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di Giu­sep­pe Acel­la


Tempo fa, in una li­bre­ria molto ca­ri­na, posta sulla dar­se­na di una delle più sug­ge­sti­ve città del li­to­ra­le pu­glie­se, mi im­bat­tei in un vo­lu­met­to, sulla cui co­per­ti­na c’era una raf­fi­gu­ra­zio­ne cin­que­cen­te­sca di una donna dalla bel­lez­za tri­ste ed au­ste­ra, dallo sguar­do basso, che con la sua enig­ma­ti­ci­tà, in­ne­scò, nella mia me­mo­ria, uno stra­no col­le­ga­men­to con un’al­tra bel­lez­za enig­ma­ti­ca ri­na­sci­men­ta­le. La firma, del sag­gi­sta bar­let­ta­no Re­na­to Russo, pro­met­te­va bene, anche se il ti­to­lo, “Isa­bel­la d’A­ra­go­na Du­ches­sa di Bari”, non destò in me gran­de in­te­res­se, ma uno stra­no piz­zi­co di cu­rio­si­tà, do­vu­to es­sen­zial­men­te al fatto che non sa­pe­vo nulla di que­sta du­ches­sa, che poi avrei sco­per­to es­se­re una delle fi­gu­re cen­tra­li del ‘500.
Com­pe­rai il libro ed ini­ziai a leg­ger­lo nei gior­ni suc­ces­si­vi senza molto en­tu­sia­smo. Ma dopo al­cu­ne pa­gi­ne, ecco le prime sor­pre­se. Mi resi su­bi­to conto che Re­na­to Russo, te­nen­do al cen­tro della nar­ra­zio­ne la fi­gu­ra della “Du­ches­sa tri­ste”, aveva spa­zia­to nel vasto con­te­sto sto­ri­co in cui si di­pa­nò la sua vita, per poi con­vo­glia­re i let­to­ri verso la sco­per­ta di un pic­co­lo av­ve­ni­men­to che in­ci­se pro­fon­da­men­te sulle sorti del­l’I­ta­lia me­ri­dio­na­le, la ce­le­ber­ri­ma “di­sfi­da di Bar­let­ta”. Ma la cosa che colpì di più l’at­ten­zio­ne di un ap­pas­sio­na­to di ca­val­li, quale sono, fu la co­stan­te pre­sen­za nella nar­ra­zio­ne di ri­fe­ri­men­ti ai ca­val­li al­le­va­to nel Du­ca­to di Bari. Ogni volta che il Du­ca­to pas­sa­va di mano, chi ne ri­ce­ve­va la ti­to­la­ri­tà, prim’an­co­ra di pren­de­re pos­ses­so del pa­laz­zo e della cassa, aveva cura di met­te­re al si­cu­ro la man­dria al­le­va­ta a Car­bo­na­ra (pic­co­lo cen­tro vi­ci­no Bari, che sorge sulle pro­pag­gi­ni della Mur­gia) che si di­ce­va es­se­re com­po­sta da cento stal­lo­ni e cento giu­men­te. Que­ste con­ti­nue ci­ta­zio­ni ser­vi­va­no al­l’au­to­re per sot­to­li­nea­re l’im­por­tan­za del pre­sti­to, di tre­di­ci di que­sti pre­gia­ti ca­val­li, da parte dalla du­ches­sa, ai tre­di­ci ca­va­lie­ri di Et­to­re Fie­ra­mo­sca. I tre­di­ci ita­lia­ni si bat­te­ro­no, e vin­se­ro, con­tro al­tret­tan­ti ca­va­lie­ri fran­ce­si, nella già ci­ta­ta “Di­sfi­da di Bar­let­ta”. Que­sta vit­to­ria, che con­di­zio­nò l’e­si­to della guer­ra tra Spa­gna e Fran­cia per il pos­ses­so dei regni di Na­po­li e di Si­ci­lia, fu pro­pi­zia­ta dalla qua­li­tà su­pe­rio­re delle ca­val­ca­tu­re che co­sti­tui­ro­no l’ar­ma in più dei no­stri cam­pio­ni.
Que­sto libro, alla fine, mi aveva ap­pas­sio­na­to e fatto co­no­sce­re una parte della sto­ria della mia terra che fino ad al­lo­ra, nella mia mente, era av­vol­ta da una certa fo­schia, ma an­co­ra non sa­pe­vo cosa altro mi avreb­be por­ta­to a sco­pri­re.
Non molto tempo fa, fece il giro dei media la no­ti­zia che un nuovo stu­dio, con­dot­to dalla stu­dio­sa Maike Vogt-Luers­sen, aveva sve­la­to la vera iden­ti­tà della donna a cui si ispi­rò Leo­nar­do da Vinci quan­do di­pin­se il suo più ce­le­bre ca­po­la­vo­ro, la “Gio­con­da”. Se­con­do que­sto stu­dio tutte le ipo­te­si fatte pre­ce­den­te­men­te ca­dreb­be­ro, e l’i­spi­ra­tri­ce di Leo­nar­do sa­reb­be stata Isa­bel­la d’A­ra­go­na, pro­prio la Du­ches­sa di Bari, pro­ta­go­ni­sta del vo­lu­met­to di Re­na­to Russo, di cui ho scrit­to poc’an­zi.
Isa­bel­la e Leo­nar­do si co­nob­be­ro a Mi­la­no, dove la gen­til donna era te­nu­ta in una do­ra­ta pri­gio­nia da Lu­do­vi­co il Moro dopo es­se­re ri­ma­sta ve­do­va del le­git­ti­mo Duca di Mi­la­no, Gian Ga­leaz­zo Sfor­za ni­po­te dello stes­so Moro, il quale nello stes­so pe­rio­do aveva chia­ma­to alla sua corte il gran­de genio to­sca­no.


