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di Rita Leogrande

Silene vulgaris comunemente è chiamata Silene, Schippetti, Strigolo, Erba cuoco, Cannatedda, Erba striscia, Erba cucina, Culecchie, Behen bianco, Bubbolino, Crepaterra, Mazzettone minuto, Polemonia, Stritolo. Probabilmente il nome generale Silene ha qualche connessione con il vocabolo greco “saliva” con allusione alla sostanza bianca, attaccaticcia, che molte specie presentano sul fusto e sul calice; oppure è collegato a Sileno, divinità pagana notoriamente panciuta in relazione al calice rigonfio tipico delle varie specie. Inoltre, in Sicilia è denominata Cannatedda chiamata così per la forma dei suoi fiori che somigliano ad una piccola brocca (cannata).

Habitat
Silene vulgaris, appartenente alla famiglia delle Cariofillaceae ed è diffusa nel bacino sud-Occidentale del Mediterraneo. In Italia è comune dal Lazio alla Calabria, in Sardegna e in Sicilia. Questa pianta vive nei sentieri, bordi erbosi, zone boschive, prati poveri di sostanze nutritive e, talvolta, su rocce in prossimità del mare; ama il caldo e i terreni ricchi di calcare.

Caratteristiche morfologiche
Pianta perenne, con fusto eretto e sottile con alcune ramificazioni, alta fino a 60 cm, generalmente glauca a base lignificata (Foto 1). Le foglie sono opposte, da ovato-lanceolate ad ovali, verdi-bluastre generalmente glabre, lunghe da 4 a 10 cm e larghe da 1 a 3 cm (Foto 2). Le foglie inferiori sono picciolate mentre quelle superiori avvolgono gli steli (Foto 3). Le foglie se strofinate tra le mani danno un fruscio caratteristico che giustifica il termine volgare Strigolo.

Silene vulgaris
Foto 1 – Piante della
Silene vulgaris (tesi di Laurea della dott.ssa Ornella Lopedota)

La radice è grossa e strisciante della lunghezza anche di 50 cm.
I fiori presenti in cime corimbose, pendenti, hanno un calice a forma di vescicoletta ovale, verde con sfumature bianche e rosse, lungo da 1,3 a 1,6 cm e largo da 0,5 a 0,7 cm, la corolla è formata da 5 petali bilobati all’apice, quasi trasparenti, della lunghezza da 1,5 a 1,8 cm (Foto 4).  fiori sono dioici (i fiori maschili e femminili si sviluppano su differenti piante) o ermafroditi. I fiori presentano 5 stami con filamenti di colore verde e antere giallo chiaro o bianche, gli stili con stimma sono in numero di 3 lunghi quanto gli stami e con ovario centrale alla base del fiore. Il fiore femminile si distingue da quello maschile per la maggiore lunghezza dello stilo e per le antere che sono più piccole o talora assenti.
Dopo l’appassimento dei petali il calice permane formando un involucro parziale o completo attorno alla capsula.

Foglie e stelo di Silena vulgaris
I semi, di colore marrone, sono lunghi 1,5 mm.
Uno studio effettuato su piante femminili e ermafrodite della S. vulgaris mostrò che le ermafrodite presentavano lo stesso numero di fiori per pianta e numero di ovuli per fiore rispetto alle piante femminili, ma il numero dei semi per capsula risultava superiore nei fiori ermafroditi (48,2±22,6 semi/capsula) rispetto ai fiori femminili (33,1±15 semi/capsula) (Cros et al., 2003). Pertanto, la selezione di piante ermafrodite potrebbe essere interessante per incrementare la produzione commerciale dei semi.
La pianta non è autofertile e l’impollinazione è entomofila.
Da una ricerca sull’impollinazione delle specie appartenenti al genere Silene si evidenzia che oltre che dal colore e dalla forma dei fiori, gli insetti impollinatori sono attratti dal loro profumo (principalmente benzenoidi e isoprenoidi). Nella S. vulgaris la benzaldeide (12,2%) insieme agli idrocarburi monoterpenici (59,6%) sono i principali responsabili del profumo dei fiori che attirano soprattutto Nottuidi, Coleotteri, Ditteri e Sfingidi (Jürgens et al., 2002).
S. vulgaris cresce dal seme o dalle gemme apicali, esibendo tre distinte fasi: vegetativa, riproduttiva, e post-riproduttiva.

