Con­di­vi­di l'ar­ti­co­lo
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di Giu­lia­no Rus­si­ni


L’es­se­re umano (Homo sa­piens sa­piens), sot­to­spe­cie o razza dell’Homo sa­piens, è af­fe­ren­te al­l’or­di­ne dei Pri­ma­ti (Pri­ma­tes), cu­gi­no dei pri­ma­ti e delle gran­di scim­mie an­tro­po­mor­fe più che un loro di­scen­den­te di­ret­to (come sup­po­ne­va­no fino al se­co­lo scor­so i bio­lo­gi), tutti a loro volta di­scen­den­ti da un pre­cur­so­re an­ce­stra­le co­mu­ne.
Di­ver­se, nel corso della sto­ria zoo­lo­gi­ca, sono state le de­fi­ni­zio­ni che hanno con­no­ta­to l’es­se­re umano: una “scim­mia nuda” come il gran­de bio­lo­go zoo­lo­go bri­tan­ni­co De­smond Mor­ris lo de­fi­nì nel suo sag­gio usci­to nella se­con­da metà degli anni ’70 del se­co­lo scor­so, con ti­to­lo omo­ni­mo alla de­fi­ni­zio­ne, in cui ve­ni­va­no trac­cia­te le dif­fe­ren­ze e le si­mi­li­tu­di­ni tra la so­cio­bio­lo­gia e la psi­co­lo­gia dei pri­ma­ti umani e non.
Da altri bio­lo­gi venne de­fi­ni­to la “scim­mia in­tel­li­gen­te” e molte altre fu­ro­no le de­fi­ni­zio­ni, dal punto di vista zoo­bio­lo­gi­co, an­tro­po­lo­gi­co, et­no­bio­lo­gi­co ed ar­cheo­lo­gi­co.
L’es­se­re umano ha la chia­ve di volta in ter­mi­ni evo­lu­ti­vi nello svi­lup­po psi­chi­co che lo ca­rat­te­riz­za, a cui cor­ri­spon­do­no cor­re­la­ti ana­to­mi­ci coe­ren­ti alla sua or­ga­niz­za­zio­ne so­cia­le: au­men­to del vo­lu­me della cap­su­la cra­ni­ca, spic­ca­ta gi­roen­ce­fa­lia (nu­me­ro di ri­pie­ga­men­ti della neo­cor­tec­cia, che fanno so­mi­glia­re il cer­vel­lo nudo a una noce senza gu­scio) e un au­men­to sen­si­bil­men­te più gran­de ri­spet­to le scim­mie an­tro­po­mor­fe più in­tel­li­gen­ti come lo Scim­pan­zè (Pan tro­glo­dy­tes), l’O­ran­gu­tan (Pongo pyg­maeus), il Go­ril­la (Go­ril­la go­ril­la), il Bo­no­bo (Pan pa­ni­scus) o anche altri mam­mi­fe­ri a gran­de svi­lup­po psi­chi­co, come il Del­fi­no Tur­sio­pe (Tur­siops trun­ca­tus) e il Del­fi­no co­mu­ne (Del­phi­nus del­phis), nello spes­so­re della neo­cor­tec­cia stes­sa.
Que­sti fat­to­ri, in­sie­me allo svi­lup­po evo­lu­ti­vo cul­tu­ra­le, sono gli ele­men­ti che si sono com­bi­na­ti nella fu­ci­na evo­lu­ti­va che in qual­che ma­nie­ra hanno per­mes­so al­l’es­se­re umano di pas­sa­re da una con­di­zio­ne di Omi­ni­de (Ho­mi­ni­dae), uomo pri­mi­ti­vo o delle ca­ver­ne, a una di es­se­re sen­zien­te; ciò lo rende in pos­ses­so quin­di di ca­pa­ci­tà ma­nua­li-co­strut­ti­ve, astrat­ti­ve-ver­ba­li, co­gni­ti­ve-emo­zio­na­li, di ca­pa­ci­tà or­ga­niz­za­ti­ve e pro­get­tua­li, con as­so­cia­te pre­ro­ga­ti­ve ana­to­mo-fi­sio­lo­gi­che come la po­stu­ra bi­pe­de, vi­sio­ne ste­reo­sco­pi­ca e in grado di per­ce­pi­re i co­lo­ri nello spet­tro del vi­si­bi­le.
L’in­sie­me di que­sti fat­to­ri com­ples­si ha per­mes­so la na­sci­ta delle di­ver­se “Ci­vil­tà Umane”. L’in­ven­zio­ne della pa­ro­la prima e poi della pit­tu­ra e della scrit­tu­ra, con la na­sci­ta delle di­ver­se lin­gue, sono i mezzi più po­ten­ti per mezzo dei quali viene tra­smes­sa l’e­re­di­tà cul­tu­ra­le, con una ef­fi­cien­za equi­va­len­te a quel­la dei geni, per l’e­re­di­tà bio­lo­g­i­co-fi­si­ca; que­sti hanno ga­ran­ti­to la na­sci­ta e lo svi­lup­po di in­nu­me­re­vo­li Ci­vil­tà Umane che ca­rat­te­riz­za­no la sto­ria del­l’U­ma­ni­tà.
Tra le tante in­ven­zio­ni degli es­se­ri umani, quel­le che sono con­si­de­ra­te fon­da­men­ta­li, sono l’a­gri­col­tu­ra e la pa­sto­ri­zia, nate circa 14.000 anni fa, con­tem­po­ra­nea­men­te, in varie parti del pia­ne­ta. Que­ste rap­pre­sen­ta­no con­di­zio­ni nelle quali pian­te e ani­ma­li che hanno sin dal­l’o­ri­gi­ne dei primi Ho­mi­ni­dae con­vis­su­to con essi e quin­di poi con l’es­se­re umano (Homo sa­piens sa­piens), ven­go­no per la prima volta ge­sti­te se­con­do forme or­ga­niz­za­te di re­la­zio­ne, uo­mo-ani­ma­li-pian­te, che si con­cla­ma­no con l’al­le­va­men­to, la col­ti­va­zio­ne e l’ad­do­me­sti­ca­men­to.
In que­sto ar­ti­co­lo vo­glio trac­cia­re un po’ a gran­di linee la “Sto­ria Na­tu­ra­le” dal punto di vista et­no­bio­lo­gi­co, del rap­por­to-scon­tro-col­la­bo­ra­zio­ne, tra i mem­bri di que­sti “due mondi”, lungo il corso della sto­ria umana. Mi li­mi­te­rò a fare una de­scri­zio­ne sto­ri­co bio­lo­g­i­ca, come bio­lo­go (et­no­zoo­lo­go, eco­lo­go), evi­tan­do di dare giu­di­zi, anche se ob­biet­ti­va­men­te per al­cu­ni am­bi­ti, dove an­co­ra oggi ven­go­no uti­liz­za­ti gli ani­ma­li, sono in to­ta­le di­sac­cor­do, ma che non rien­tra­no nello scopo di que­sto ar­ti­co­lo che è più una cro­na­ca sto­ri­ca degli even­ti, pur con­si­de­ran­do che un’e­ti­ca po­si­ti­vi­sta, do­vreb­be sem­pre per­va­de­re l’es­se­re umano, in un’ot­ti­ca di sal­va­guar­dia della bio­sfe­ra, con­si­de­ran­do che tutti quan­ti noi (es­se­ri umani, ani­ma­li e pian­te) siamo ospi­ti di que­sto pia­ne­ta e, come scris­se du­ran­te gli anni ’70 del XX se­co­lo, il gran­de bio­lo­go Ed­wuard Osbor­ne Wil­son, fon­da­to­re della So­cio­bio­lo­gia e uno dei mas­si­mi esper­ti mon­dia­li di Bio­di­v­er­si­tà: “L’es­se­re umano su que­sto pia­ne­ta, in quan­to spe­cie più “in­tel­li­gen­te”, do­vreb­be con­si­de­rar­si come un al­be­ro, i cui rami, sono le ster­mi­na­te spe­cie ani­ma­li e ve­ge­ta­li che lo com­pon­go­no e com­pon­go­no la di­ver­si­tà bio­lo­g­i­ca, per cui per­de­re uno di que­sti rami, equi­var­reb­be a per­met­te­re l’am­pu­ta­zio­ne di uno dei pro­pri arti, ren­den­do­ne sem­pre più com­pli­ca­ta la vita; ra­gion per cui, l’im­pe­gno di tutti, per la sal­va­guar­dia della di­ver­si­tà bio­lo­g­i­ca, do­vreb­be es­se­re mo­ti­vo d’or­go­glio, oltre che un do­ve­re etico per tra­smet­te­re ai/e far go­de­re anche i no­stri figli e i no­stri ni­po­ti, delle stes­se cose di cui ab­bia­mo po­tu­to go­de­re noi…..!”.


