Con­di­vi­di l'ar­ti­co­lo
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di Fabio Zam­bon


Il co­lom­bo Tri­ga­ni­no Mo­de­ne­se è una delle razze ita­lia­ne più an­ti­che. La sua città na­ta­le, come si può de­dur­re dal nome, è Mo­de­na; ve­ni­va uti­liz­za­to come co­lom­bo mes­sag­ge­ro ed in se­gui­to per il ca­rat­te­ri­sti­co gioco del “fér vulér i clomb (gioco del far vo­la­re i co­lom­bi)”, una vera e pro­pria guer­ra tra co­lom­bo­fi­li che ten­ta­va­no di ru­bar­si i co­lom­bi gli uni con gli altri.
La sua ori­gi­ne è av­vol­ta dal mi­ste­ro. Non ci è pos­si­bi­le ri­sa­li­re alle razze da cui è stato ri­ca­va­to, vista la scar­si­tà di in­for­ma­zio­ni sto­ri­che a ri­guar­do e al­l’an­ti­chi­tà della razza stes­sa. Tut­ta­via ab­bia­mo no­ti­zie del­l’e­si­sten­za del­l’u­ti­liz­zo di co­lom­bi come mes­sag­ge­ri a Mo­de­na già prima del 1300.
Negli ar­chi­vi di stato di Reg­gio Emi­lia e di Mo­de­na esi­sto­no “grida” (leggi me­dioe­va­li) dei po­de­stà dalle quali si ri­le­va come, anche prima del 1400, esi­stes­se l’u­san­za in que­ste città di far vo­la­re bran­chi di co­lom­bi. Que­ste grida sta­bi­li­va­no i prez­zi per ri­scat­ta­re i co­lom­bi per­du­ti.
Ales­san­dro Tas­so­ni (1565-1635), nel suo ma­gni­fi­co poema eroi­co­mi­co ca­val­le­re­sco “La sec­chia ra­pi­ta”, par­lan­do dei co­lom­bi­col­to­ri di Mo­de­na di quel tempo, dice:


« Nulla ri­spon­de e con­tro i ra­ven­na­ti
Tom­ma­sin a quel dir strin­ge gli spro­ni
Con una com­pa­gnia di sca­pi­glia­ti
De­di­ti al gioco e a far volar pic­cio­ni
Che Tri­ga­nie­ri fur co­gno­mi­na­ti;
Ne­mi­ci na­tu­ral dei bac­chet­to­ni,
Gente che il ciel avea posto in oblio,
E l’ ap­pe­ti­to sol tenea per Dio »


Que­sta ci­ta­zio­ne di­mo­stra che il ca­rat­te­ri­sti­co “gioco del far vo­la­re” fatto dai tri­ga­nie­ri (tar­ga­nèr in dia­let­to mo­de­ne­se), fosse già ra­di­ca­to e ben svi­lup­pa­to al­l’e­po­ca. Da qui pos­sia­mo pre­su­me­re che la sua ori­gi­ne sia si­tua­ta an­co­ra più in­die­tro nel tempo.
Tale gioco con­si­ste­va nel­l’ad­de­stra­re dei co­lom­bi, di so­li­to circa tren­ta Tri­ga­ni­ni, a vo­la­re in grup­po, il più pos­si­bi­le unito. Allo stor­mo ve­ni­va in­se­gna­to ad al­lon­ta­nar­si pro­gres­si­va­men­te dalla co­lom­ba­ia fino ad unir­si allo stor­mo di un altro tri­ga­nie­re. In que­sto modo av­ve­ni­va la co­sid­det­ta “mi­schia” in cui i due bran­chi di co­lom­bi ve­ni­va­no fatti vo­la­re as­sie­me per poi tor­na­re in­die­tro al fi­schio del tri­ga­nie­re. Que­sta fase ve­ni­va detta “strap­pa­ta” poi­ché i co­lom­bi, al ri­chia­mo, do­ve­va­no im­me­dia­ta­men­te far ri­tor­no alla pro­pria co­lom­ba­ia senza che nes­su­no si fosse di­sper­so nel grup­po del tri­ga­nie­re av­ver­sa­rio.
Ar­ri­va­ti alla co­lom­ba­ia, av­ve­ni­va la “gu­sta­ta” o “gua­sta­ta” ossia il pre­mio in gra­na­glie per il la­vo­ro com­piu­to.
La co­lom­ba­ia dei tri­ga­nie­ri era ab­ba­stan­za par­ti­co­la­re, in­fat­ti nel punto più alto di que­sta ve­ni­va po­si­zio­na­ta un’im­pal­ca­tu­ra di legno sulla quale si svol­ge­va parte del gioco.