Fiori di Silene vulgaris
Foto 4 – Fiori di
Silene vulgaris
(CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=434088)

Nel primo anno la fase vegetativa, dall’emergenza fino a 40 giorni dopo, è rappresentata da un periodo di rapida crescita. Questa fase è caratterizzata da:

  • rapido accumulo della biomassa nel fusto;
  • alta percentuale di crescita relativa (200 mg g-1 d-1) (Wall e Morrison, 1990);
  • alta percentuale di area fogliare (10-20 dm2 d-1) (Wall e Morrison, 1990).

Durante questa fase il 60-70% della biomassa totale della pianta è localizzata nei tessuti delle foglie. Successivamente, con l’allungamento del fusto si osserva la riduzione della biomassa delle foglie ed un aumento di quella del fusto. Infatti 40-50 giorni dopo l’emergenza si ha un elevata percentuale di biomassa dello stelo coincidente con il periodo di fioritura. La radice, invece, in fase vegetativa accumula il 10-20% totale della biomassa della pianta.
La fase riproduttiva che va da 40 a 80 giorni dopo l’emergenza (GDE), è caratterizzata da un rapido incremento della biomassa fiorale e dei semi e una scarsa crescita della radice, pari solo al 10%; inoltre, si ha una rapida riduzione dell’area fogliare e della crescita relativa. La maggiore fioritura avviene tra 60-72 GDE.
Nella fase di post-maturazione, che va da 80 GDE a fine ciclo, si ha un incremento della percentuale relativa di crescita delle radici e un rapido incremento della biomassa delle radici, concomitante ad uno sviluppo delle gemme rigenerative.
Nel secondo anno, nei primi 80 giorni di crescita si assiste ad una notevole riduzione dell’area fogliare e della percentuale relativa di crescita e un incremento della biomassa delle radici rispetto al primo anno. Il primo anno, probabilmente, la pianta sacrifica la crescita delle radici a favore della fioritura e quindi dei semi; questo è un adattamento che le permette di sopravvivere e colonizzare nuove aree.
Il primo anno S. vulgaris avendo radici non molto sviluppate risulta poco competitiva nei confronti di altre piante presenti nello stesso suolo; il secondo anno, invece, c’è una maggiore competizione dovuta al maggior sviluppo delle radici.

  1. vulgaris è una specie che può crescere dal livello del mare fino ad altitudini superiori ai 1600 m; a queste altitudini la pianta è sottoposta ad alti livelli di flusso naturale di UV-B, che sulle piante induce generalmente una riduzione della crescita (Rozema et al., 1990), variazioni morfologiche e riduzione della fotosintesi (van de Staaij et al., 1995). Tuttavia un lavoro effettuato su due popolazioni di S. vulgaris che crescevano a 1600 e a 2 m s.l.m., non mostrò differenze di percentuale di crescita, percentuale di gas scambiati, traspirazione e parametri biochimici sia su piante adulte che su germinelli (van de Staaij et al., 1995). S. vulgaris, quindi, potrebbe adattarsi anche in zone d’Europa ad elevate altitudini con climi freddi.
  2. vulgaris è una specie che può tollerare condizioni di siccità. Una ricerca condotta da Podbielkowskie e Podbielkowska (1992) evidenziò una tolleranza alla siccità della S. vulgaris accompagnata da un decremento della superficie fogliare e un incremento della capacità della foglia ad immagazzinare acqua con conseguente ispessimento dovuto all’aumento del volume cellulare; inoltre, la presenza di un elevato numero di peli radicali facilitava l’accrescimento della pianta in condizioni di deficit idrico.

S vulgaris tollera anche suoli carenti di sostanze nutritive.
Diversi studi hanno confermato la resistenza e tolleranza della specie ai metalli pesanti con la possibilità di colonizzare suoli polimetallici. La tossicità ai metalli pesanti dipende dalla biodisponibilità degli elementi nel suolo, dalla lunghezza del periodo di esposizione, dagli ecotipi resistenti o meno e dalla fase fenologica in cui la pianta si trova. S. vulgaris è molto tollerante al piombo (Wierzbicka e Panufnik, 1998) e la presenza ad elevate concentrazioni nel substrato determina un incremento della biomassa e delle radici (Wierzbicka e Panufnik, 1998), l’incremento della biomassa si è evidenziato anche in piante cresciute su substrati ricchi di zinco e rame (Verkleij e Prast, 1989), ma non in popolazioni cadmio resistenti, perché probabilmente il cadmio non partecipa ai processi metabolici della pianta (Verkleij e Prast, 1989).
La tolleranza e la cattura dei metalli pesanti sono due essenziali caratteristiche richieste per la fitoestrazione dei metalli pesanti dai suoli contaminati. Il rame è un nutriente essenziale per la pianta ma in alte concentrazioni è fitotossico. Piante che crescono su suoli contaminati da rame possono evolvere meccanismi di resistenza al rame nel suolo o tolleranza al rame all’interno delle cellule delle piante (Macnair, 1993). Alcune popolazioni di S. vulgaris sono estremamente tolleranti al rame. I principali meccanismi di tolleranza al rame nella popolazione “Imsbch” sono dovuti ad una riduzione della cattura e/o ad un maggiore efflusso del rame (van Hoof et al., 2001). Inoltre, è stato mostrato che SvMT2b, un gene che codifica una proteina metallotionina, conferisce una maggiore tolleranza al rame (van Hoof et al., 2001). Una ricerca effettuata da Yang et al. (2002) evidenziò l’esclusione del rame e non l’iperaccumulazione all’interno della pianta; ciò indica che la S. vulgaris resiste al rame ma non è in grado di estrarlo da suoli contaminati.