I rap­por­ti del­l’uo­mo con gli ani­ma­li sono mol­te­pli­ci e com­ples­si


Ad al­cu­ni ani­ma­li, l’uo­mo di­spu­ta il nu­tri­men­to e lo spa­zio vi­ta­le (quel­lo in cui una spe­cie ani­ma­le è in grado di ri­pro­dur­si), di altri è il prin­ci­pa­le pre­da­to­re, men­tre -spe­cial­men­te in pas­sa­to- era lui preda di spe­cie ani­ma­li dif­fe­ren­ti, altri an­co­ra sono da lui ad­do­me­sti­ca­ti, men­tre nu­me­ro­si pa­ras­si­ti vi­vo­no sopra ed entro il suo corpo, come “ec­to­pa­ras­si­ti” e “en­do­pa­ras­si­ti”.
L’Homo sa­piens è com­par­so sulla Terra circa 300.000 anni fa, men­tre l’Homo sa­piens sa­piens data circa 12.000-14.000 anni, quan­do le varie spe­cie di Ho­mi­ni­dae, da “pa­lean­tro­pe” sono di­ve­nu­te “fa­ne­ran­tro­pe”, at­tra­ver­so un per­cor­so du­ra­to mi­glia­ia di anni, a cui cor­ri­spon­de un au­men­to della ma­nua­li­tà: la­vo­ra­zio­ne del­l’os­so, pro­du­zio­ne di uten­si­li per la cac­cia, ac­ce­le­ra­zio­ne del­l’in­du­stria li­ti­ca con pro­du­zio­ne di ma­nu­fat­ti, rap­pre­sen­ta­zio­ni ar­ti­sti­che e riti re­li­gio­si.
Come detto, le at­ti­vi­tà umane, dalla cac­cia fino al­l’a­gri­col­tu­ra, rap­pre­sen­ta­no due delle prin­ci­pa­li, tra le in­nu­me­re­vo­li re­la­zio­ni che l’u­ma­no ha in­tes­su­to nella sua sto­ria evo­lu­ti­va con le altre spe­cie ani­ma­li.
L’a­gri­col­tu­ra e l’ur­ba­niz­za­zio­ne hanno di­strut­to e stan­no di­strug­gen­do molti ha­bi­tat di ani­ma­li sel­vag­gi e pian­te spon­ta­nee, ma nello stes­so tempo, ne hanno crea­ti di nuovi. Pian­ta­gio­ni e siepi ac­col­go­no sia spe­cie no­ci­ve alle col­tu­re, sia i loro pre­da­to­ri na­tu­ra­li. Gli edi­fi­ci pro­cu­ra­no nuovi ter­re­ni di cac­cia ai ragni, luo­ghi per i nidi alle ron­di­ni, pic­cio­ni, co­lom­be, tor­to­re, ba­le­struc­ci e ri­pa­ri per i pi­pi­strel­li. Giar­di­ni e par­chi ur­ba­ni of­fro­no ri­fu­gio a una gran­de va­rie­tà di uc­cel­li. In com­pen­so, molti altri ani­ma­li aiu­ta­no l’uo­mo. Nei giar­di­ni, i ricci e i ragni man­gia­no in­set­ti no­ci­vi e le api (ime­not­te­ri) im­pol­li­na­no i no­stri fiori. Anche le mo­sche (dit­te­ri), come le loro larve, sono utili, con­tri­buen­do alla de­com­po­si­zio­ne dei ri­fiu­ti or­ga­ni­ci.
Molte per­so­ne sulla Terra ac­col­go­no nelle loro case ani­ma­li do­me­sti­ci e in al­cu­ni casi anche sel­vag­gi (com­met­ten­do un er­ro­re, in que­st’ul­ti­mo caso).
I gechi (or­di­ne Squa­ma­ta, fa­mi­glia Gek­ko­ni­dae, si­mi­li alle lu­cer­to­le), ven­go­no in al­cu­ne parti del­l’A­sia e del­l’In­do­ci­na, al­le­va­ti e te­nu­ti nelle case, poi­ché sono dei di­vo­ra­to­ri di in­set­ti.
Tra i ne­mi­ci na­tu­ra­li del­l’uo­mo, tro­via­mo i pa­ras­si­ti, o quel­li che agi­sco­no come vet­to­ri di agen­ti pa­to­ge­ni. I pa­ras­si­ti che vi­vo­no tem­po­ra­nea­men­te o in per­ma­nen­za sulla pelle degli umani, come pulci (ad esem­pio Pulex ir­ri­tians) o pi­doc­chi, sono de­fi­ni­ti “ec­to­pa­ras­si­ti”. Al­cu­ni, come i pi­doc­chi, cau­sa­no ir­ri­ta­zio­ni, altri più pe­ri­co­lo­si, ad esem­pio la pulce pe­ne­tran­te dei Tro­pi­ci (es. Xe­nop­sil­la cheo­pis), scava sotto la pelle cau­san­do degli asces­si do­lo­ro­sis­si­mi.
Varie larve di estri­di (dit­te­ri mia­si­ge­ni) sono car­ni­vo­re e pos­so­no, pe­ne­tran­do il sot­to-cu­ta­neo, op­pu­re rag­giun­gen­do gli or­ga­ni ga­stroen­te­ri­ci, cau­sa­re emor­ra­gie co­pio­se (come nel­l’e­stro equi­no) e sca­va­re fino al mu­sco­lo.
Gli Iru­di­nei (san­gui­su­ghe), le ci­mi­ci dei letti e le zan­za­re pos­so­no nu­trir­si di san­gue umano, oltre che ani­ma­le. I pa­ras­si­ti in­ter­ni, detti “en­do­pa­ras­si­ti”, si svi­lup­pa­no, cioè svol­go­no gran parte del loro ciclo vi­ta­le, nel corpo del­l’es­se­re umano ospi­te. Essi, com­pren­do­no le tenie, che vi­vo­no nel­l’in­te­sti­no e pos­so­no rag­giun­ge­re i 12 m di lun­ghez­za; or­ga­ni­smi privi di ap­pa­ra­to di­ge­ren­te, poi­ché si nu­tro­no -as­sor­ben­do­lo- di ciò che tro­va­no nel tubo ali­men­ta­re del­l’o­spi­te. Altre sono le fi­la­rie del­l’A­fri­ca, che s’in­se­dia­no per­fi­no nel­l’oc­chio. Fra i pa­ras­si­ti pa­to­ge­ni, vi sono i pro­to­zoi del ge­ne­re Pla­smo­dium, ani­ma­li uni­cel­lu­la­ri, che fanno mo­ri­re di “ma­la­ria” più di un mi­lio­ne di per­so­ne l’an­no.
Un altro pro­to­zoo pa­to­ge­no, Try­pa­no­so­ma gam­bien­se, è l’a­gen­te della ma­lat­tia del sonno. Al ge­ne­re Leish­ma­nia, ap­par­ten­go­no spe­cie che pro­cu­ra­no agli es­se­ri umani, oltre che agli ani­ma­li, ane­mie dette “leish­ma­nio­si”, co­mu­ni in Afri­ca e in Asia. La “Bi­lhar­zio­si”, cau­san­te la di­sto­ma­to­si san­gui­gna, che in­fe­ri­sce in varie parti del­l’A­fri­ca, è pro­vo­ca­ta da pla­tel­min­ti come lo Schi­sto­so­ma hae­me­to­bium, ed è causa di emor­ra­gia e ma­croe­ma­tu­ria mar­ca­ta (per­di­ta cor­po­sa di san­gue nelle urine), con circa 300.000 morti l’an­no. Que­ste ma­lat­tie e molte altre sono tra­smes­se al­l’uo­mo da ani­ma­li vet­to­ri.
Il solo ge­ne­re Ano­phe­les com­pren­de 175 spe­cie di zan­za­re, le cui fem­mi­ne pun­gen­do e suc­chian­do il san­gue dal mal­ca­pi­ta­to umano, ne­ces­sa­rio per far ma­tu­ra­re le loro ovo­cel­lu­le, sono in grado di tra­smet­ter­gli la “ma­la­ria”!
La zan­za­ra Aedes ae­gyp­ti tra­smet­te la pe­ri­co­lo­sis­si­ma “feb­bre gial­la”; le mo­sche del ge­ne­re Glos­si­na, come la spe­cie Glos­si­na pal­pa­lis, por­ta­no il germe della ma­lat­tia del sonno; ed è per mezzo di altri dit­te­ri, che l’a­gen­te della Leish­ma­nio­si viene tra­smes­so. Al­cu­ni ga­ste­ro­po­di ac­qua­ti­ci sono i vet­to­ri della ci­ta­ta Bi­lhar­zio­si e, vari mam­mi­fe­ri, com­pre­si pi­pi­strel­li, volpi, lupi, ca­val­li, pe­co­re pos­so­no tra­smet­te­re il virus della rab­bia. La peste bub­bo­ni­ca, cau­sa­ta dal ba­cil­lo Yer­si­nia pe­stis, può es­se­re por­ta­ta e tra­smes­sa dalle pulci dei ratti, il tifo dai pi­doc­chi e la feb­bre ti­foi­dea, la dis­sen­te­ria, come anche il co­le­ra, dalle mo­sche do­me­sti­che (Musca do­me­sti­ca). Pap­pa­gal­li e pic­cio­ni ma anche altri uc­cel­li, tra­smet­to­no la “psit­ta­co­si” cau­sa­ta dal­l’a­gen­te Chla­my­dia psit­ta­ci; se­con­do al­cu­ni bio­lo­gi or­ni­to­lo­gi, poi­ché, con­tra­ria­men­te a quan­to in pas­sa­to si ri­te­ne­va, que­sta pa­to­lo­gia al­l’es­se­re umano non è tra­smes­sa solo dai mem­bri della fa­mi­glia degli Psit­ta­ci­dae, pap­pa­gal­li, ma anche dai mem­bri di altre fa­mi­glie d’uc­cel­li (inol­tre, spes­so, i pap­pa­gal­li ne ven­go­no in­fet­ta­ti dal con­tat­to con pic­cio­ni che glie­lo tra­smet­to­no), sa­reb­be più cor­ret­to chia­mar­la “or­ni­to­si” piut­to­sto che “psit­ta­co­si”.
Varie dro­ghe, come il “chi­ni­no” e oggi, il suo equi­va­len­te sin­te­ti­co, usato con­tro la ma­la­ria, at­tac­ca­no di­ret­ta­men­te i pa­ras­si­ti, men­tre gli in­set­ti­ci­di e altri ve­le­ni (pe­sti­ci­di, an­ti­crit­to­ga­mi­ci), ne com­bat­to­no i vet­to­ri, pur cau­san­do ef­fet­ti de­le­te­ri per l’am­bien­te per nulla tra­scu­ra­bi­li, en­tran­do anche nella ca­te­na ali­men­ta­re degli ani­ma­li e degli es­se­ri umani. I vac­ci­ni, in­fi­ne, con­fe­ri­sco­no im­mu­ni­tà con­tro al­cu­ni agen­ti pa­to­ge­ni di que­ste ma­lat­tie, men­tre al­cu­ni che­mio­te­ra­pi­ci e an­ti­bio­ti­ci sono in grado di con­tra­star­ne altri.
Quin­di, è evi­den­te che, dalla na­sci­ta del­l’es­se­re umano, tra lui e al­cu­ne spe­cie ani­ma­li è in corso una guer­ra con­ti­nua nel tempo, per chi deve ri­ma­ne­re sul Pia­ne­ta Terra.


