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di Giuseppe Maria Fraddosio

La zootecnia italiana nel 2006: cominciamo bene!
E’ ormai inutile, a parere di chi scrive, aggiungere voci al già nutrito coro di polemiche e lamentele sullo stato della nostra zootecnia. Questa – com’è noto ad alcuni – fu, in passato, espressione viva e feconda di una cultura ricchissima e variegata, oggetto d’incondizionata ammirazione da parte dell’Europa intera. Oggi – com’è da tutti risaputo – essa è ridotta ad attività economica d’importanza secondaria, indebolita nel tempo da una serie sciagurata di scelte di indirizzi produttivi (per lo più d’importazione) quasi mai corrispondenti alle reali esigenze collettive degli abitanti del nostro paese.

Quella di cui l’Italia ha davvero bisogno è una zootecnia qualitativamente assai prestigiosa – nel solco delle migliori tradizioni allevatoriali degli stati preunitari – e quantitativamente idonea a soddisfare almeno i due terzi del fabbisogno alimentare della popolazione in ciascuno dei due principali comparti produttivi del settore: quello delle carni (bovine, suine, ovine, caprine, cunicole ed avicole) e quello del latte (bovino, ovino, caprino ed equino) e dei suoi derivati.

Il primo passo da compiere in tale direzione consisterà in un lento ma costante approccio metodologico e pratico ad una prospettiva di sana e proficua integrazione tra la difesa dell’ambiente naturale italiano e la ripresa di un’agricoltura e di una zootecnia basate sul riconoscimento e sulla valorizzazione, tanto in termini etici quanto in termini giuridici ed economici, delle biodiversità e cioè delle peculiarità genetiche (animali, vegetali e minerali) storicamente radicate nelle diverse aree geografiche del nostro territorio nazionale.

A dare spessore morale, legislativo, scientifico e tecnico a siffatta visione di quella che tornerà ad essere attività economica primaria in un’Italia ben inserita nel più ampio quadro geopolitico della Comunità Europea provvederanno sia i nostri alti organi costituzionali (Presidente della Repubblica, Parlamento e Governo), sia le amministrazioni regionali e locali, mediante robusti strumenti normativi e regolamentari che riflettano inequivocabilmente le aspirazioni e le indicazioni rappresentative delle più nobili istanze della nostra coscienza di italiani.

Dal canto loro, le istituzioni accademiche forniranno un insostituibile contributo di ricerche, studi e sperimentazioni per favorire la migliore possibile attuazione dei programmi di sviluppo agro-zootecnico, nel pieno rispetto della natura e dei ritmi biologici che essa provvidenzialmente impone all’umanità.

Chi, tra gli agricoltori ed allevatori del nostro paese, si sia già posto od intenda porsi onestamente in tale ottica di sviluppo del settore zootecnico vedrà premiate le proprie fatiche ed acquisterà, col passare degli anni, una sempre maggiore consapevolezza della dignità e dell’utilità pubblica del proprio lavoro, di cui si sentirà via via più orgoglioso.

Niente altro occorre prefigurare, agli albori di questo nuovo anno, per un più promettente futuro della nostra zootecnia. Non mancheranno, ovviamente, ostacoli e difficoltà di vario tipo e di varia portata, in presenza dei quali sapremo dimostrare la pazienza, la tenacia, il coraggio e la perspicacia che hanno finora mirabilmente contrassegnato la storia della nostra grande civiltà. Siano queste doti del nostro animo il migliore viaticum per il lungo cammino che ci attende.

Tori di razza Maremmana
Tori Maremmani (Parco Naturale della Maremma)

Giuseppe Maria Fraddosio svolge dal 1987 per proprio conto ricerche e studi su alcune antiche razze italiane di animali domestici e collabora con il periodico l’Allevatore. E’ autore di alcuni saggi di storia della zootecnia, in particolare sul cane Mastino Abruzzese e sul cavallo Corsiero Napolitano.

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