La Gioconda e Isabella d'Aragona


A que­sto punto, la mia cu­rio­si­tà è stata sol­le­ci­ta­ta oltre ogni mi­su­ra. Il ra­gio­na­men­to che stava ma­tu­ran­do in me era:


  • Lu­do­vi­co il Moro fa­ce­va al­le­va­re i suoi ca­val­li nel Du­ca­to di Bari, nel pe­rio­do in cui era in suo pos­ses­so, e la loro pre­sen­za, pres­so le scu­de­rie del Du­ca­to di Mi­la­no, era si­cu­ra­men­te co­spi­cua. Nello stes­so pe­rio­do, aveva chia­ma­to al suo ser­vi­zio Leo­nar­do da Vinci e te­ne­va pres­so la sua corte la ve­do­va di sua ni­po­te, Isa­bel­la d’A­ra­go­na;
  • Leo­nar­do aveva co­no­sciu­to la du­ches­sa pres­so la corte di Mi­la­no, e a lei si era ispi­ra­to per la sua più gran­de opera pit­to­ri­ca;
  • è certo che Isa­bel­la, ap­pe­na di­ve­nu­ta ti­to­la­re del Du­ca­to di Bari, prese pos­ses­so dei ca­val­li del­l’al­le­va­men­to che il Moro aveva or­ga­niz­za­to in quel du­ca­to, pres­so Car­bo­na­ra;
  • quin­di il nome Monna Lisa sa­reb­be da mu­tar­si in Monna Isa, e que­sta gen­til donna era, per certi versi, una no­stra col­le­ga, al­le­va­va anche lei ca­val­li delle Murge!
  • inol­tre, mi era già noto che Leo­nar­do, nel suo pe­rio­do mi­la­ne­se, aveva rea­liz­za­to nu­me­ro­si mo­del­li per delle sta­tue eque­stri, stu­dian­do la mor­fo­lo­gia dei ca­val­li delle scu­de­rie del Duca.