Ani­ma­li con­cor­ren­ti


Al­cu­ni ani­ma­li si ren­do­no no­ci­vi, di­strug­gen­do ogni anno dal 10 al 25% della pro­du­zio­ne ali­men­ta­re mon­dia­le del­l’uo­mo. L’In­dia, perde così il 20% circa dei suoi rac­col­ti, ogni anno. Si pensi alle enor­mi scia­ma­tu­re delle lo­cu­ste (es. Lo­cu­sta mi­gra­to­ria) in Afri­ca, Asia, Ame­ri­ca, ogni anno, dove in pochi mi­nu­ti pos­so­no de­va­sta­re et­ta­ri di rac­col­to. Op­pu­re anche ai ro­di­to­ri (topi, ratti), le cui po­po­la­zio­ni gra­ni­vo­re pos­so­no rag­giun­ge­re le di­men­sio­ni di mi­lio­ni di unità, in spazi re­la­ti­va­men­te pic­co­li, come un ca­pan­no­ne agri­co­lo. Que­sti de­va­sta­to­ri pos­so­no es­se­re com­bat­tu­ti di­ret­ta­men­te per mezzo di trap­po­le, armi da fuoco e ve­le­ni (so­prat­tut­to con­tro i ro­di­to­ri), o in­di­ret­ta­men­te, per mezzo di pra­ti­che agri­co­le come la ro­ta­zio­ne.
Re­cen­te­men­te bio­lo­gi ed agro­no­mi hanno spe­ri­men­ta­to tec­ni­che di”lotta bio­lo­g­i­ca” che con­si­sto­no nella dif­fu­sio­ne di in­set­ti “en­to­mo­fa­gi”. Per esem­pio, i danni pro­dot­ti agli agru­me­ti della Ca­li­for­nia, dalla Coc­ci­ni­glia au­stra­lia­na (Pe­ri­ce­rya pur­cha­si), sono stati eli­mi­na­ti in­tro­du­cen­do in Ame­ri­ca un pre­da­to­re spe­ci­fi­co di que­sto in­set­to, il co­leot­te­ro del ge­ne­re Ro­do­lia.
Una tec­ni­ca mo­der­na di lotta, con­tro gli in­set­ti no­ci­vi, con­si­ste nella ste­ri­liz­za­zio­ne dei ma­schi di que­sti ul­ti­mi con ra­dia­zio­ni nu­clea­ri!
Gli in­di­vi­dui, resi ste­ri­li, sono per il resto per­fet­ta­men­te vi­ta­li e, in seno alla po­po­la­zio­ne na­tu­ra­le, con­ti­nua­no la loro at­ti­vi­tà, com­pre­sa quel­la del­l’ac­cop­pia­men­to, dal quale però, pro­prio per il trat­ta­men­to su­bi­to, non de­ri­va pro­ge­nie, ma quan­ti danni per l’am­bien­te?
Nes­sun ani­ma­le fa del­l’uo­mo la sua preda esclu­si­va, in Afri­ca i morti am­maz­za­ti da leoni, leo­par­di, coc­co­dril­li, come in Asia da tigri, leo­par­di, coc­co­dril­li e ga­via­li, nelle Ame­ri­che, ad opera di gia­gua­ri, al­li­ga­to­ri, cai­ma­ni e del­l’a­na­con­da, o negli ocea­ni e mari, ad opera di squa­li e orche, sono co­mun­que ca­sua­li; anche al­cu­ni er­bi­vo­ri come ip­po­po­ta­mi, ele­fan­ti e bu­fa­li cafri, sono causa di morte di umani, pur non es­sen­do loro pre­da­to­ri e non man­gian­do­li.
Altri car­ni­vo­ri-pre­da­to­ri del­l’uo­mo, più o meno ca­sua­li, sono orsi, lupi, iene e pi­to­ni, ov­via­men­te se l’oc­ca­sio­ne ca­pi­ta un es­se­re umano non ha scam­po!
Spes­so l’uc­ci­sio­ne di un umano, è a causa di una rea­zio­ne di di­fe­sa o paura, da parte di uno di que­sti ani­ma­li; più di 300 spe­cie sono causa di morte per es­se­ri umani.. Ogni anno, circa 40.000 per­so­ne muo­io­no nel mondo per­ché morse da ser­pen­ti ve­le­no­si e, in Eu­ro­pa, circa 800 sono uc­ci­se da ani­ma­li do­me­sti­ci.


L’uo­mo cac­cia­to­re


Nes­su­no an­co­ra oggi, sa con pre­ci­sio­ne, quan­do ap­par­ve­ro i primi veri uo­mi­ni. I pre­o­mi­ni­di come l’Au­stra­lo­pi­the­cus la cui esi­sten­za ri­sa­le a 2-3 mi­lio­ni di anni fa in Afri­ca, nel Pre­li­ti­co, usa­va­no uten­si­li molto grez­zi e cac­cia­va­no in­di­vi­dual­men­te pic­co­li ani­ma­li. Que­sti pre­o­mi­ni­di uc­ci­de­va­no ani­ma­li, ti­ran­do pie­tre scheg­gia­te, usan­do pu­gna­li, mazze e clave in pie­tra e legno. Si pre­su­me forse, un primo ab­boz­zo di tec­ni­che di cac­cia or­ga­niz­za­ta. Tra le loro prede v’e­ra­no pic­co­le an­ti­lo­pi, lu­cer­to­le, ro­di­to­ri, uc­cel­li, ga­la­go­ni, in­set­ti. Ma per pas­sa­re dallo sta­dio di pre­o­mi­ni­de a quel­lo di Homo erec­tus, tipo ini­zia­le del ge­ne­re umano, sono state ne­ces­sa­rie, mi­glia­ia di ge­ne­ra­zio­ni.
L’Homo erec­tus, fab­bri­ca­va uten­si­li e armi in pie­tra e legno, sa­pe­va ac­cen­de­re il fuoco.
In que­sto pe­rio­do (Pa­leo­li­ti­co in­fe­rio­re) circa 1,5 mi­lio­ni di anni fa, s’in­trav­ve­do­no le prime tec­ni­che di cac­cia or­ga­niz­za­ta in grup­pi; que­ste as­so­cia­te alle tec­ni­che di ag­gua­to, in­se­gui­men­to, uti­liz­zan­do pie­tre scheg­gia­te sca­glia­te con­tro la preda, clave, lance di legno in­du­ri­te alla fiam­ma, asce in pie­tra senza ma­ni­co, hanno per­mes­so di co­min­cia­re la cac­cia a prede di di­men­sio­ni mag­gio­ri, come ca­val­li, l’Uro (Bos tau­rus pri­mi­ge­nius), il cervo, la lepre, l’e­le­fan­te, il ri­no­ce­ron­te e il lupo.
Seb­be­ne il per­fe­zio­na­men­to delle armi, au­men­ta­va anche l’or­ga­niz­za­zio­ne di cac­cia in grup­po, per­ma­ne­va­no, al­me­no in parte, casi in cui cac­cia­va­no da soli.
Pur non me­dian­te una suc­ces­sio­ne di­ret­ta, ma più pro­ba­bil­men­te con pas­sag­gi tra forme in­ter­me­die, dopo l’Homo erec­tus co­mun­que, sorse l’Homo sa­piens, circa 400.000 anni fa (al­cu­ni au­to­ri, ne fanno ri­sa­li­re la na­sci­ta a 300.000 anni fa). Ai primi rap­pre­sen­tan­ti di que­sta spe­cie, se­gui­ro­no gli uo­mi­ni di Nean­der­thal (Homo sa­piens nean­der­tha­len­sis), che fu­ro­no per un certo pe­rio­do con­tem­po­ra­nei del­l’uo­mo di Cro-Ma­gnon, il primo rap­pre­sen­tan­te del­l’uo­mo mo­der­no, Homo sa­piens sa­piens.
L’uo­mo di Nean­der­thal, vis­su­to in un pe­rio­do che per gli ar­cheo­lo­gi e gli an­tro­po­lo­gi, cor­ri­spon­de al Pa­leo­li­ti­co medio, circa 100.000 anni fa, aveva pie­na­men­te svi­lup­pa­to la tec­ni­ca della cac­cia in co­mu­ne, sem­pre as­so­cian­do­vi l’in­se­gui­men­to, l’ag­gua­to e quan­do ne­ces­sa­rio la cac­cia so­li­ta­ria. Usa­va­no pre­va­len­te­men­te, pie­tre scheg­gia­te, asce di pie­tra e legno senza ma­ni­co, ossa ap­pun­ti­te, lance di legno e fuoco. Le punte delle lance erano molto più acute.
L’uo­mo di Cro-Ma­gnon, forse evo­lu­to­si da un ramo del Nean­der­tha­len­sis, ap­par­ve nel­l’Eu­ra­sia oc­ci­den­ta­le, circa 40.000 anni fa. Que­sti uo­mi­ni pri­mi­ti­vi, cac­cia­va­no degli ani­ma­li an­co­ra più gran­di, più forti e spes­so molto più ve­lo­ci di loro. Sup­pli­va­no a que­sta in­fe­rio­ri­tà fi­si­ca, con le armi, ma so­prat­tut­to con l’in­ge­gno. Cac­cia­va­no in grup­po, aven­do raf­fi­na­to tale tec­ni­ca; spes­so po­te­va­no in­se­gui­re una preda per gior­ni e gior­ni, la cir­con­da­va­no, fa­cen­do ru­mo­re per di­so­rien­tar­la e, la so­spin­ge­va­no verso trap­po­le, o verso pre­ci­pi­zi, per poi rac­co­glier­ne il corpo senza vita e man­giar­lo.
Siamo con il Cro-Ma­gnon, nel Pa­leo­li­ti­co su­pe­rio­re, circa 40.000 anni fa: tra le armi che uti­liz­za­va c’era (da re­per­ti ar­cheo­lo­gi­ci), lame di selce per i col­tel­li, ar­pio­ni co­strui­ti con ossa di ani­ma­li, ma il mi­ra­co­lo in ter­mi­ni tec­ni­ci fu, che seppe pro­dur­re per la prima volta, una delle armi più utili e mi­ci­dia­li per quel pe­rio­do, uti­liz­za­ta nella cac­cia, “l’ar­co”, con cui po­te­va rag­giun­ge­re ani­ma­li a lun­ghe di­stan­ze. I Cro-Ma­gnon, usa­va­no frec­ce in osso, come in osso e avo­rio erano gli ar­pio­ni e le punte delle lance, più dure quin­di e, in grado di pe­ne­tra­re fa­cil­men­te il corpo della preda, uti­liz­za­va­no anche il fuoco. Un’al­tra in­no­va­zio­ne vin­cen­te fu l’in­tro­du­zio­ne di un ani­ma­le il “lupo”, uti­liz­za­to per sta­na­re le prede. Fu anche la prima spe­cie di “fa­ne­ran­tro­po” che pensò di nu­trir­si anche degli abi­tan­ti delle acque, i pesci i mol­lu­schi ecc…., dando ini­zio alla “pesca”. Quin­di il Cro-Ma­gnon diede un im­pul­so no­te­vo­le a molti aspet­ti della Bio­lo­g­ia umana e a molti dei co­stu­mi an­co­ra oggi uti­liz­za­ti e, che sono alla base della no­stra sus­si­sten­za.
L’at­ti­tu­di­ne al la­vo­ro di grup­po che si svi­lup­pò nei Cro-Ma­gnon ha quin­di pro­dot­to cam­bia­men­ti nel­l’uo­mo e nei suoi rap­por­ti con il Regno Ani­ma­le, in­fluen­zan­do anche i suoi modi di pen­sa­re, com­por­tar­si e por­tan­do­lo fi­nal­men­te a con­qui­ste in­tel­let­tua­li, cul­tu­ra­li e tec­no­lo­gi­che. Da que­sti cac­cia­to­ri in­ge­gno­si e abili fu­ro­no la­scia­te te­sti­mo­nian­ze pit­to­ri­che delle loro bat­tu­te di cac­cia, come in Fran­cia nelle grot­te di La­scaux.


