmaceutico fa affidamento su finanziamenti privati di varia origine: grandi multinazionali, istituti di credito ecc.), perché qui la ricerca è generalmente percepita come più utile rispetto agli altri settori e le biotecnologie offrono una speranza in più nella lotta ad alcune malattie, mentre invece tuttora persiste il timore nei riguardi delle applicazioni in campo agroalimentare.
I Parchi Scientifici e Tecnologici costituiscono chiaramente un vantaggio anche per le singole  Regioni, ed è per questo che i governi regionali, nei limiti dell’autonomia loro concessa, hanno colto l’occasione per favorirne la crescita legiferando in modo da:
Concedere finanziamenti agevolati
Snellire l’apparato burocratico
Promuovere la formazione di occupazione qualificata per l’innovazione
In particolare, maggiore attività si rileva in Lombardia, Piemonte, Friuli Venezia-Giulia, Lazio, Toscana, Campania e Puglia. Molti dei Parchi si occupano delle applicazioni in campo sanitario e spesso si trovano appoggiati alle facoltà di medicina; fanno in parte eccezione il Piemonte che ha una più spiccata vocazione all’high tech e alle applicazioni sull’ambiente, e la Puglia che sta sviluppando un centro di ricerca avanzato in campo agrario.
Prenderemo ad esempio due dei parchi italiani più importanti per confrontarli su alcuni aspetti.

Bioindustry Park Canavese (Torino)
Innanzitutto riportiamo la mission aziendale:
“Collegare la ricerca universitaria al mondo delle imprese:
Favorire gli start-up, gli spin-off e la crescita di imprese innovative
Favorire le attività di R&S e di Trasferimento di tecnologie fornendo anche servizi scientifici e know-how
Realizzare attività di ricerca nei campi legati alle Scienze della Vita anche in collaborazione con Università, Centri di ricerca pubblici e privati ed imprese
Rendere disponibili spazi attrezzati unitamente a servizi logistici e tecnico-scientifici
Ponendosi così come fattore positivo per lo sviluppo del territorio”. (8)
L’idea del BiPCa è nata nel 1993, ma le prime imprese si sono insediate nel 1998. E’ una Società per Azioni, ed è “ammesso ai contributi del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale, in regime di cofinanziamento con Stato e Regione, che ne consentono la realizzazione per un intervento complessivo di 40 milioni di euro”. (8) Inoltre nel Parco è sorta su idea di privati cittadini una S.p.A., la Eporgen Venture, che ha messo a disposizione un capitale sociale di circa 3 milioni di euro per il finanziamento di 6 start-up (da Il Venture Capital cooperativo  Il Sole 24 ore Nord Ovest,  15/04/2005).
Il Parco è stato costituito per offrire alle imprese nascenti non solo le strutture per avviare l’attività, i macchinari e le infrastrutture per i servizi, ma anche consulenze a tutti i livelli (progettazione, trasferimento tecnologico con le università sia italiane che europee, ricerca di finanziamenti). Vengono privilegiate le idee imprenditoriali giovanili nel campo della chimica, farmaceutica, diagnostica, veterinaria, in quello agroalimentare, nella cosmesi, nella bioingegneria, nella bioinformatica ed informatica.

Science Park Raf (S.Raffaele – Milano)
Un intento molto simile a quello del BiPCa è espresso nella mission del SRP, sebbene la struttura organizzativa e l’evoluzione sia ben diversa: “valorizzare il know-how, la proprietà intellettuale, le risorse umane e le infrastrutture del parco scientifico della Fondazione, che comprende l’Istituto Scientifico Universitario San Raffaele […], il Dipartimento di Biotecnologie (DIBIT) […] e l’Università Vita-Salute San Raffaele, con le Facoltà di Medicina e Chirurgia, Psicologia e Filosofia”. (9)
Anche il Parco del S. Raffaele è una Società per Azioni nata nel 1992, ma a differenza del BiPCa si basa esclusivamente su finanziamenti privati, gestiti dalla “Fondazione San Raffaele del Monte Tabor che funge da interfaccia con la business community del settore delle scienze della vita (gruppi farmaceutici, società biotech, industrie cosmetiche e alimentari), le merchant banks e i venture capitalist ”. Questo è legato alla storia del Parco che non è nato come tale, ma si è venuto a formare negli anni attorno alla struttura centrale dell’ospedale privato S. Raffaele.
Il Parco ha quindi come unico settore di interesse, quello sanitario con una apertura alla bioinformatica e alle tecnologie per le telecomunicazioni applicate alla medicina. L’intento è comunque quello di promuovere start-up e spin-off, offrendo ai propri “inquilini” sia infrastrutture che servizi di tech transfer, collaborazioni con le università e lo sviluppo di collegamenti con le Istituzioni.
Riporto alcuni dati rilevanti per sottolineare l’attività nel Parco. “Molmed, fondata nel 1997, è oggi una delle più importanti società biotech italiane, con quattro molecole in fase I/II di studi clinici; Telbios è una start up specializzata nel settore della telemedicina ed è frutto di una collaborazione con Telecom Italia, AleniaSpazio, fornitori delle tecnologie di telecomunicazione satellitare, e Value Partners; una terza start-up, Bio-Flag srl, attiva nel settore della bio-informatica applicata alla genetica per lo sviluppo di innovativi strumenti diagnostici, è appena stata costituita.
L’attività di gestione della proprietà intellettuale ha portato fino ad oggi al deposito di 66 brevetti internazionali per conto della Fondazione. Le operazioni di trasferimento tecnologico hanno prodotto 15 contratti di cessione di licenza, 217contratti di ricerca industriale e con 93 gruppi farmaceutici e società biotech in tutto il mondo sono stati stipulati contratti di ricerca o di cessione di licenza. Il valore complessivo dei soli contratti di licenza e di ricerca industriale stipulati nel 2004 supera i 5 milioni di euro (6,5 milioni di dollari). Di questi, oltre 3,9 milioni di euro provengono dai contratti di licensing e 1,1 milioni dai contratti di Ricerca e Sviluppo.” (9)