Il gioco del far volare


Il conte Gnoli di Mo­de­na, oltre ad es­se­re un gran­de in­ten­di­to­re di Tri­ga­ni­ni, fu anche un abile ad­de­stra­to­re di co­lom­bi. Si narra che aves­se istrui­to due bran­chi, l’uno com­po­sto di venti neri (Tri­ga­ni­ni con le re­mi­gan­ti pri­ma­rie nere), l’al­tro di venti bian­chi (a re­mi­gan­ti pri­ma­rie bian­che), che fa­ce­va vo­la­re nella piaz­za Mag­gio­re di Mo­de­na. Quan­do li ri­chia­ma­va, tutti i bian­chi scen­de­va­no sopra un tap­pe­to bian­co alla sua de­stra e tutti i neri sopra un tap­pe­to nero alla sua si­ni­stra e mai nes­su­no er­ra­va. Aveva anche am­mae­stra­to un co­lom­bo a vo­la­re nel cielo di quel­la stes­sa piaz­za. Quan­do que­st’ul­ti­mo gli pas­sa­va alto sulla testa, il conte spa­ra­va un forte colpo di pi­sto­la ed il vo­la­ti­le si but­ta­va im­me­dia­ta­men­te ad ali chiu­se, come morto, den­tro una bi­sac­cia che con­te­ne­va al­cu­ni grani di “fru­men­to­ne” (mais), cibo molto ap­pe­ti­to dai co­lom­bi.


L’e­ti­mo­lo­gia della pa­ro­la Tri­ga­ni­no de­ri­va dal greco “tri­gòn”, tor­to­ra. L’e­spres­sio­ne co­lom­bo­fi­la “tri­ga­no”, usata per de­si­gna­re i co­lom­bi mar­tel­la­ti, cioè a co­pri­tri­ci delle ali squa­ma­te, con­fer­ma que­st’i­po­te­si eti­mo­lo­gi­ca. In­fat­ti as­so­mi­glia­no molto alle mac­chie trian­go­la­ri delle co­pri­tri­ci delle ali della tor­to­ra eu­ro­pea. La pa­ro­la “tri­ga­no”, pre­ce­den­te­men­te nel mo­de­ne­se, era si­no­ni­mo di pic­cio­ne. E’ con que­sto ter­mi­ne che, per un de­ter­mi­na­to pe­rio­do di tempo, ve­ni­va­no chia­ma­ti i co­lom­bi viag­gia­to­ri del­l’e­po­ca. Dalla voce “tri­ga­no” si pensa sia de­ri­va­to anche il nome di “Tri­ga­nie­ri” che erano ap­pun­to gli al­le­va­to­ri di co­lom­bi.
L’al­le­va­men­to del Tri­ga­ni­no Mo­de­ne­se ha su­bi­to dei cam­bia­men­ti nel corso del tempo. Men­tre al­l’i­ni­zio que­sto ve­ni­va se­le­zio­na­to per le ca­rat­te­ri­sti­che di volo e del senso di grup­po, che con­sen­ti­va ad ogni sog­get­to di ri­ma­ne­re unito al pro­prio stor­mo in se­gui­to alla strap­pa­ta; suc­ces­si­va­men­te la se­le­zio­ne si è spo­sta­ta verso le co­lo­ra­zio­ni, fino ad ar­ri­va­re ai no­stri gior­ni dove il gioco del far vo­la­re pur­trop­po è scom­par­so.
Nel corso dei se­co­li ed at­tra­ver­so sa­pien­ti in­cro­ci, i tri­ga­nie­ri sono riu­sci­ti ad in­tro­dur­re al­l’in­ter­no della razza quasi tutte le co­lo­ra­zio­ni co­no­sciu­te fino alla metà del ‘900 tanto da farla ri­sul­ta­re, an­co­ra al gior­no d’og­gi, una delle razze con il mag­gior nu­me­ro di tinte del man­tel­lo.
La razza “Tri­ga­ni­na” viene sud­di­vi­sa prin­ci­pal­men­te in due va­rie­tà: i “Gazzi” e gli “Schiet­ti”. I primi pre­sen­ta­no testa, ali, coda e sot­to­co­da co­lo­ra­ti ed il resto del corpo è bian­co. Nei se­con­di la pig­men­ta­zio­ne è pre­sen­te in tutto il corpo.


Triganino modenese Gazzo raspato del prete e Schietto nero a verghe bianche
Tri­ga­ni­no Mo­de­ne­se Gazzo ro­spa­to del prete e Tri­ga­ni­no Mo­de­ne­se Schiet­to nero a ver­ghe bian­che.