I dipinti nelle grotte di Lascaux
I di­pin­ti nelle grot­te di La­scaux


Poi, ad un certo punto della sto­ria umana, da qual­che parte nel­l’A­sia su­doc­ci­den­ta­le, circa 12.000 anni fa, ven­ne­ro sco­per­ti i prin­ci­pi del­l’al­le­va­men­to e del­l’a­gri­col­tu­ra, li­be­ran­do l’u­ma­ni­tà dalla di­pen­den­za della cac­cia e della rac­col­ta di tu­be­ri, ri­zo­mi, bac­che, frut­ti, come mezzo prin­ci­pa­le di so­sten­ta­men­to.
Se la cac­cia nel tempo, è pas­sa­ta a rango di at­ti­vi­tà se­con­da­ria, an­co­ra oggi esi­sto­no tut­ta­via co­mu­ni­tà tri­ba­li, che di­pen­do­no to­tal­men­te o quasi da essa e dalla rac­col­ta di semi, bac­che, ri­zo­mi, tu­be­ri e frut­ti. Ad esem­pio nel­l’A­fri­ca cen­troc­ci­den­ta­le, al­l’in­ter­no delle fo­re­ste tro­pi­ca­li del Congo e al con­fi­ne con il Ca­me­run e lo Zaire, ci sono le varie stir­pi-et­nie dei Pig­mei, op­pu­re negli al­ti­pia­ni del Kenya i Ky­kuyu o an­co­ra, i Bo­sci­ma­ni nel Bo­tswa­na; spo­stan­do­ci nei mari del Sud, Ocea­no Pa­ci­fi­co e In­dia­no, tro­via­mo ad esem­pio le po­po­la­zio­ni tri­ba­li in­ter­ne del Bor­neo, della Pa­pua­sia o Nuova Gui­nea (isole in parte an­co­ra non del tutto esplo­ra­te e, tra le ul­ti­me con­qui­sta­te dagli oc­ci­den­ta­li), le Isole So­lo­mon, e muo­ven­do­ci negli ar­ci­pe­la­ghi della Me­la­ne­sia, Po­li­ne­sia, Mi­cro­ne­sia, dove per al­cu­ne etnie non si sa an­co­ra oggi pra­ti­ca­men­te nulla della loro cul­tu­ra tri­ba­le, per­ché non hanno avuto mai con­tat­to con l’uo­mo mo­der­no; in al­cu­ni casi però è noto, che al­cu­ne pra­ti­ca­no an­co­ra l’an­tro­po­fa­gia.


Popolazioni di Kykuyu
Po­po­la­zio­ne di cac­cia­to­ri della Nuova Gui­nea Pa­pua­sia; Cac­cia­to­re della tribù Ky­kuyu-Afri­ca cen­tro­rien­ta­le
(da En­ci­clo­pe­dia “Le Razze e i po­po­li della Terra” 4 vol. di Re­na­to Bia­sut­ti, UTET)


Lo stes­so vale per pic­co­li grup­pi di In­dios Amaz­zo­ni­ci, ad esem­pio i leg­gen­da­ri “uo­mi­ni rossi”, di cui si hanno solo ra­ris­si­me foto scat­ta­te da eli­cot­te­ri e aerei negli anni ’60 del se­co­lo scor­so, ma nes­su­no es­se­re umano, di­cia­mo così della “Ci­vil­tà Mo­der­na”, è mai en­tra­to in con­tat­to con loro.
Que­ste po­po­la­zio­ni Afri­ca­ne, del­l’A­sia Su­doc­ci­den­ta­le, della Me­la­ne­sia, Po­li­ne­sia, Mi­cro­ne­sia come anche del con­ti­nen­te Au­stra­lia­no per certi grup­pi di Abo­ri­ge­ni, che vi­vo­no più al­l’in­ter­no, la cac­cia, la rac­col­ta sono es­sen­zia­li,ed usano tec­ni­che e me­to­di che non sono cam­bia­ti né evo­lu­ti da mi­glia­ia di anni.
Per di più molte co­mu­ni­tà, com­pre­se quel­le più pro­gre­di­te, con­ti­nua­no a pra­ti­ca­re la pesca con tec­ni­che par­ti­co­la­ri, come quel­la del “nib­bio”, ove si fa uso di uno zim­bel­lo, che viene fatto vo­la­re come un aqui­lo­ne, at­tac­ca­to alla canoa che per­cor­re le acque del lago, cam­bian­do ri­pe­tu­ta­men­te di­re­zio­ne di per­cor­so, a cui viene le­ga­to un pezzo di stof­fa e pelle come si­mu­las­se del pesce stret­to negli ar­ti­gli del­l’a­ni­ma­le, poi­ché al­cu­ni gran­di ci­cli­di dei laghi afri­ca­ni, ten­do­no a sac­cheg­gia­re i ra­pa­ci, del pesce che hanno cat­tu­ra­to, mi­gra­no nel ten­ta­ti­vo di an­dar­lo a scip­pa­re, per­ché in­gan­na­ti e, ven­go­no pron­ta­men­te ar­pio­na­ti; ad esem­pio i Bu­gan­da in Afri­ca, sulle spon­de del lago Vit­to­ria, usano que­sta tec­ni­ca.
Co­mun­que sia, anche quan­do la cac­cia cessò di es­se­re in­di­spen­sa­bi­le, gli uo­mi­ni con­ti­nua­ro­no a pra­ti­car­la per altre ra­gio­ni: per pro­teg­ge­re gli ani­ma­li do­me­sti­ci e i rac­col­ti, per in­te­gra­re la loro dieta, per ot­te­ne­re carni e pel­lic­ce per il com­mer­cio e in­fi­ne, per sport. Quan­do l’es­se­re umano, ebbe ad­do­me­sti­ca­to gran parte delle spe­cie ani­ma­li che co­sti­tui­sco­no le at­tua­li do­me­sti­che e, nel con­tem­po co­min­cia­to a col­ti­va­re la terra, il suo at­teg­gia­men­to verso la fauna sel­va­ti­ca cam­biò.
Qual­sia­si ani­ma­le at­tac­cas­se i suoi al­le­va­men­ti nelle fat­to­rie (ad esem­pio nel­l’A­fri­ca del Sud gli Afri­ka­ner o boeri, i bian­chi lo­ca­li, nelle loro fat­to­rie co­mu­ni, an­co­ra oggi spes­so uc­ci­do­no ani­ma­li sel­va­ti­ci per tali ra­gio­ni), o che dan­neg­gias­se i suoi rac­col­ti, ve­ni­va ine­so­ra­bil­men­te cac­cia­to, spes­so fino allo ster­mi­nio.
In que­sto modo orsi, linci e lupi, fu­ro­no eli­mi­na­ti dalla mag­gior parte del­l’Eu­ro­pa nel XVIII-XIX se­co­lo. In altre parti del mondo, molti pre­da­to­ri, come il con­dor ca­li­for­nia­no e il lupo della Ta­sma­nia, il ti­la­ci­no, che è un mar­su­pia­le, fu­ro­no quasi por­ta­ti al­l’e­stin­zio­ne.
Tra le spe­cie ster­mi­na­te dal­l’es­se­re umano negli ul­ti­mi 200 anni, fi­gu­ra­no il Quag­ga una spe­cie di zebra gi­gan­te e di­ver­se spe­cie di an­ti­lo­pi.
I pro­dot­ti ani­ma­li, come carne, cuoio, pel­lic­ce, penne, olio, ambra e avo­rio, sono da tempo og­get­to di sfrut­ta­men­to com­mer­cia­le, per il loro va­lo­re come ali­men­to, ve­stia­rio, or­na­men­to e in­gre­dien­ti per far­ma­ci, pro­fu­mi e co­sme­ti­ci.
Il com­mer­cio di ani­ma­li vi­ven­ti, per gli ama­to­ri pri­va­ti e i cir­chi e per i la­bo­ra­to­ri scien­ti­fi­ci, con ri­chie­ste cre­scen­ti, hanno rag­giun­to un’am­piez­za straor­di­na­ria, che al­me­no per i primi due casi, viene sem­pre più con­tra­sta­ta. Per quan­to ri­guar­da i Giar­di­ni Zoo­lo­gi­ci, Zoo­par­chi, Zoo­sa­fa­ri, Par­chi Ac­qua­ti­ci, Ac­qua­ri hanno, e stan­no col­la­bo­ra­to/col­la­bo­ran­do con enti e Par­chi Na­tu­ra­li, Oasi e Ri­ser­ve Fau­ni­sti­che in pro­get­ti di Taxon Ad­vi­so­ry Group (TAG) e, pro­get­ti di ri­po­po­la­men­to di spe­cie eso­ti­che-sel­va­ti­che.
