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di Mauro Bertuzzi


L’acquacoltura è una tecnica di produzione di organismi acquatici, essenzialmente pesci, crostacei, molluschi e anche alghe, in ambienti definiti, confinati e controllati dall’allevatore. A seconda del tipo di allevamento, questi habitat vengono denominati: peschiere, vivai, valli da pesca oppure stagni.
Il termine acquacoltura, si contrappone in genere alla pesca, tecnica nella quale l’uomo si limita a prelevare dagli stock naturali i prodotti di cui necessita.
La bivalvicoltura viene considerata una forma di acquacoltura nella quale l’intervento dell’allevatore viene solitamente limitato a fornire un supporto meccanico adatto all’attecchimento degli organismi acquatici, per facilitarne lo sviluppo ed il prelievo finale; nella produzione dei molluschi bivalvi (bivalvia), le fasi di ingrasso sono generalmente affidate alla disponibilità trofica dell’ambiente naturale. Il “seme”, ossia il materiale più giovane da avviare all’ingrasso, è più frequentemente prelevato dal mare, ma in alcuni casi può anche essere prodotto artificialmente in appositi spazi chiamati schiuditoi. In queste strutture, vengono prodotte grandi quantità di microalghe necessarie all’alimentazione dei bivalvi, fino al raggiungimento della dimensione adatta alla messa a dimora definitiva.
L’acquacoltura costituisce oggi un settore economico molto importante all’interno del settore alimentare, la sua crescita nel mondo sta avvenendo molto rapidamente, per molte specie oltre il 10% annuo, mentre al contrario il contributo della pesca tradizionale è rimasto costante, se non in diminuzione nell’ultimo decennio.
Alcuni scienziati e organizzazioni no-profit, hanno però contestato alcuni aspetti dell’acquacoltura, soprattutto di quella iperintensiva, sia per alcuni danni ambientali che questa può comportare, sia per il rispetto dei diritti degli animali. Tuttavia, proprio per motivi ambientali e di sostenibilità, la FAO ha indicato questo genere di allevamento, come un’opportunità per fornire risorse alimentari a una parte della popolazione mondiale, soprattutto per una maggiore diversificazione della dieta, non solo a beneficio dei paesi più poveri, ma anche per sostenere i consumi dei paesi occidentali, in considerazione della costante riduzione degli stock ittici naturali.
Altri aspetti interessanti del prodotto proveniente da questi allevamenti, sono la rintracciabilità e la sua sicurezza alimentare, soprattutto per quanto riguarda il rischio di bioaccumulo di alcuni contaminanti ambientali quali i metalli pesanti, i PCB e le diossine, che tendono a concentrarsi attraverso la catena alimentare acquatica, particolarmente nelle specie ittiche di grandi dimensioni quali ad esempio i tonni, i pesci spada, la rana pescatrice, alcuni squali e razze.


Modalità di gestione


In funzione alle modalità di gestione e intensità dei flussi energetici coinvolti, l’acquacoltura viene principalmente suddivisa in acquacoltura estensiva, intensiva e iperintensiva.