Conclusioni
I parchi biotecnologici sembrano perciò essere un’ottima opportunità per lo sviluppo di un apparato di ricerca competitivo per il nostro Paese.
Dal punto di vista sociale assicurano un più alto livello educativo – culturale grazie alla maggiore quantità di risorse economiche che perviene alle Università che quindi possono innalzare il livello dei progetti di ricerca sviluppati. Un altro aspetto importante è l’effetto sull’opinione pubblica che risulta non solo accettarli ma addirittura sostenerli per l’entusiasmo dato dalla rapidità con cui si ottengono risultati e per la visibilità che hanno. Inoltre i Parchi per loro stessa natura favoriscono lo scambio tra realtà differenti, tra diversi Paesi instaurando delle reti culturali importanti non solo per la scienza e la tecnologia ma anche per l’apertura mentale della nostra società.
Per quanto riguarda gli aspetti tecnologici nel Paese non c’è una disponibilità uniforme; è quindi possibile che questi si sviluppino autonomamente solo in alcuni luoghi, dato che (come abbiamo visto) i Parchi si formano con più facilità attorno a strutture già esistenti.
È per questo che a livello politico (UE, Italia e Regioni) c’è l’intenzione di promuoverne la nascita nelle zone a bassa crescita economica come sta avvenendo in Puglia e in Campania. L’ostacolo principale è il reperimento dei finanziamenti che, laddove sia necessario costituire strutture ex novo, devono essere cospicui e devono rimanere stabili nel tempo: per questo i finanziamenti pubblici non possono essere sufficienti, qualora non siano affiancati da una reale capacità di muoversi nel mercato finanziario per la ricerca di capitali di rischio, o la progettazione di fusioni con altre aziende ed eventualmente di acquisizioni da parte di grandi multinazionali.

BIBLIOGRAFIA
I documenti sono riportati nell’ordine in cui appaiono nel testo. La maggior parte di questi sono stati rinvenuti in rete attraverso il motore di ricerca scholar.google.

(1) L. Solvetti, R.Ricci, F. Conicella, I parchi biotecnologici una nuova opportunità per le aziende farmaceutiche italiane. Convegno “le biotecnologie: situazione attuale e scenari futuri” LXV Riunione della Società italiana per il progresso delle Scienze, 1999.
(2) Borghi S., Distretti industriali e Parchi Scientifici e Tecnologici: la collaborazione possibile, tesi di laurea a.a. 1999/2000, Facoltà di Economia di Novara.
(3) Commissione delle Comunità Europee, Life Sciences and Biotechnology- A Strategy for Europe, disponibile in italiano al seguente indirizzo internet:
http://europa.eu.int/eur-lex/it/com/cnc/2002/com2002_0027it01.pdf
(4) Eurostat, Science and Technology in Europe. Data 1990-2004, 2006
(5) Fondazione Censis, Biotecnologie: aspetti industriali della ricerca. Lavori della commissione. Sintesi, V Convention Nazionale sul farmaco, 1999
(6) Assobiotech/Blossom Associati, Il Biotech in Italia, rapporto 2005.
(7) Istat, La Ricerca e Sviluppo in Italia nel periodo 2003-2005, 2005.
(8) dal sito internet www.bioindustrypark.it
(9) dal sito internet www.spr.it

APPENDICE

Tabella 1.

Parchi biotecnologici 

Figura 1.
a) distribuzione delle aziende biotech sul territorio italiano
b) ripartizione per dimensioni

Parchi biotecnologici

Alessandra Adessi, laureata in Biotecnologie agrarie presso l’Università di Firenze, è iscritta al corso di laurea specialistica in Biotecnologie Ambientali e Industriali.

Rubrica Biotech e dintorni – A cura di Alessio Cavicchi, Ricercatore di Economia Agraria presso l’Università degli Studi di Macerata. Docente a contratto di Economia Aziendale presso il Corso di Laurea Specialistica in Biotecnologie dell’Università degli Studi di Firenze. Curriculum vitae >>>

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