I bio­lo­gi in tali con­te­sti, me­dian­te se­ve­re nor­ma­ti­ve della In­ter­na­tio­nal Union for Con­trol Na­tu­re (IUCN), della Con­ven­tion on In­ter­na­tio­nal Trade in En­dan­ge­red Spe­cies (CITES), del World Wild­li­fe Fund (WWF) e me­dian­te la con­ven­zio­ne di Wa­shing­ton, Rio de Ja­nei­ro e Berna, so­sten­go­no pro­gram­mi di sal­va­guar­dia della bio­di­v­er­si­tà ani­ma­le e ve­ge­ta­le evi­tan­do l’e­stin­zio­ne delle spe­cie a li­mi­te cioè quel­le ap­par­te­nen­ti alla red list della IUCN o, che vi sono vi­ci­no.
Il ruolo di que­ste strut­tu­re, si è enor­me­men­te mo­di­fi­ca­to negli anni, da quel­lo dei “Ga­bi­net­ti delle Me­ra­vi­glie Ani­ma­li e Ve­ge­ta­li” della prima metà del se­co­lo XIX, il cui unico scopo per i bio­lo­gi di quel­l’e­po­ca, era mo­stra­re per osten­sio­ne spe­cie ani­ma­li e ve­ge­ta­li cat­tu­ra­te e pre­le­va­te du­ran­te i loro viag­gi, da paesi lon­ta­ni, sco­no­sciu­ti ed eso­ti­ci, utili anche a fini di stu­dio nei loro musei di Sto­ria Na­tu­ra­le, a quel­lo di enti che real­men­te aiu­ta­no nella pro­te­zio­ne delle ri­sor­se na­tu­ra­li.
Con que­sti pro­gram­mi di ri­po­po­la­men­to e con il sal­va­tag­gio di spe­cie ani­ma­li e ve­ge­ta­li, le cui nic­chie eco­lo­gi­che con­ti­nua­men­te ven­go­no di­strut­te non solo dal­l’in­qui­na­men­to, ma anche dal­l’a­van­za­re dei ter­re­ni per l’a­gri­col­tu­ra (con con­se­guen­ti di­sbo­sca­men­ti sel­vag­gi) e per lo sfrut­ta­men­to delle ri­sor­se mi­ne­ra­rie, o nel­l’e­vi­ta­re l’e­stin­zio­ne di spe­cie ma­ri­ne e d’ac­qua dolce (con­ti­nen­ta­li), che a causa della pesca sfre­na­ta da parte del­l’es­se­re umano, si stan­no estin­guen­do per causa di­ret­ta, poi­ché pe­sca­te, o in­di­ret­ta, per­ché ven­go­no de­bi­li­ta­te le loro ri­sor­se tro­fi­che, poi­ché so­vrap­po­ste alle esi­gen­ze ali­men­ta­ri, in quan­to cibo degli es­se­re umani e, per­ché ven­go­no anche con­ti­nua­men­te dan­neg­gia­te dal­l’in­qui­na­men­to degli stes­si mari e degli ocea­ni, come dei fiumi e laghi, si tenta ap­pun­to di evi­tar­ne la di­stru­zio­ne. Inol­tre, ven­go­no anche re­cu­pe­ra­te in tale strut­tu­re, que­gli esem­pla­ri ter­re­stri e ma­ri­ni, che fe­ri­ti o spiag­gia­ti, non sa­preb­be­ro più man­te­ner­si au­to­no­ma­men­te nel loro ha­bi­tat. Per cui i bio­lo­gi (zoo­lo­gi e bo­ta­ni­ci), ten­ta­no me­dian­te que­ste strut­tu­re di pro­teg­ge­re que­sti ani­ma­li o pian­te (come nei giar­di­ni e orti bo­ta­ni­ci), ma nel con­tem­po anche me­dian­te un ser­vi­zio pe­da­go­gi­co e d’in­for­ma­zio­ne scien­ti­fi­ca, pro­va­no a sen­si­bi­liz­za­re le co­scien­ze, verso una etica eco­lo­gi­ca, per il ri­spet­to della no­stra “NA­TU­RA”.
An­co­ra sulla cac­cia, quel­la agli uc­cel­li e ai gros­si mam­mi­fe­ri di­ven­ne nel corso della sto­ria umana, fa­ci­le e lu­cro­sa, con l’av­ven­to delle armi da fuoco.
L’e­sem­pio estre­mo di cac­cia, a fini com­mer­cia­li, av­ven­ne in Ame­ri­ca del Nord, nel XIX se­co­lo, ove fu causa dello ster­mi­nio del co­lom­bo mi­gra­to­re, che un tempo con­ta­va mi­liar­di di in­di­vi­dui. I bi­son­ti ame­ri­ca­ni (Bison bison), i cui bran­chi fu­ro­no ri­dot­ti da 60 mi­lio­ni di capi, a 541 nel 1889, sfug­gi­ro­no per poco alla stes­sa sorte. At­tual­men­te vi­vo­no circa 30.000 bi­son­ti nei par­chi Na­zio­na­li degli Stati Uniti d’A­me­ri­ca e in Ca­na­da.
Tra gli ani­ma­li che più cor­ro­no il ri­schio di estin­guer­si ci sono gli Oran­gu­tan (Pongo pyg­maeus), seb­be­ne ne ri­man­go­no circa 5000 esem­pla­ri nelle fo­re­ste del Bor­neo e Su­ma­tra, sem­pre più ber­sa­glio però del di­sbo­sca­men­to e, al­cu­ne cen­ti­na­ia sono sal­va­guar­da­ti al­l’in­ter­no di Giar­di­ni Zoo­lo­gi­ci, dove ven­go­no fatti ri­pro­dur­re, per­ché poi at­tra­ver­so dif­fi­ci­li pro­ces­si di di­sas­sue­fa­men­to pos­sa­no es­se­re rein­tro­dot­ti in na­tu­ra. La ba­le­not­te­ra az­zur­ra, a causa della spie­ta­ta cac­cia in pas­sa­to delle ba­le­nie­re sia da­ne­si, che nor­ve­ge­si, ir­lan­de­si, ame­ri­ca­ne ma so­prat­tut­to giap­po­ne­si, si è ri­dot­ta a circa 1500 unità.
Dalla se­con­da metà degli anni ’70 del se­co­lo XX, seb­be­ne la In­ter­na­tio­nal Wha­ling Com­mi­tion (IWC), ob­bli­ga con leggi se­ve­re a pe­sca­re un li­mi­ta­tis­si­mo nu­me­ro di ce­ta­cei per anno, ga­ran­ten­do­ne la ri­pro­du­zio­ne e le mi­gra­zio­ni, an­co­ra oggi que­sti ba­le­nie­ri di frodo, alla stre­gua dei brac­co­nie­ri in Afri­ca per i go­ril­la e in Asia per la tigre, rie­sco­no qual­che volta a farla an­co­ra fran­ca. La cac­cia come di­ver­ti­men­to, fu a lungo la pre­ro­ga­ti­va di so­vra­ni e dei no­bi­li che di­fen­de­va­no le loro ri­ser­ve dai cac­cia­to­ri di frodo; si pensi alla cac­cia che an­co­ra oggi, la corte di no­bi­li di sua Mae­stà Re­gi­na Eli­sa­bet­ta d’In­ghil­ter­ra pra­ti­ca ai danni della volpe rossa (Vul­pes vul­pes). In Eu­ro­pa, nel Medio Evo, ve­ni­va­no cac­cia­ti di pre­fe­ren­za orsi, bi­son­ti, cervi e uri e i cac­cia­to­ri, van­ta­va­no più il nu­me­ro degli ani­ma­li uc­ci­si, che non l’a­bi­li­tà di­mo­stra­ta nel­l’ab­bat­ter­li. Ma oggi gli uo­mi­ni, che alla cac­cia e alla pesca, pre­fe­ri­sco­no me­to­di da cui trag­go­no anche sod­di­sfa­zio­ni in­cruen­ti, stan­no cre­scen­do di nu­me­ro, me­dian­te l’e­co­tu­ri­smo. In­fat­ti se la fo­to­gra­fia na­tu­ra­le, fino agli anni ’60-’70 era pra­ti­ca­ta, come le ri­pre­se ci­ne­ma­to­gra­fi­che, spe­ci­fi­ca­men­te dai bio­lo­gi, come stru­men­to scien­ti­fi­co che gli per­met­te­va di avere ma­te­ria­le, su cui stu­dia­re la zoo­lo­gia, i co­stu­mi, l’e­to­lo­gia delle varie spe­cie ani­ma­li o l’e­co­lo­gia per quel­le ve­ge­ta­li, oggi è anche mo­ti­vo di eco­tu­ri­smo, dove i tu­ri­sti vi­si­ta­no ap­po­si­ta­men­te re­gio­ni an­co­ra sel­va­ti­che, sotto il con­trol­lo di at­ten­te guide e ran­ger, per sa­fa­ry fo­to­gra­fi­ci. Que­sta vo­glia di fo­to­gra­fa­re ani­ma­li e pian­te nel loro am­bien­te na­tu­ra­le, ha por­ta­to molte per­so­ne a pra­ti­ca­re l’al­pi­ni­smo e l’im­mer­sio­ne su­bac­quea, mo­stran­do molta pas­sio­ne ed abi­li­tà.


