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di Gennaro Pisciotta

Isolamento e semina di cellule bovine
Schema di isolamento e semina di cellule e bovine primarie su scaffold (impalcatura) di spinaci decellularizzati (Jones et al., 2021)

Del battage della “carne coltivata in vitro” accaduto circa una decina di anni addietro con la presentazione sugli schermi del primo “hamburger coltivato in laboratorio”, l’attrattività dei media per questo processo agroalimentare non è scemato, con circa 12.000 pubblicazioni su questo tema, mentre sono solo il 4% degli articoli scientifici hanno trattato il problema, con scollegamento che rende uno scrennshot di parte della contesa. La montatura dei mass-media da ogni parte relativa alla “carne coltivata” ha anche guidato irragionevolmente, con la riduzione al silenzio, la contesa scientifica sul positivo risultato di questa esperienza. Un saggio scientifico, di recente divulgazione, dà un approfondito quadro a 360° delle attuali conoscenze accademiche sulla carne coltivata in vitro, una opportunità per esaminare le condizioni presenti della diatriba a livello universitario sulla materia, come gli importanti vincoli nella tecnologia di elaborazione della stessa. Cominciando dalla metodologia, necessita un prelievo di parte di tessuto muscolare da un animale per ottenere cellule staminali viventi, poiché questi campioni devono essere asportati con regolarità, questo provoca nuove obiezioni morali.  Queste cellule possono duplicarsi e poi tramutarsi in differenti cellule, come le cellule muscolari e le cellule adipose, il mezzo di coltura deve fornire le sostanze nutrienti, gli ormoni ed i fattori di crescita necessari per la moltiplicazione e differenziamento delle cellule in tessuto adulto.  Il “terreno di coltura” particolarmente utilizzato è il siero prelevato dall’embrione dopo la macellazione delle vacche in gravidanza, che verrà presto sostituito da un siero artificiale; questi mezzi sintetici hanno alcune inconvenienti nella determinazione delle concentrazioni rigorose di ogni costituente del siero, che deve essere ben adeguato a ogni tipo di cellula ed al suo stadio di crescita. Al momento nessuno di questi componenti sintetici è stato proposto e disquisito nella comunità scientifica, fin al momento in cui gli ormoni sintetici sono essenziali per la proliferazione delle cellule, gli iniziatori della “carne coltivata” si trovano a fronteggiare un dilemma: gli ormoni sono proibiti nei Paesi dell’UE. Questo chiarisce in parte perché, Singapore, è uno degli Stati ad aver concesso la commercializzazione di questa tecnica ai realizzatori di “carne coltivata”, che sostengono la sicurezza maggiore della convenzionale, poiché è prodotta in un ambiente controllato e senza contaminazione. Pertanto concludono che sia un prodotto sterile e privo di pericoli per la salute, in verità la “carne coltivata” antibiotici e fungicidi nel substrato di crescita. Per gli autori di alcuni articoli scientifici la carenza di studi ad hoc, connessi alla caratterizzazione del rischio della “carne coltivata in vitro”, è considerata un grosso handicap all’introduzione della stessa sui mercati e limitazioni relative alla salute. La carne naturale è in realtà un alimento complesso, più difficile da riprodurre di un agglomerato di tessuto muscolare e adiposo, vi è confusione quanto e quali siano i livelli di macro e micro nutrienti della “carne coltivata” rispetto a quella tradizionale, verosimile che quella in vitro manchi e\o siano inadeguati i nutrienti importanti e non riproducibili artificialmente, come  Fe, Zn e vitamina B12, importante per il sistema nervoso, la funzione immunitaria ed è coinvolta la maturazione dei eritrociti, nel metabolismo dell’acido folico. Qualsiasi componente, come gli oligoelementi aggiunti in vitro, ridurrà le qualità nutrizionali, in quanto assente nella sua fonte primigenia e viene in prospettiva   assimilato in modalità inferiore. Infatti, i componenti chimici del terreno di coltura e\o i biomateriali della carne in vitro possono esercitare un effetto bloccante sui benefici per il benessere derivanti da microelementi, come il Ferro. Un altro punto decisivo è, nella carne in vitro, l’assenza di mioglobina (proteina di trasporto dell’ossigeno) e di tutti i composti aromatici, che danno sapore alla carne di allevamento che si sviluppano durante il procedimento tecnico della frollatura (la carne viene fatta maturare all’interno di ambienti controllati, per ammorbidirne le fibre e renderle quindi più tenere).

impatto climatico degli allevamenti

I fautori della carne coltivata attualmente hanno come prodotti presentati solo la carne macinata come “hamburger” e polpette, mentre quelle frollate hanno una grande diversità di prodotti di carne pronti per essere cucinati e da portare in tavola sul desco, con proprietà organolettiche tali da poter essere grigliati, arrostiti o bolliti. L’eco-sostenibilità della “carne in vitro” non è ancora una verità assoluta, poiché c.d. riduzione delle emissioni di CH4, il perno del confronto, presenta molti punti critici quali:

  • pochi gli studi tra gli impatti ambientali delle carni coltivate e convenzionali;
  • vengono condotti con metodologia L.C.A. (Analisi del Ciclo della Vita) standardizzata ma con limiti riconosciuti (es. definizione confini del sistema, inventario, ecc.) dei risultati;
  • le indagini fatte si basano su parametri di laboratorio con simulazione a livello operativo su larga scala;
  • la produzione della carne è molto più impattante dal punto di vista ambientale rispetto a quella naturale proveniente dalla zootecnia tradizionale, uno studio realizzato da un gruppo di ricercatori dell’Università di Davis, in California, e pubblicata sul portale bioRxiv,
    è giunto ad un primo risultato “Gli attuali L.C.A. della carne coltivata non sono soddisfacenti per valutare il Global Worming di questa tecnologia alimentare emergente, l’incertezza  principale degli  studi antecedenti risiede nei modelli tecnologici utilizzati, che non riflettono con precisione le prassi odierne, che verranno utilizzate a breve termine per produrre questi prodotti; la valutazione ambientale fatta dagli scienziati statunitensi  si basa su sistemi di processo più dettagliati disponibili, che rappresentano l’attuale stato dell’arte in questo settore nascente della tecnologia alimentare.

La riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra (G.H.G.) che “intrappolano” il calore nell’atmosfera, responsabile del cambiamento climatico, è causato dall’attività dell’uomo che emette apporta CO2, CH4, N2O, ciò è ritenuto essere uno dei maggiori presunti vantaggi della carne coltivata rispetto alla carne bovina. Di contro recenti studi portano alla conclusione che il Global Warming a lungo termine con la carne coltivata avrebbe un maggior effetto surriscaldante della convenzionale, calcolandolo in base al GWP100 in rapporto al GWP di 1Kg di CO2 per 100 anni. Qui cade il presunto vantaggio della carne coltivata perché il CH4, a parità di tonnellate emesse, ha un effetto sul clima più elevato della CO₂, tuttavia permane in atmosfera soltanto per poco più di un decennio, mentre la CO₂ persiste e si accumula per svariati secoli o millenni.

  • Il consumo di H2O è molto caratterizzante, in merito alla tecnica per ottenere la carne in vitro, come si evince dalla tabella, l’impronta idrica è praticamente la stessa:

Acqua consumata nella produzione di carne

In merito all’utilizzo di minor superficie di suolo della “carne coltivata” rispetto alla carne convenzionale, non è un vantaggio in quanto l’allevamento svolge una funzione determinante potenziando i flussi di biomassa vegetale trasformandoli in alimenti ad alto valore nutrizionale, proteine di alta qualità per l’uomo e conservando il contenuto di carbonio e la fecondità del suolo; per abbrivio il letame è una risorsa di sostanza organica, N e P, che da fertilizzante riduce l’utilizzo di concimi chimici.

Letame prodotto dagli animali da carne

Considerazioni conclusive:

  • sarà nel nostro futuro e rappresenterà una possibile scelta alternativa per soddisfare particolari esigenze etiche, filosofiche, religiose e tecnologiche (viaggi spaziali);
  • al di là di quello che viene detto e dell’immagine che ne viene data, può presentare delle criticità in termini di sostenibilità del processo e di sviluppo sostenibile delle comunità umane, ma questo aspetto potrà essere pienamente valutato solo quando si avranno i primi impianti operativi;
  • nel frattempo, più che vietare, è importante informare per consentire scelte consapevoli;
  • informare sul ruolo che il consumatore può avere con le sue scelte in termini di effetti non solo ambientali ma anche sulla tutela del patrimonio culturale, storico, religioso e filosofico legato alla carne, il settore zootecnico richiede cambiamenti ed adattamenti alle mutate condizioni socio-economiche ed ambientali e questa transizione è già in atto;
  • necessità di un panel interdisciplinare di esperti indipendenti che valuti obiettivamente gli scenari che l’introduzione di carne coltivata può aprire adottando metodi di comparazione più consoni ad un confronto tra sistemi così diversi.

Sitografia:

  • https://www.zerosottozero.it/2015/11/19/che-cosa-significa-global-warming-potential-gwp/
  • https://www.nature.com/articles/d43978-023-00057-0
  • https://ilfattoalimentare.it/coldiretti-carne-coltivata-carne-sintetica.html
  • https://www.biorxiv.org/content/10.1101/2023.04.21.537778v1.full

Gennaro Pisciotta, laureato in Scienze e Tecnologie agrarie all’Università G. Marconi – Facoltà di Scienze e Tecnologie Applicate di Roma, è Agronomo J., Agrotecnico Laureato  ed Enologo Enotecnico libero professionista Maestro Assaggiatore ONAF (Organizzazione Nazionale Assaggiatori Formaggio). Ha insegnato presso l’ISIS “Falcone” di Pozzuoli (Napoli) fino al 26/09/2018. Curriculum vitae >>>

 

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