L’acquacoltura estensiva


L’acquacoltura estensiva, è principalmente rappresentata dalla vallicoltura marina e la stagnicoltura (principalmente d’acqua dolce).
In questa modalità di gestione, l’allevatore si limita alla preparazione ottimale dei bacini destinati all’allevamento, controllando la natura e lo stato del loro fondo e degli argini, spesso aumentando la produttività naturale degli stessi mediante la cosiddetta concimazione preventiva.
La semina del novellame, la pesca, la selezione e il controllo dello stato sanitario dell’animale, fanno parte della gestione, ma il pesce cresce soprattutto in funzione della densità dell’allevamento (kg di pesce per ettaro di superficie di bacino) e delle condizioni ambientali: natura del fondale, latitudine e temperatura. Questi parametri determinano la produttività primaria, ossia la produzione di biomassa vegetale fotosintetizzante, costituita principalmente da fitoplancton e, conseguentemente, da tutta la catena trofica successiva (zooplancton e piccoli invertebrati). La fotosintesi delle microalghe presenti, oltre a fornire indirettamente l’energia per la crescita degli animali allevati, produce anche l’ossigeno necessario per la respirazione dei pesci, riducendo in questo modo sia il biossido di carbonio che l’ammoniaca prodotta. Si tratta di un sistema ambientale chiuso, con un apporto minimo di acqua, necessario a compensare l’evaporazione; molto importante perchè privo di impatti sull’ambiente, escluso l’intervento necessario alla creazione dei bacini, devastante però, in particolari ecosistemi quale quello delle mangrovie.
Spesso in questo tipo di allevamento, vengono allevate nello stesso ambiente più specie, con abitudini alimentari anche diverse, stato definito “policoltura”; questa situazione è molto importante perché permette un miglior sfruttamento energetico delle risorse trofiche e contestualmente un miglioramento della produttività del sistema.


L’acquacoltura intensiva


L’acquacoltura intensiva presenta una certa densità di allevamento, incrementata poi dalla naturale produttività del bacino di allevamento; in questa modalità di gestione, l’alimentazione viene integrata artificialmente mediante la somministrazione di alimenti naturali (pesci o cereali) o mangimi formulati.


L’acquacoltura iperintensiva


Nell’acquicoltura iperintensiva l’acqua all’interno dei bacini, viene continuamente rinnovata, ma, nonostante ciò, è comunque fondamentale fornire ulteriore ossigeno indispensabile alla respirazione del pesce. E’ necessario in questo tipo di allevamento, che vengano controllati molti parametri ambientali: temperatura, ossigeno, illuminazione, pH, salinità e ammoniaca, e che i mangimi debbano essere sempre formulati. L’impatto ambientale di questo tipo di allevamento dipende da molte variabili, tra le quali il tipo di gestione, la specie allevata e la tecnologia dell’impianto produttivo.
Il sistema a ricircolo RAS (Recirculated Aquaculture System) è il più moderno e più utilizzato nell’acquacoltura iperintensiva.
In questi impianti, l’acqua può essere sottoposta a diversi tipi di trattamento: meccanico, biologico, termico, riequilibrio gassoso, riequilibrio chimico e abbattimento batterico, ma il nucleo basilare del sistema è rappresentato dal biofiltro; costituito da un complesso in grado di fornire enormi superfici di attecchimento ai batteri Nitrosomonas e Nitrobacter, in grado di trasformare l‘ammoniaca escreta dai pesci, in nitrati (forma chimica dell’azoto meno tossica per gli animali). L’utilizzo di questi batteri denitrificanti, in presenza di una fonte di carbonio organico, permette anche l’eliminazione di nitrati sotto forma di azoto gassoso. Questo approccio, che riproduce in piccoli spazi processi naturali tipici dell’ambiente marino naturale, consente da una parte notevole risparmio idrico e una riduzione delle emissioni azotate nell’ambiente esterno, dall’altra però, un peggioramento della qualità organolettica del prodotto allevato. Tuttavia l’elevato grado di controllo su molti parametri ambientali e soprattutto sugli agenti patogeni, consente a questa tecnica, di essere utilizzata per l’allestimento di avannotterie, strutture riservate all’allevamento degli stadi giovanili dei pesci (avannotti), specialmente quando questi necessitano di particolari condizioni termiche o di qualità dell’acqua.
Il sistema integrato IMTA (Integrated Multi-Trophic Aquaculture), consente di allevare e coltivare specie animali e vegetali diversi, utilizzando per la loro crescita, parte delle perdite energetiche dovute alla produzione di ognuna di esse. Ad esempio, le deiezioni animali possono essere utilizzate per produrre piante o alghe, queste poi possono essere utilizzate come foraggio per altri animali. Questa metodologia utilizzata per lo più in Asia, viene particolarmente studiata dalla FAO, per incrementare la disponibilità di cibo in aree del mondo sottosviluppate.