L’ad­do­me­sti­ca­men­to


Ogni ani­ma­le do­me­sti­co, qua­lun­que sia il nu­me­ro delle razze che lo ca­rat­te­riz­za­no, ha uno o più pro­ge­ni­to­ri sel­vag­gi, dai quali spes­so dif­fe­ri­sce, in mi­su­ra più o meno no­te­vo­le, per di­ver­si ca­rat­te­ri. L’ad­do­me­sti­ca­men­to degli ani­ma­li, co­min­ciò pro­ba­bil­men­te più di 10.000 anni fa, quan­do l’uo­mo del­l’e­tà della pie­tra, era an­co­ra no­ma­de, cac­cia­to­re e rac­co­gli­to­re. Tra gli ani­ma­li che egli cac­cia­va, c’era il lupo, che come l’uo­mo si spo­sta­va in grup­pi e bran­chi. In quei tempi, il lupo era molto dif­fu­so, con di­ver­se razze “geo­gra­fi­che”. Esso, si ag­gi­ra­va mi­nac­cio­sa­men­te in­tor­no agli ac­ca­pa­men­ti del­l’uo­mo, at­ti­ra­to dai suoi ri­fiu­ti e gli con­ten­de­va le sue stes­se prede e non di rado lo uc­ci­de­va. Ta­lo­ra l’uo­mo, ri­spar­mia­va i cuc­cio­li, dopo aver­ne uc­ci­so le madri.
Que­sti cuc­cio­li, ve­ni­va­no fa­cil­men­te am­man­si­ti e uti­liz­za­ti come ri­chia­mo per altri lupi, i quali ve­ni­va­no gra­dual­men­te ad­do­me­sti­ca­ti.
Fin­ché gli uo­mi­ni cam­bia­va­no con­ti­nua­men­te ter­re­no di cac­cia, essi ave­va­no poche pro­ba­bi­li­tà di ad­do­me­sti­ca­re altre spe­cie di mam­mi­fe­ri, poi­ché erano trop­po pre­oc­cu­pa­ti a prov­ve­de­re al loro so­sten­ta­men­to. Il pro­ble­ma della so­prav­vi­ven­za, di­ven­ne an­co­ra più acuto, a mi­su­ra che essi di­ven­ne­ro an­co­ra più abili nella cac­cia, di­strug­gen­do in­te­ri bran­chi di ani­ma­li. Ma verso la fine del­l’ul­ti­ma gla­cia­zio­ne del Wurm, circa 10.000 anni fa, l’uo­mo im­pa­rò a col­ti­va­re al­cu­ne pian­te sel­va­ti­che, come il fru­men­to e l’or­zo e, per que­sta ra­gio­ne ab­ban­do­nò il “no­ma­di­smo”, di­ve­nen­do “stan­zia­le”.
Trac­ce dei più an­ti­chi in­se­dia­men­ti umani, sono state tro­va­te nel­l’A­sia oc­ci­den­ta­le; ed è qui, pro­ba­bil­men­te, che per la prima volta pe­co­re e capre, de­vo­no es­se­re state se­pa­ra­te dai loro bran­chi sel­va­ti­ci e man­te­nu­te per uc­ci­der­le al bi­so­gno. In se­gui­to, l’ad­do­me­sti­ca­men­to degli ani­ma­li pro­gre­dì; quan­do gli al­le­va­to­ri pri­mi­ti­vi ap­pre­se­ro in­tui­ti­va­men­te e non ra­zio­nal­men­te, né scien­ti­fi­ca­men­te, che le ca­rat­te­ri­sti­che fi­si­che sono ere­di­ta­bi­li, co­min­cian­do ad in­cro­cia­re dei sog­get­ti se­le­zio­na­ti, al fine di ot­te­ne­re nella loro di­scen­den­za, una serie di com­bi­na­zio­ni dei ca­rat­te­ri più van­tag­gio­si. E’ per ef­fet­to di que­sto tipo di al­le­va­men­to “se­let­ti­vo”, che molte spe­cie di ani­ma­li sel­va­ti­ci, si sono al­lon­ta­na­ti e dif­fe­ren­zia­ti dai loro pro­ge­ni­to­ri sel­va­ti­ci. L’in­ten­zio­ne era di ri­dur­re certe ca­rat­te­ri­sti­che, come l’ag­gres­si­vi­tà di un ma­schio verso gli altri ma­schi, della stes­sa spe­cie, che sono d’im­por­tan­za vi­ta­le per l’a­ni­ma­le sel­vag­gio, ma inop­por­tu­ne per quel­lo do­me­sti­co.
I cam­bia­men­ti fi­si­ci e psi­co­lo­gi­ci, che ne sono ri­sul­ta­ti, ren­do­no molti ani­ma­li do­me­sti­ci com­ple­ta­men­te di­pen­den­ti dal­l’uo­mo, ad esem­pio i cani.
L’at­ti­tu­di­ne degli ani­ma­li a es­se­re ad­do­me­sti­ca­ti, varia in larga mi­su­ra. Al­cu­ne spe­cie, che non si ri­pro­du­co­no in cat­ti­vi­tà, de­vo­no es­se­re cat­tu­ra­te e poi do­ma­te.
A que­sta ca­te­go­ria ap­par­ten­go­no ad esem­pio, fal­chi, ghe­par­di e man­go­ste, che l’uo­mo ha co­min­cia­to ad am­mae­stra­re sin dai tempi degli an­ti­chi Egizi.
Altri ani­ma­li, pos­so­no es­se­re al­le­va­ti più fa­cil­men­te: è il caso del Fu­ret­to, forma do­me­sti­ca di Mu­ste­la ever­sman­ni, che viene im­pie­ga­to per cac­cia­re co­ni­gli e ratti, e il Ma­ran­go­ne (Pha­la­cro­co­rax ari­sto­te­lis), uc­cel­lo ap­par­te­nen­te alla stes­sa fa­mi­glia dei cor­mo­ra­ni, am­mae­stra­to alla pesca in Cina e Giap­po­ne.
Ben­ché ad­do­me­sti­ca­ti dal­l’uo­mo per mil­len­ni, que­sti ani­ma­li dif­fe­ri­sco­no ben poco dalle forme sel­va­ti­che e, la­scia­te in li­ber­tà, tor­na­no ab­ba­stan­za fa­cil­men­te allo stato pri­mi­ti­vo, que­ste sono de­fi­ni­te spe­cie “fe­ra­li”. Si trat­ta, in ef­fet­ti, di ani­ma­li so­li­ta­ri, men­tre quel­li gre­ga­ri o “so­cia­li”, i cui an­te­na­ti vi­ve­va­no in grup­pi o bran­chi dalle di­men­sio­ni con­si­sten­ti, si pre­sta­no me­glio al­l’al­le­va­men­to se­let­ti­vo. Sem­bra che que­sti ani­ma­li, tra­sfe­ri­sca­no sul­l’uo­mo, loro pa­dro­ne, la sot­to­mis­sio­ne che ave­va­no verso l’a­ni­ma­le do­mi­nan­te del grup­po. Se si con­fron­ta ad esem­pio il cane do­me­sti­co (Canis lupus do­me­sti­cus), con il gatto do­me­sti­co (Felis catus do­me­sti­cus), si nota molto chia­ra­men­te que­sta dif­fe­ren­za.
Tutti i gatti do­me­sti­ci, di­scen­do­no dal gatto sel­va­ti­co (Felis sil­ve­stris); ben­ché stia­no pres­so l’uo­mo fin dal­l’i­ni­zio della ci­vil­tà Egi­zia e ab­bia­no perso molto della loro sel­va­ti­chez­za, re­sta­no tut­ta­via so­li­ta­ri, in­di­pen­den­ti e ap­par­ta­ti. In­fat­ti un gatto non la­vo­ra mai per il suo pa­dro­ne; così l’uo­mo non ha svi­lup­pa­to un gran nu­me­ro di razze per dei com­pi­ti pre­ci­si.
I cani di­scen­do­no per la mag­gior parte da pic­co­le razze me­ri­dio­na­li di lupo, come la razza del Lupo in­dia­no (Canis lupus pal­li­pes). Sono ani­ma­li so­cie­vo­li, at­tac­ca­ti al­l’uo­mo e tut­to­ra pron­ti a cac­cia­re in muta, quan­do è ne­ces­sa­rio.
I primi cani, do­ve­va­no es­se­re si­mi­li ai din­ghi, di­scen­den­ti di­ret­ti dei lupi, che gli uo­mi­ni del­l’e­tà della pie­tra con­dus­se­ro dal­l’A­sia al­l’Au­stra­lia, circa 8.000 anni fa.
Anche le razze più dis­si­mi­li, come il pe­chi­ne­se e il San Ber­nar­do, ap­par­ten­go­no alla stes­sa spe­cie e di­scen­do­no dal lupo.
Nel se­con­do mil­len­nio avan­ti Cri­sto, gli Egi­zia­ni ave­va­no crea­to delle razze di cani da cac­cia, i le­vrie­ri e di cani pa­sto­re, come anche razze or­na­men­ta­li si­mi­li al corgi gal­le­se e al pomer.
Per le ri­chie­ste dello sport e i con­cor­si delle razze ca­ni­ne, sono state pro­dot­te in se­gui­to nu­me­ro­se razze, come i cani da “ferma” e i cani da “sa­lot­to”.
Al­cu­ni ani­ma­li do­me­sti­ci, come il cam­mel­lo, la renna e lo yak, non hanno su­bi­to al­te­ra­zio­ni no­te­vo­li, poi­ché il loro va­lo­re per l’uo­mo si basa sul loro per­fet­to adat­ta­men­to na­tu­ra­le, alle se­ve­re con­di­zio­ni am­bien­ta­li.
Anche l’e­le­fan­te, non è stato se­le­zio­na­to, poi­ché ha un ciclo vi­ta­le trop­po lungo (si ri­pro­du­ce ogni 4-5 anni) e per­ché trop­po dif­fi­ci­le da al­le­va­re; a causa di ciò non ha mai su­sci­ta­to in­te­res­se di tipo eco­no­mi­co, quin­di zoo­tec­ni­co.
La mag­gior parte delle razze di be­stia­me, è stata in­ve­ce se­le­zio­na­ta per for­ni­re sia carne che cuoio, latte, come anche be­stie da soma e da tiro.
In ge­ne­ra­le, gli ani­ma­li de­sti­na­ti al ma­cel­lo hanno cre­sci­ta più ra­pi­da, una fe­con­di­tà mag­gio­re e s’in­gras­sa­no più fa­cil­men­te e ve­lo­ce­men­te delle be­stie da tiro, per le quale si cerca di far svi­lup­pa­re so­prat­tut­to la forza mu­sco­la­re.
Le razze di ma­ia­le (Sus scro­fa do­me­sti­cus), sono spes­so il ri­sul­ta­to di una lunga e ac­cu­ra­ta se­le­zio­ne. Tutte di­scen­do­no dal Cin­ghia­le (Sus scro­fa), ani­ma­le di bosco e fo­re­sta, ma in ap­pa­ren­za ne sono dis­si­mi­li, mor­fo­lo­gi­ca­men­te par­lan­do. I ma­ia­li hanno zampe più corte, coda se­to­lo­sa a spi­ra­le an­zi­ché drit­ta come nei cin­ghia­li, pa­di­glio­ni au­ri­co­la­ri più gran­di e ca­den­ti, più gras­so cor­po­reo e sono molto meno pe­lo­si dei cin­ghia­li. La testa è bra­chi­ce­fa­la, con ma­scel­le più corte, ri­spet­to a quel­la del cin­ghia­le dove il muso è più lungo, i denti sono più pic­co­li, so­prat­tut­to i ca­ni­ni, che nei cin­ghia­li sono a cre­sci­ta con­ti­nua e for­ma­no delle zanne fron­ta­li. La di­spo­si­zio­ne degli occhi nei ma­ia­li è più fron­ta­le. In­fi­ne il ca­rat­te­re dei cin­ghia­li è molto più ag­gres­si­vo e so­li­ta­rio di quel­lo dei ma­ia­li do­me­sti­ci.
Le capre e le pe­co­re, fu­ro­no pro­ba­bil­men­te i primi ani­ma­li che gli uo­mi­ni del­l’e­tà della pie­tra ra­du­na­ro­no in greg­gi.
La Capra sel­va­ti­ca (Capra hir­cus ae­ga­grus) e la Pe­co­ra sel­va­ti­ca del­l’A­sia orien­ta­le (Ovis ammon orien­ta­lis) hanno aspet­to su­per­bo con man­tel­lo rosso scuro e corna im­po­nen­ti. Al con­fron­to, le pe­co­re e le capre do­me­sti­che, sono più tozze, con vello bian­co e corna ri­dot­te o in al­cu­ne spe­cie, sot­to­spe­cie o razze ine­si­sten­ti. L’al­le­va­men­to delle pe­co­re, ten­de­va in pas­sa­to a mi­glio­ra­re la qua­li­tà e la quan­ti­tà della lana, delle corna e del gras­so. Ma l’in­ven­zio­ne delle fibre sin­te­ti­che ha dato un duro colpo al­l’in­du­stria della lana, tanto che al­cu­ne razze, come la neo­ze­lan­de­se, ot­te­nu­ta per in­cro­cio tra pe­co­re Rom­ney e arie­ti Sou­th­do­wn, sono oggi al­le­va­te sol­tan­to per la carne.