Le piante in seguito ad uno stress mettono in atto diversi meccanismi per poter superare questa condizione. Una risposta della S. vulgaris ad elevate concentrazioni di metalli pesanti (rame, cadmio e zinco) si estrinseca nel diverso accumulo di prolina. Un lavoro effettuato da Henk et al. (1997) dimostrò la diversa concentrazione di prolina nelle piante tolleranti e non tolleranti i metalli pesanti; infatti, negli ecotipi non tolleranti c’era un maggiore accumulo di prolina rispetto ad ecotipi tolleranti. Però questi ultimi presentavano una concentrazione iniziale di prolina 5-6 volte superiore rispetto a quelli non tolleranti. Solitamente nelle piante tolleranti non si registrava un aumento di prolina in presenza di zinco e rame mentre tale aumento si evidenziava con il cadmio.

Uso commestibile
Le giovani piantine possono essere mangiate crude o cotte. Le giovani foglie crude hanno un sapore molto gradevole nelle insalate. Le foglie tenere, raccolte prima che siano visibili i boccioli fiorali (generalmente 8-10 cm di altezza) vengono mangiate cotte in sostituzione degli spinaci; il loro sapore ricorda quello dei piselli ma con una nota amarognola. L’uso più comune è la loro cottura senza acqua in pentola coperta. Sono considerate ottime per il ripieno dei “tortellini”, nel territorio etneo vengono aggiunte nelle frittate dopo una leggera cottura a vapore; sono anche molto apprezzate in toscana soprattutto per la “zuppa toscana”. Spesso utilizzate insieme alle altre verdure, nella preparazione di torte salate. Nella zona dei trulli e nelle grotte del sud Italia è impiegata per la preparazione di torte salate e omelette. I calici possono mangiarsi infarinati, dorati e fritti.

Uso medicinale
Nella medicina popolare S. vulgaris era usata nei trattamenti di anemia.

  1. vulgaris è un ottimo emolliente (unguenti, creme e lozioni usate per pelli secche).

Il succo della pianta è usato nei trattamenti oftalmici. Le foglie e le radici contengono saponine, mentre la radice contiene anche alcaloidi e tannini. Glensk et al. (1999) estrassero dalle radici della pianta 3 saponine triterpeniche denominandole Silenosidi A-C (1-3).
Le saponine sono un gruppo di glicosidi di origine naturale in grado di formare con l’acqua soluzioni colloidali che schiumeggiano se agitate (da cui il loro nome). Da un punto di vista farmacologico possiedono soprattutto attività espettorante. Somministrate in piccole quantità le saponine stimolano la secrezione di muco bronchiale fluido e in questo modo facilitano l’espettorazione e prevengono la tosse. L’effetto è dovuto ad una irritazione della mucosa gastrica che, per azione riflessa, determina un aumento delle secrezioni bronchiale. L’effetto irritante sulle mucose in alcuni casi è sfruttato per favorire l’assorbimento di altri farmaci (effetto sinergico) o, a dosaggi più alti, per provocare effetti purgativi ed ematici. Alle saponine si attribuiscono anche proprietà antiflogistiche, cicatrizzanti, antiumorali diaforetiche e diuretiche.

Altri Usi
La radice è impiegata nella industria cosmetica per preparare saponi.

Coltivazione

La pianta preferisce suoli sabbiosi o limosi, ben drenati, si adatta a qualsiasi pH del suolo e richiede posizioni soleggiate; infatti, cresce stentamente all’ombra. Per la produzione dei semi è necessario la presenza di fiori maschili e femminili o fiori ermafroditi.
I semi possono essere seminati in semenzaio all’inizio della primavera, se si dispone di piccole quantità di seme, oppure in pieno campo a metà stagione.