Stan­do così i fatti, si pre­sen­ta­va l’oc­ca­sio­ne di re­pe­ri­re una raf­fi­gu­ra­zio­ne, dei ca­val­li delle Murge, più rea­li­sti­ca dei di­pin­ti della stes­sa epoca o delle de­scri­zio­ni fatte dai vari au­to­ri di testi ip­po­lo­gi­ci. Que­sta pro­spet­ti­va era sup­por­ta­ta es­sen­zial­men­te dal fatto che, ve­ro­si­mil­men­te, pres­so le scu­de­rie della corte mi­la­ne­se, do­ve­va­no es­ser­ci ca­val­li pro­ve­nien­ti dal­l’al­le­va­men­to ba­re­se del Moro. Il loro pre­gio era tale che, si­cu­ra­men­te, fu­ro­no tra quel­li stu­dia­ti dal gran­de “mae­stro”.
Così ini­ziai a cer­ca­re im­ma­gi­ni dei mo­del­li delle sta­tue eque­stri rea­liz­za­ti a Mi­la­no dal da Vinci, ma quel­le che, per prime, tro­vai erano di ca­val­li con mor­fo­lo­gia trop­po dif­fe­ren­te da quel­la dei de­strie­ri al­le­va­ti, in quel pe­rio­do, nel sud della pe­ni­so­la. Poi, ad un certo punto, mi im­bat­tei nelle foto di una serie di sta­tuet­te di cera di pic­co­le di­men­sio­ni, raf­fi­gu­ran­ti dei ca­val­li, at­tri­bui­te ap­pun­to a Leo­nar­do e pre­ci­sa­men­te alla sua pro­du­zio­ne mi­la­ne­se.


Cavallo murgese e cavallo stante (statuetta)

 

Erano quel­lo che stavo cer­can­do!


Os­ser­van­do­le ed ana­liz­zan­do­le, par­ti­co­la­re per par­ti­co­la­re, ap­pa­ri­va sem­pre più chia­ro che mi tro­va­vo da­van­ti ad una raf­fi­gu­ra­zio­ne pre­ci­sis­si­ma, cin­que­cen­te­sca, di un tipo di ca­val­lo esat­ta­men­te cor­ri­spon­den­te al­l’o­dier­no Ca­val­lo Mur­ge­se. Pur­trop­po ho do­vu­to ac­con­ten­tar­mi di im­ma­gi­ni fo­to­gra­fi­che. Ma l’at­tac­ca­tu­ra bassa della coda, la linea dor­so-lo­ba­re leg­ger­men­te de­pres­sa, il collo ar­cua­to, il pro­fi­lo della testa ten­den­te al con­ves­so e l’an­ca leg­ger­men­te “cor­nu­ta”, ri­spon­do per­fet­ta­men­te la de­scri­zio­ne che il dott. Mi­che­le De Mauro (ve­te­ri­na­rio del De­po­si­to Stal­lo­ni di Fog­gia) fece dei ca­val­li delle Murge nella sua re­la­zio­ne, pre­sen­ta­ta nel 1925 in una riu­nio­ne di tec­ni­ci ed al­le­va­to­ri, che diede il via al ri­co­no­sci­men­to uf­fi­cia­le, ed al­l’i­sti­tu­zio­ne del Re­gi­stro Ana­gra­fi­co, del Ca­val­lo Mur­ge­se.
Que­sta “sco­per­ta”, frut­to di un’in­da­gi­ne sto­ri­ca ca­rat­te­riz­za­ta, più che altro, dalla con­ver­gen­za di varie ca­sua­li­tà, si ag­giun­ge alla lunga serie di ri­fe­ri­men­ti sto­ri­ci ri­guar­dan­ti i ca­val­li della Pu­glia. Se­con­do al­cu­ni, la ri­co­stru­zio­ne dei tre­mi­la anni di sto­ria del­l’ip­po­col­tu­ra pu­glie­se, co­sti­tui­sce il mito, se­con­do altri, la sto­ria, ma una­ni­me­men­te è con­si­de­ra­ta il va­lo­re in­trin­se­co, del Ca­val­lo Mur­ge­se, che oggi ini­zia ad espri­me­re anche le sue gran­di po­ten­zia­li­tà spor­ti­ve, oltre che este­ti­che e ca­rat­te­ria­li.