Ovis ammon orientalis e Capra hircus aegagrus
Ovis ammon orien­ta­lis – Capra hir­cus ae­ga­grus
(da En­ci­clo­pe­dia “Vita degli Ani­ma­li 10 vo­lu­mi” A.E. Brhem, Gar­zan­ti)


I bo­vi­ni, ge­ne­re Bos, ben­ché ad­do­me­sti­ca­ti qual­che tempo dopo gli ovi­ca­pri­ni, sono senza dub­bio, tra tutti gli ani­ma­li do­me­sti­ci, quel­li di mag­gior va­lo­re eco­no­mi­co.
Essi ven­go­no sfrut­ta­ti in base a di­ver­se at­ti­tu­di­ni: per la carne, per il gras­so, per il latte e le corna e per il la­vo­ro come ani­ma­li da soma. Anche lo ster­co dei bo­vi­ni viene uti­liz­za­to, non solo come con­ci­me in agri­col­tu­ra, ma in al­cu­ni paesi anche come com­bu­sti­bi­le e come ma­te­ria­le da co­stru­zio­ne, in par­ti­co­la­re in Afri­ca e Asia.
Le razze Eu­ro­pee dei bo­vi­ni do­me­sti­ci, sono tutte de­ri­va­te dal­l’U­ro (Bos tau­rus pri­mi­ge­nius), di cui l’ul­ti­mo esem­pla­re morì in Po­lo­nia nel 1627.
Poi, fino a tempi re­cen­ti, il bue era lar­ga­men­te (e lo è an­co­re nei paesi del terzo e quar­to mondo, ove l’a­gri­col­tu­ra non ha su­bi­to una mec­ca­niz­za­zio­ne e mo­der­niz­za­zio­ne equi­va­len­te a quel­la dei paesi in­du­stria­li) im­pie­ga­to come ani­ma­le da soma. Nel­l’Eu­ro­pa oc­ci­den­ta­le e nel­l’A­me­ri­ca del Nord, nu­me­ro­se razze sono state crea­te sia per la carne, come la razza He­re­ford, sia per l’in­du­stria ca­sea­ria, come la razza nor­man­na e la razza fri­so­na.
In­cro­cian­do vac­che lat­ti­fe­re, con buoi da carne, come quel­li di Cha­rol­lais, si ot­tie­ne una di­scen­den­za che ri­spon­de a en­tram­bi i re­qui­si­ti. In Asia, so­prat­tut­to in India, la razza prin­ci­pa­le è lo Zebù (Bos in­di­cus), che porta una gobba adi­po­sa sul gar­re­se e ha corna cave enor­mi.
Tra il 3000 e il 2000 a.C., l’uo­mo ad­do­me­sti­ca il ca­val­lo. Pro­ba­bil­men­te que­sto av­ven­ne per la prima volta ad opera di po­po­la­zio­ni del­l’A­sia cen­tra­le, i Traci.
Tre tipi di equi­di, di ori­gi­ne geo­gra­fi­ca di­ver­sa, fu­ro­no pro­ba­bil­men­te ad­do­me­sti­ca­ti a di­stan­ze di tempo re­la­ti­va­men­te vi­ci­ne. In Egit­to, i po­po­li della valle del Nilo, ad­do­me­sti­ca­ro­no l’A­si­no sel­va­ti­co del­l’A­fri­ca (Equus asi­nus), come be­stia da soma. Più ad est, fu ad­do­me­sti­ca­to l’E­mio­ne (Equus he­mio­nus); fu at­tac­ca­to dai Su­me­ri ai loro carri da guer­ra. I veri ca­val­li do­me­sti­ci, tut­ta­via, hanno come ca­po­sti­pi­te il ca­val­lo sel­vag­gio del­l’Eu­ra­sia (Equus ca­bal­lus), di cui la razza Equus ca­bal­lus pr­zewal­skii, è so­prav­vis­su­ta ad oggi e vive nelle step­pe della Si­be­ria, Mon­go­lia e Cina. In real­tà una spe­cie an­co­ra più an­ce­stra­le, era rap­pre­sen­ta­ta dal Tar­pan (Equus gme­li­ni) Eu­roa­sia­ti­co, che in­sie­me alla razza Equus ca­bal­lus pr­zewal­skii, con­tri­buì alla ge­ne­si delle at­tua­li spe­cie e razze equi­ne; il Tar­pan però, si è com­ple­ta­men­te estin­to.
Per quan­to ri­guar­da l’ad­do­me­sti­ca­men­to degli uc­cel­li, che in ter­mi­ni zoo­tec­ni­ci con­flui­sce nel­l’a­vi­col­tu­ra, più spe­ci­fi­ca­men­te nella pol­li­col­tu­ra, ha por­ta­to al­l’u­ti­liz­zo di di­ver­se spe­cie e razze di que­sti ani­ma­li a fini ali­men­ta­ri e vari. Al­cu­ne sono abi­tual­men­te la­scia­te raz­zo­la­re nei campi in pic­co­li grup­pi. Que­sto si ve­ri­fi­ca per varie razze di polli do­me­sti­ci, come la Wyan­dot­te, il Rhode Island Red, l’Or­ping­ton e il Ply­mou­th Rock, che hanno come pro­ge­ni­to­re, il Gallo sel­va­ti­co del­l’In­dia (Gal­lus gal­lus). Que­ste for­ma­no il ceppo da cui fu­ro­no se­le­zio­na­te le razze, per la pro­du­zio­ne di uova o di carne e, che pas­sa­no tutta la loro esi­sten­za in ca­pan­no­ni per l’al­le­va­men­to, in strut­tu­re chia­ma­te bat­te­rie.
Altri uc­cel­li ad­do­me­sti­ca­ti ed al­le­va­ti, sono le fa­rao­ne e i pal­mi­pe­di: ana­tre, oche. L’al­le­va­men­to dei tac­chi­ni, è pure di­ven­ta­to un caso ti­pi­co del rap­por­to uo­mo-ani­ma­li, nel­l’ad­do­me­sti­ca­men­to, as­sog­get­ta­to a una se­le­zio­ne “in­ten­si­va”.
Le forme do­me­sti­che, sono tre volte più gran­di del Tac­chi­no sel­va­ti­co del­l’A­me­ri­ca del Nord (Me­lea­gris gal­lo­pa­vo) loro pre­cur­so­re zoo­lo­gi­co, i quali pe­sa­no fino a 30 kg!
Anche il mondo degli in­set­ti, ha su­bi­to l’in­va­sio­ne umana con una sorta di ad­do­me­sti­ca­men­to me­dian­te zoo­col­tu­re. L’a­pi­col­tu­ra ne è un esem­pio; i primi ten­ta­ti­vi di api­col­tu­ra pri­mi­ti­va, dove ve­ni­va usata l’Apis mel­li­fi­ca, ri­sal­go­no a circa 4.500 anni fa! Quan­do gli Egi­zia­ni (sem­pre loro…!), in­ci­ta­va­no le api a fare il nido sui tron­chi, ap­po­si­ta­men­te in­ca­va­ti e poi le cac­cia­va­no con la “fu­mi­ga­zio­ne”, per estrar­ne il miele dal­l’al­vea­re, come anche la cera, il pro­po­li e la pappa reale.
Di­spo­nen­do di tutti que­sti ani­ma­li ad­do­me­sti­ca­ti, l’uo­mo non ha più con­si­de­ra­to la pos­si­bi­li­tà di ad­do­me­sti­car­ne altre. Negli ul­ti­mi anni, tut­ta­via, si è ten­ta­to di ad­do­me­sti­ca­re l’Al­ce del­l’Eu­ra­sia (Alces alces) e al­cu­ne spe­cie di an­ti­lo­pi afri­ca­ne, so­prat­tut­to il Tau­ro­tra­go (Tau­ro­tra­gus der­bia­nus).