Ricette
Tortino con Silene vulgaris
Ingredienti: 4 uova, 50 g di parmigiano, 100 g di silene, 50 g di spinaci, 20 g di cipolla, 40 g di panna.
Preparazione: rosolare la cipolla, aggiungere gli spinaci e la silene, tritate il tutto ed amalgamare con gli altri ingredienti. Cucinare a bagnomaria per 2 minuti.

Frittata di cannatedda
Ingredienti: Silene tenero, uova, formaggio grattugiato, olio e sale.
Preparazione: sbollentare le foglie della silene con un dito d’acqua in padella, quando l’acqua è tutta evaporata aggiungere la silene alle uova sbattute con formaggio pecorino, quindi friggere in olio bollente aggiustando il sapore con sale e un pizzico di pepe nero.

Silene per ripieno di crespelle
Ingredienti: spinaci, silene, ricotta, mozzarella, burro, latte, sale e pepe.
Preparazione: lessare e cucinare la silene e gli spinaci in una pentola con un po’ di burro, latte, sale e pepe; tritare il tutto e aggiungere la ricotta e mozzarella.

Tagliatelle con gli strigoli
Ingredienti: 300 g di strigoli, 600 g di salsa di pomodoro, 50 g di pancetta, uno spicchio d’aglio, mezza cipolla, ½ bicchiere di vino bianco secco, olio.
Preparazione: soffriggere la pancetta, l’aglio e la cipolla, aggiungere vino bianco e lasciare evaporare, aggiungere gli strigoli e la salsa di pomodoro, aggiustare di sale e cuocere per 10-15 min. Lessare le tagliatelle e farle saltare nel tegame con il sugo.

Risotto al Silene
Ingredienti: 400 g di riso, 250 g di silene, brodo, parmigiano, 20 g di cipolla, olio e formaggio.
Preparazione: fare trasudare la cipolla in due cucchiai di olio, aggiungere le foglie di silene, versare il riso e il brodo, portare a cottura e, al termine, aggiungere un formaggio. Servire con parmigiano grattugiato.

Pizza al forno
Ingredienti: 300 g di farina, 50 g di lievito, 100 g di silene, 100 g di finocchio selvatico, 100 g di cacioricotta, 2 uova, olio, sale.
Preparazione: lessare le foglie di silene, frullarle insieme a cime tenere di finocchio selvatico, cacioricotta e alle uova. Preparare due dischi di pasta per pizza, adagiarne uno in una teglia unta di olio, versare l’impasto con silene e coprire con l’altro disco di pasta, chiudere bene i bordi e fare cuocere per 40 minuti.

Polpette di silene in brodo
Ingredienti: 0,8 litri di brodo, 500 g di silene, 100 g di pangrattato, 100 g di pecorino, 2 uova, noce moscata, 30 g di parmigiano, sale.
Preparazione: frullare le foglie di silene con le uova e impastare con il pangrattato, il pecorino grattugiato, la noce moscata e ricavare piccole polpette da immergere nel brodo bollente. Lasciare cuocere fino a quando non vengono a galla. Condire con parmigiano grattugiato e servirle anche asciutte.

Silene alle uova
Ingredienti: 500 g di silene, olio, aglio, 4 uova, peperoncino, sale.
Preparazione: lessare le foglie di silene, scolarle e in una teglia insaporirle in 4 cucchiai di olio e aglio e salare. Sbattere le uova, versarle sopra e farle rapprendere.

Bibliografia
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Rozema J., Lenssen G.M., van de Staaij J.W.M., 1990. The combined effect of increased atmospheric CO2 and UV-B radiation on some agricultural end salt marsh species. In: Goudiraan J. et al. (eds), The greenhouse effect and primary productivity in European agro-ecosystems, Pudoc, Wageningen, 68-71.
van de Staaij J.W.M., Huijsmans R., Ernest W.H.O., Rozema J., 1995. The effect of elevated UV-B (280-320nm) radiation levels on Silene vulgaris: a comparison between a highland and lowland population. Environ. Pollution, 90 (3), 357-362.
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Si ringrazia la Dott.ssa Ornella Lopedota per la sua preziosa collaborazione nella stesura dell’articolo.

Rita Leogrande è ricercatrice in servizio presso il Centro di Ricerca Agricoltura e Ambiente del CREA (Consiglio per la Ricerca in agricoltura e l’analisi dell’Economia Agraria), sede di Bari. Ha conseguito il Dottorato di Ricerca in Agronomia Mediterranea. La sua attività di ricerca si basa sullo studio degli effetti sul suolo e sulle colture di tecniche agronomiche sostenibili.

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