Nel ‘500 in Pu­glia, ma in ge­ne­ra­le in tutto il Regno di Na­po­li ed in Si­ci­lia, l’ip­po­col­tu­ra con­so­li­dò l’an­ti­chis­si­mo le­ga­me con que­ste terre. Fin da epoca el­le­ni­ca, Arpi (nei pres­si del­l’at­tua­le Fog­gia) era fa­mo­sa per i suoi ca­val­li, tanto da me­ri­tar­si l’ap­pel­la­ti­vo di Argos Hip­pium (la Argo dei ca­val­li); e la ca­val­le­ria ta­ran­ti­na, che era mon­ta­ta su ve­lo­ci ed agili ca­val­ca­tu­re, in­fluen­zò, con il pro­prio modo di com­bat­te­re, la tec­ni­ca di tutte le ca­val­le­rie el­le­ni­che.
An­ni­ba­le, du­ran­te la sua cam­pa­gna mi­li­ta­re in Ita­lia, dopo la bat­ta­glia di Canne, ar­ri­vò a raz­zia­re nel sud della Pu­glia fino a 4000 pu­le­dri in una sola volta.
Vir­gi­lio e Var­ro­ne can­ta­ro­no la bel­lez­za dei ca­val­li al­le­va­ti nella no­stra re­gio­ne.
Fe­de­ri­co II, sem­bra, che aves­se una certa pre­di­le­zio­ne per i ca­val­li del tacco della pe­ni­so­la.
Du­ran­te la per­ma­nen­za dei d’A­ra­go­na sul trono di Na­po­li, e poi sotto il do­mi­nio spa­gno­lo, si svi­lup­pa­ro­no, in que­sto ter­ri­to­rio, al­le­va­men­ti come quel­li dei Ca­rac­cio­lo Duchi di Mar­ti­na e della Du­ches­sa di Bari, non­ché, quel­lo degli Ac­qua­vi­va d’A­ra­go­na Conti di Con­ver­sa­no (la razza di Con­ver­sa­no fu la più ce­le­bre del suo tempo).
L’im­pe­ra­to­re Car­loV (l’Im­pe­ra­to­re sui cui pos­se­di­men­ti non tra­mon­ta­va mai il sole) pre­di­li­ge­va, per il suo per­so­na­le ser­vi­zio, de­strie­ri na­po­li­ta­ni. E pro­prio la sua ca­val­ca­tu­ra pre­fe­ri­ta, il baio Bran­ca­leo­ne, pro­ve­ni­va pro­ba­bil­men­te dal­l’al­le­va­men­to im­pe­ria­le di Pa­laz­zo d’A­sco­li, nel Ta­vo­lie­re. E come non ci­ta­re, sem­pre nel XVI se­co­lo, la pre­sen­za pres­so Al­be­ro­bel­lo del­l’al­le­va­men­to, qui in­se­dia­to, dalla Re­pub­bli­ca di Ve­ne­zia (la Ca­val­le­riz­za).
Pur­trop­po, tutto que­sto è stato spaz­za­to via da even­ti lieti e meno lieti come la mec­ca­niz­za­zio­ne, l’u­ni­fi­ca­zio­ne na­zio­na­le e le ri­for­me agra­rie.
Tutto tran­ne il Ca­val­lo Mur­ge­se che, di­men­ti­ca­to nel suo ha­bi­tat na­tu­ra­le e re­le­ga­to nel ruolo di pro­dut­to­re di carne e muli, in­sie­me al suo cu­gi­no Asino di Mar­ti­na Fran­ca, giun­ge a noi pra­ti­ca­men­te come era cin­que­cen­to anni fa, a giu­di­ca­re dalla sta­tuet­ta di Leo­nar­do.
Con­sen­ti­te­mi di con­clu­de­re que­ste righe in modo iro­ni­co. Credo che, alla luce di quan­to ho ap­pe­na scrit­to, si possa chie­de­re, a ra­gion ve­du­ta, di cam­bia­re la di­da­sca­lia sotto il qua­dro della “Gio­con­da”, in que­sto modo:


“La Gio­con­da” di Leo­nar­do da Vinci.
Co­no­sciu­ta anche come Monna ISA.
Ri­trat­to di Isa­bel­la d’A­ra­go­na Du­ches­sa di Bari, AL­LE­VA­TRI­CE DI CA­VAL­LI DELLE MURGE.


 


De­di­ca­to a Re­na­to Russo
(per aver­mi for­ni­to, anche se in­vo­lon­ta­ria­men­te, lo spun­to per que­sto mo­de­sto stu­dio)
e Giu­sep­pe Maria Frad­do­sio
(che ha ispi­ra­to e spes­so in­co­rag­gia­to que­sta mia pas­sio­ne sto­ri­co-eque­stre)

Giu­sep­pe Acel­la è un gran­de ap­pas­sio­na­to di ca­val­li e asini.


 






A cavallo della storia

A ca­val­lo della sto­ria
L’E­qui­ta­zio­ne ita­lia­na come ri­fe­ri­men­to nel mondo
Gian­ni Bal­za­ret­ti – Edi­zio­ni Miele


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