L’ambiente


In relazione al tipo di ambiente nel quale l’acquacoltura può essere esercitata, viene solitamente suddivisa per habitat:


  1. in acqua salata (maricoltura);
  2. acqua calda, fredda e temperata.

La maricoltura


Questo tipo di allevamento, può essere esercitato in impianti di gabbie galleggianti o in impianti costieri a terra; questi ultimi, possono essere di tipo estensivo, generalmente in ambienti lagunari (chiamati vallicoltura) o intensivo e organizzati in vasche con ricambio idrico forzato.
A seconda poi della distanza dalla costa e dal grado di riparo che questa può fornire ai relativi recinti dall’impatto delle onde e dal vento, si possono distinguere gli impianti in gabbie galleggianti offshore o inshore.
Le sistemazioni offshore (o sopracosta) presentano maggiori difficoltà di gestione e strutture molto più costose, però essendo situati al largo in acque profonde e soggette a forti correnti, generalmente non presentano problemi di accumulo di inquinanti sul fondale o deleteri fenomeni di ombreggiamento sullo stesso e, conseguentemente, una riduzione della possibilità di crescita delle fanerogame marine (Angiosperme monocoltiledoni acquatiche, importanti per l’ambiente marino).
Gli impianti inshore (o sottocosta) invece, richiederebbero a priori, un’attenta valutazione degli impatti ambientali prima dell’installazione, calcolando attentamente svariati parametri quali: la profondità dell’acqua, le correnti e i venti dominanti, la superficie delle gabbie, la distanza tra di esse e la quantità di mangime da somministrare al pesce. Va poi considerato anche l’impatto sulla navigazione e sul turismo locale, in quanto uno dei problemi più contestati a impianti di questo tipo, sono la possibilità di fughe di pesce allevato ed il conseguente rischio di riduzione della variabilità genetica delle popolazioni ittiche selvatiche. Per esempio in Norvegia, le licenze per l’installazione degli impianti sottocosta, tipicamente all’interno dei fiordi, prevedono il periodico spostamento dell’impianto per consentire all’ambiente il naturale recupero dell’equilibrio ecologico iniziale.
Per questo tipo di allevamento, le produzioni più importanti sono costituite da salmone (in Norvegia, Scozia, Cile e Canada), orate e spigole (specie mediterranee) e da tilapia o pangasio; questi ultimi (in Asia) in particolare, invece che in mare, vengono allevati con gabbie in laghi e fiumi d’acqua dolce.


L’acquacoltura di acqua fredda, calda e temperata


L’acquacoltura in acqua fredda, gestita con impianti simili alla maricoltura, si distingue per la T dell’allevamento che, solitamente, avviene a temperature inferiori a 16°C, le cui specie comunemente allevate sono i salmonidi e altre che tollerano queste condizioni termiche; l’acquacoltura in acqua calda invece, necessità di T superiori ai 24°C, e riguarda principalmente l’allevamento dei ciprinidi (es. carpa e tinca), di varie specie di pescegatto, anguilla, persico spigola ed in genere di tutte le specie che crescono meglio con queste calde temperature.
Vengono allevate anche specie con acqua temperata che, presenta un optimum termico attorno ai 20°C, di questo gruppo fanno parte tutte le specie di storioni (famiglia Acipenseridae), che costituiscono l’oggetto produttivo della storionicoltura finalizzata principalmente alla carne e al caviale, ma anche al ripopolamento di aree naturali.


Allevamento di trote in Trentino
Allevamento di trote in Trentino


Mauro Bertuzzi, laureato in Scienze e Tecnologie Agrarie presso la Facoltà di Agraria di Milano, è Presidente del collegio provinciale di Milano e Lodi degli Agrotecnici e Agrotecnici Laureati. Curriculum vitae >>>


 






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