La no­men­cla­tu­ra delle co­lo­ra­zio­ni è molto par­ti­co­la­re poi­ché, nu­me­ro­si sono i ri­chia­mi ad ele­men­ti della vita quo­ti­dia­na o a par­ti­co­la­ri tipi di ma­te­ria­li per de­scri­ve­re una par­ti­co­la­re tinta. Ad esem­pio la co­lo­ra­zio­ne “pie­tra­mar­mo” viene de­fi­ni­ta così per­ché ri­cor­da le ve­na­tu­re di al­cu­ni marmi.


Triganino modenese Gazzo pietramarmo e Gazzo sgurafosso
Tri­ga­ni­no Mo­de­ne­se Gazzo pie­tra­mar­mo e Tri­ga­ni­no Mo­de­ne­se Gazzo sgu­ra­fos­so.


Op­pu­re pos­sia­mo por­ta­re come esem­pio lo “sgu­ra­fos­so”, da al­cu­ni in pas­sa­to detto anche “pu­li­sci­fos­so” per la so­mi­glian­za al co­lo­re della di­vi­sa degli ope­rai mo­de­ne­si, detti “Sgu­ra­fos­si” in ver­na­co­lo mo­de­ne­se; in­ca­ri­ca­ti di pu­li­re i fossi.


Pos­sia­mo ci­ta­re anche il “bro­do­ce­ci” per­ché si­mi­le al co­lo­re dei ceci cotti od an­co­ra il “giug­gio­la”, dal co­lo­re del­l’o­mo­ni­mo frut­to e così via.
Que­sta no­men­cla­tu­ra è stata man­te­nu­ta in­tat­ta nel corso dei se­co­li senza uni­for­mar­si al­l’at­tua­le clas­si­fi­ca­zio­ne uti­liz­za­ta per tutte le altre razze. Ciò rende il Tri­ga­ni­no Mo­de­ne­se una razza unica, ricca di sto­ria e di si­gni­fi­ca­to che oggi viene con­ser­va­ta ormai da pochi ap­pas­sio­na­ti riu­ni­ti per la mag­gior parte nel “Club del Tri­ga­ni­no Mo­de­ne­se” (Fe­de­ra­zio­ne Ita­lia­na Al­le­va­to­ri Co­lom­bi, FIAC), nel­l’As­so­cia­zio­ne Co­lom­bo­fi­la Mo­de­ne­se e da altri pochi ap­pas­sio­na­ti nel reg­gia­no, tanto da es­se­re con­si­de­ra­ta una razza in via di estin­zio­ne.
Con­clu­do que­sta breve trat­ta­zio­ne­con un mes­sag­gio lan­cia­to­ci qual­che anno fa da un noto tri­ga­nie­re, Giu­lio Ce­sa­re Ab­ba­ti Ma­re­scot­ti, quan­do il gioco del far vo­la­re era ormai al suo tra­mon­to. Quel­la si­tua­zio­ne ri­chia­ma un po’ l’at­tua­le, in cui a ri­schio non è più solo il gioco di volo ma il Tri­ga­ni­no stes­so:


<< Fino a un quar­to di se­co­lo fa, pas­san­do per le stra­de di Mo­de­na, nel tardo au­tun­no o nel­l’in­ver­no, ca­pi­ta­va di udire scen­de­re dal cielo la­ce­ran­ti si­bi­li ed altri fra­stuo­ni si­mi­li a scop­pi. Non erano ulu­la­ti di si­re­ne ma fi­schi fatti colla bocca, e gli scop­pi non erano altro che colpi di ma­ni­co da fru­sta da bi­roc­cia­io sopra im­pal­ca­tu­re di legno; tutto ciò fa­ce­va­no i “tri­ga­nie­ri” per au­men­ta­re la ve­lo­ci­tà dei loro pic­cio­ni.
Ora non più. L’ul­ti­ma co­lom­ba­ia mo­de­ne­se per far vo­la­re pic­cio­ni è scom­par­sa da qual­che anno. Sor­ge­va alla estre­mi­tà nord di via Ga­na­ce­to, e di la i di­pin­ti co­lom­bi “dal Count” cor­re­va­no negli in­ver­ni fe­li­ci ad oltre 80 Km orari per im­bran­car­si con quel­li delle co­lom­ba­ie del cen­tro, o di quel­le di S. Fran­ce­sco o di S. Pie­tro per tra­sci­nar­li verso i Cap­puc­ci­ni, ed even­tual­men­te riac­com­pa­gnar­li a casa loro, e tor­nar­se­ne poi alla loro lon­ta­na co­lom­ba­ia per ri­ce­ve­re il me­ri­ta­to pre­mio in man­gi­me>>.


Struttura adibita al gioco del far volare


Fabio Zam­bon, Me­di­co Ve­te­ri­na­rio lau­rea­to al­l’U­ni­ver­si­tà di Parma, è ap­pas­sio­na­to di co­lom­bi­col­tu­ra e fauna sel­va­ti­ca.
http://​sites.​google.​com/​site/​triganino/
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