Gli Ani­ma­li nel­l’im­ma­gi­na­rio della Cul­tu­ra e Ci­vil­tà Umana


Chiu­dia­mo que­sto ar­ti­co­lo con gli aspet­ti et­no­bio­lo­gi­ci che ca­rat­te­riz­za­no gli ani­ma­li nella cul­tu­ra umana.
Gli ani­ma­li, hanno sem­pre su­sci­ta­to nel­l’uo­mo sen­ti­men­ti di ti­mo­re, ri­spet­to e cu­rio­si­tà, che hanno tro­va­to spes­so espres­sio­ne nel­l’ar­te, nella let­te­ra­tu­ra e nella re­li­gio­ne. Le te­sti­mo­nian­ze più an­ti­che, ar­cheo­lo­gi­ca­men­te par­lan­do, che co­no­scia­mo circa ope­ra­zio­ni re­la­ti­ve agli ani­ma­li, ri­sal­go­no a circa 100.000 anni fa, quan­do al­cu­ni cac­cia­to­ri pri­mi­ti­vi, rin­chiu­se­ro crani di orso delle ca­ver­ne, in casse di pie­tra, che poi sot­ter­ra­ro­no nel fondo di una ca­ver­na, a Dra­chen­lo­ch, nelle Alpi Sviz­ze­re. La di­spo­si­zio­ne di al­cu­ni di que­sti crani, in rap­por­to ad altre ossa, ri­ve­la un’in­ten­zio­ne, pro­ba­bil­men­te ma­gi­ca o ri­tua­le.
Riz­za­to sulle zampe po­ste­rio­ri, l’or­so delle ca­ver­ne po­te­va rag­giun­ge­re i 3,5 m di al­tez­za e per­ciò co­sti­tui­va un te­mi­bi­le pre­da­to­re, per i cac­cia­to­ri prov­vi­sti so­la­men­te di armi in pie­tra.
Circa 70.000 anni più tardi, la cac­cia era an­co­ra la prin­ci­pa­le fonte di so­sten­ta­men­to umana, come gli splen­di­di e ma­gi­ci di­pin­ti, la­scia­ti dagli uo­mi­ni del­l’e­tà gla­cia­le nelle grot­te di La­scaux in Dor­do­gna-Fran­cia, o come quel­li di Al­ta­mi­ra in Spa­gna e in nu­me­ro­se altre lo­ca­li­tà, ci mo­stra­no. Sono dei veri e pro­pri ca­po­la­vo­ri pit­to­ri­ci, rap­pre­sen­tan­ti quasi sem­pre ani­ma­li fe­ri­ti, presi in trap­po­la o mo­ren­ti. La pre­ci­sio­ne dei trat­ti e dei li­nea­men­ti, mo­stra­no un’at­ten­ta ca­pa­ci­tà d’os­ser­va­zio­ne, fatto que­sto ab­ba­stan­za na­tu­ra­le, se si pensa che la so­prav­vi­ven­za del­l’uo­mo pri­mi­ti­vo di­pen­de­va dalla per­fet­ta co­no­scen­za del com­por­ta­men­to ani­ma­le.
Non sor­pren­de quin­di, che tale ti­mo­re, ve­nis­se sfo­ga­to ed espres­so nel­l’ar­te pit­to­ri­ca, nei riti e nei culti degli ani­ma­li, né che anche ai gior­ni no­stri, si ri­tro­va­no fe­no­me­ni di que­sto tipo, in tribù di cac­cia­to­ri, come in Afri­ca, in Pa­pua­sia o Nuova Gui­nea come anche nella Fo­re­sta Amaz­zo­ni­ca.
In varie parti del mondo, le so­cie­tà pri­mi­ti­ve pra­ti­ca­no an­co­ra il “to­te­mi­smo”, or­ga­niz­za­zio­ne so­cia­le fon­da­ta sul culto di un ani­ma­le, con­si­de­ra­to come il pro­tet­to­re e l’an­te­na­to del clan. In Afri­ca ad esem­pio, sono fa­mo­se et­no­zoo­lo­gi­ca­men­te par­lan­do, sette come gli uo­mi­ni leo­par­do, gli uo­mi­ni bab­bui­no, gli uo­mi­ni leone, gli uo­mi­ni coc­co­dril­lo e gli uo­mi­ni vi­pe­ra e così via, che sono spes­so causa di vere e pro­prie stra­gi tri­ba­li. Le di­ver­se tribù abo­ri­ge­ne del­l’Au­stra­lia, ve­ne­ra­no l’Emù (Dro­ma­ius no­vae­hol­lan­diae), i ser­pen­ti o di­ver­se larve di in­set­ti, men­tre gli Asmar della Nuova Gui­nea, at­tri­bui­sco­no la loro ori­gi­ne a una spe­cie di “man­ti­de”!
Il culto degli ani­ma­li, in una forma o nel­l’al­tra, fu co­mu­ne a tutti po­po­li pri­mi­ti­vi.
Molto tempo prima dei Fa­rao­ni, l’E­git­to era po­po­la­to da cac­cia­to­ri no­ma­di, i quali, ve­ne­ra­va­no come sacri il coc­co­dril­lo e il ser­pen­te.
Più tardi, quan­do la vita di­ven­ne più se­den­ta­ria e di­ver­si ani­ma­li fu­ro­no ad­do­me­sti­ca­ti, l’a­rie­te, l’uro fu­ro­no ugual­men­te di­vi­niz­za­ti. Con i pro­gres­si della Ci­vil­tà, gli dei, di­ven­ne­ro meno si­mi­li agli ani­ma­li e più si­mi­li agli umani, una forma di “teoan­tro­po­ciz­za­zio­ne”; tut­ta­via le due na­tu­re (come ac­cad­de sia nella Ci­vil­tà Egi­zia, come anche in quel­la Inca, Maya, Az­te­ca) fu­ro­no per un lungo pe­rio­do com­bi­na­te in­sie­me.
Ad esem­pio, gli Egizi, ado­ra­va­no “Knoum”, il dio della crea­zio­ne con la testa d’a­rie­te e, la “Sfin­ge”, in parte leone e in parte uomo detta anche “Chi­me­ra”.
Gli ibri­di di uomo e ani­ma­le, come i cen­tau­ri (busto umano e corpo di ca­val­lo) e, i sa­ti­ri (busto di uomo e piedi equi­ni), ab­bon­da­no nella mi­to­lo­gia greca, dove gli dei as­su­me­va­no fre­quen­te­men­te le forme di ani­ma­li, si pensi al dio “Pro­teus” o “Pro­teo” il pa­sto­re del mare, il quale po­te­va as­su­me­re la forma di qual­sia­si es­se­re ma­ri­no. Per con­tro, gli ani­ma­li in­car­na­va­no spes­so le forme ma­le­fi­che della crea­zio­ne.
Se­con­do una le­gen­da greca, “Zeus”, so­vra­no del­l’u­ni­ver­so, so­praf­fà “Tifeo”, che rap­pre­sen­ta le forze brute della na­tu­ra. Tifeo era un mo­stro spa­ven­to­so, il corpo era co­per­to di penne, cento teste di ser­pen­te erano col­lo­ca­te fra le spal­le e un nido di vi­pe­re era con­te­nu­to nelle sue cosce. Il Mi­no­tau­ro, era un mo­stro in­vin­ci­bi­le, con la testa di toro, che vi­ve­va nel­l’I­so­la di Creta al­l’in­ter­no di un edi­fi­cio con la­bi­rin­to. La sua uc­ci­sio­ne da parte di Teseo, di­ven­ne come altre leg­gen­de, uno dei sog­get­ti pre­fe­ri­ti da molti pit­to­ri, scul­to­ri e poeti. Nella mi­to­lo­gia indù in­ve­ce, il dio “Visnù”, è un uomo con la testa di leone e quat­tro brac­cia, per uc­ci­de­re il suo ne­mi­co, il re dei de­mo­ni. Nei temi let­te­ra­ri, si fa spes­so ri­fe­ri­men­to agli ani­ma­li, sia che fos­se­ro leg­gen­da­ri o meno.
Dare loro at­tri­bu­ti umani, spe­cial­men­te la pa­ro­la e ser­vir­se­ne per de­nun­cia­re i vizi della so­cie­tà, è un pro­ce­di­men­to usato dallo scrit­to­re e fi­lo­so­fo Greco Esopo (il padre del tea­tro Greco), nelle sue fa­vo­le, circa 500 anni a.C. Que­sto fu adot­ta­to anche da altri scrit­to­ri, molti se­co­li dopo, come dal bri­tan­ni­co Geor­ge Or­well con la “Fat­to­ria degli ani­ma­li”, o nel libro di Adams Ri­chard “La col­li­na dei co­ni­gli”, un ten­ta­ti­vo da parte della let­te­ra­tu­ra mo­der­na, di tro­va­re la pro­pria Ilia­de od Odis­sea, o con il Libro della giun­gla di Ru­dyard Ki­pling, uno dei più leg­gen­da­ri, in cui si fa ri­fe­ri­men­to a una so­cie­tà ani­ma­le an­tro­piz­za­ta.
Nel corso della sto­ria, l’uo­mo espri­me il suo in­te­res­se per gli ani­ma­li sel­vag­gi, ini­zial­men­te uti­liz­zan­do­li, pur­trop­po, in ser­ra­gli, come quel­li del­l’an­ti­ca Me­so­po­ta­mia, in Egit­to e in Cina; molti ani­ma­li sel­vag­gi, erano por­ta­ti nelle arene del­l’An­ti­ca Roma im­pe­ria­le ad esi­bir­si, come in quel­la più ce­le­bre del­l’An­fi­tea­tro Fla­vio, il Co­los­seo.
L’im­pe­ra­to­re Ot­ta­via­no Au­gu­sto (29 a.C.-14 a.C.), a un certo punto del suo regno, man­te­ne­va nei suoi ser­ra­gli circa 420 tigri (come ci è noto da do­cu­men­ti del­l’e­po­ca), 260 leoni, 600 altri car­ni­vo­ri afri­ca­ni, un ri­no­ce­ron­te e un gros­so pi­to­ne. Sin dal Medio Evo, me­di­ci e al­chi­mi­sti, usa­va­no al­cu­ni ani­ma­li per i loro studi cli­ni­ci e al­che­mi­ci, ten­tan­do ti tro­va­re con essi ed in essi, ri­me­di e po­zio­ni ma­gi­che. Le tribù in­dia­ne della Guia­na uti­liz­za­no an­co­ra oggi delle man­di­bo­le di for­mi­ca, come grap­pe chi­rur­gi­che di su­tu­ra. Cer­ta­men­te, so­prat­tut­to in pas­sa­to nu­me­ro­se sco­per­te me­di­che, sa­reb­be­ro state im­pos­si­bi­li senza gli ani­ma­li.
Così la cura del dia­be­te con l’in­su­li­na ha avuto ori­gi­ne dalla sco­per­ta fatta da due ri­cer­ca­to­ri Ca­na­de­si, nel 1922, su un cane ma­la­to di dia­be­te. L’in­su­li­na, poi pro­dot­ta per sin­te­si e oggi me­dian­te le tec­ni­che del DNA ri­com­bi­nan­te in bat­te­ri, venne però ini­zial­men­te estrat­ta dal Pan­creas di cane.
Cer­ta­men­te con il pro­gre­di­re della scien­za, si spera che l’u­ti­liz­zo degli ani­ma­li, cessi! Qui si con­clu­de, que­sto ar­ti­co­lo, per molti aspet­ti in­com­ple­to, su quel­lo che è stato ed è, come con­ti­nue­rà ad es­se­re il rap­por­to o me­glio la “Sto­ria Na­tu­ra­le del rap­por­to Uo­mo-Ani­ma­li”, al­tret­tan­to ci sa­reb­be da dire su quel­la con le Pian­te; sia che que­sto abbia una na­tu­ra con­flit­tua­le, o col­la­bo­ra­ti­va, o pur­trop­po di sfrut­ta­men­to, la cosa certa è che uo­mi­ni e ani­ma­li, hanno sin dal­l’o­ri­gi­ne con­vis­su­to in­sie­me ab­brac­cian­do la sto­ria e l’e­vo­lu­zio­ne della vita e della spe­cie, su que­sto Pia­ne­ta; senza ombra di dub­bio, uo­mo-ani­ma­li-pian­te sono in­ter­con­nes­si in­ti­ma­men­te e ognu­no è ne­ces­sa­rio alla so­prav­vi­ven­za del­l’al­tro, quin­di, poi­ché ani­ma­li e pian­te, co­mun­que non ge­ne­ra­no pro­ble­mi, equi­va­len­ti a quel­li che l’es­se­re umano crea a loro, do­vreb­be es­ser­ci da parte no­stra, un “Ri­spet­to” cre­scen­te verso chi, oltre a es­se­re ne­ces­sa­rio alla no­stra so­prav­vi­ven­za, rende que­sto Pia­ne­ta unico nel suo ge­ne­re, al­me­no fino ad oggi!


Giu­lia­no Rus­si­ni è lau­rea­to in Scien­ze Bio­lo­g­i­che al­l’U­ni­ver­si­tà La Sa­pien­za di Roma, con spe­cia­liz­za­zio­ne in bo­ta­ni­ca e zoo­lo­gia; suc­ces­si­va­men­te ha con­se­gui­to in UK e Fran­cia la spe­cia­liz­za­zio­ne in et­no­bio­geo­gra­fia. La­vo­ra come cu­ra­to­re al Giar­di­no Eso­ti­co di Hen­daye, Fran­cia. (e-mail: rus­si­ni­giu­lia­no@​yahoo.​it).


 






Evoluzione umana

Evo­lu­zio­ne Umana
Ber­nard Wood – Co­di­ce Edi­zio­ni
Ni­co­la Gio­van­ni Gril­lo, Ste­fa­no Ber­nar­di – Geva Edi­zio­ni – 2009


La do­man­da che sta alla base di tutte le ri­cer­che, di tutti gli studi e di tutti i di­bat­ti­ti che nel­l’Ot­to­cen­to hanno dato ori­gi­ne alla pa­leoan­tro­po­lo­gia, è in de­fi­ni­ti­va quel­la che l’uo­mo si pone da sem­pre: da dove ve­nia­mo?
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