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di Donato Ferrucci, Nicolò Passeri

Filiera Corta

 

Introduzione

Volendo parafrasare, o meglio “rubare” da un noto film, una frase ad effetto, e renderla funzionale a questo articolo, potremmo dire “La filiera corta non è un luogo, ma un popolo di agricoli”.
I sistemi agricoli si sono evoluti, forse anche arricchiti, negli ultimi anni, sotto ogni aspetto. Si è assistito ad una maggiore articolazione di natura tecnica, organizzativa, ma anche relazioni (con il mercato del consumo in particolare), ed infine dal punto di vista etico, focalizzando l’attenzione sulla sostenibilità ambientale ed il benessere degli animali.
Quindi, un sistema sempre più complesso, con maggiori difficoltà nella gestione delle attività agricole che sono chiamate ad essere sempre più organizzate, sostenibili e trasparenti. Vita non semplice.
In tutto questo, tra le diverse opzioni (non volendo più parlare di opportunità), forse obbligate, troviamo il concetto di “filiera corta”. Termine con un perimetro spesso non ben definito o forse, non compreso. Da questo la frase ad effetto di apertura.
Da oltre 20 anni è avvenuta una crescita nella progettazione e di “incoraggiamento” per le aziende che intendono cimentarsi in un sistema di filiera corta, narrando pregi e criticità. Ottenendo spesso risultati incoraggianti ma, soprattutto, operatori soddisfatti di un sistema che ne valorizza l’esistenza dell’azienda agricola agli occhi del consumatore, che finalmente vede, vive, osserva e comprende un sistema produttivo in tutte le sue difficoltà e bellezze.
In questo contesto, alcuni operatori, dotati di una certa propensione “culturale” all’innovazione, hanno avviato un percorso finalizzato a incontrare direttamente il consumatore. Questo, al prezzo di una progressiva riorganizzazione delle strategie produttive, commerciali, distributive e comunicative.
Una prima forma di riorganizzazione, già abbastanza consolidata, si configura come di tipo “orizzontale”. È il principio dell’azienda multifunzionale, nella quale la fornitura di nuovi servizi, che integrano (e talora marginalizzano) la produzione primaria, porta una valorizzazione della vocazione rurale in senso lato (ristorazione, turismo, cultura).
Una seconda modalità di riorganizzazione, è invece definita di tipo “verticale”, in quanto si concentra sulla fase produttiva, con una evoluzione delle materie verso la commercializzazione diretta. Ciò può avvenire nel modo più semplice, con la vendita diretta di prodotti agricoli indifferenziati, quali frutta ed ortaggi. Oppure, con la realizzazione di prodotti trasformati che vanno dal tradizionale olio extravergine di oliva, ai formaggi, fino alla preparazione di confetture/marmellate, succhi di frutta e yogurt. Questa seconda modalità di emancipazione/innovazione che, a nostro parere, meglio risponde alla domanda di identità degli imprenditori agricoli, è oggetto della successiva discussione.

La filiera corta, tra filosofia, normativa e tecnica

Con sempre maggior frequenza si osservano imprese agricole che, abbandonando l’esclusiva realizzazione di prodotti “anonimi”, tendono a orientarsi verso un mercato, quello del consumo finale, dove il prezzo perde di rigidità grazie ad una posizione negoziale più equilibrata tra produttore e consumatore.
Non si tratta, come superficialmente si potrebbe ritenere, di un ritorno alla produzione agricola legata al commercio vicinale, quanto piuttosto di approccio innovativo alla gestione di impresa che trova nella tecnologia e nelle modalità di organizzazione delle forme alternative di realizzazione, di comunicazione e di commercializzazione dei prodotti.
In questo approccio il consumatore, fruitore della soddisfazione del bisogno materiale, e dell’appagamento del desiderio immateriale, deve essere ascoltato nelle sue richieste e aspettative, informato e reso partecipe dei significati e dei valori connessi al mondo agricolo e rurale.
Il cliente è la principale ricchezza di un’impresa, e questo concetto va assimilato anche dal sistema agricolo. L’attenzione e la preferenza del consumatore devono essere conquistate, mantenute e utilizzate, per quanto possibile, come strumento indiretto della comunicazione di marketing dell’impresa. Uno strumento, che affianca, grazie alla spiccata connotazione interpersonale, una elevata efficacia.
Nell’attuale mercato agroalimentare, complice l’incremento della distanza (fisica e relazionale) tra produttore e consumatore, viene a perdersi sia l’identificazione del luogo da cui proviene il prodotto che la conoscenza del soggetto che lo realizza. All’aumento della gamma e della disponibilità temporale dei prodotti alimentari si contrappone una perdita di contatto tra produttore e consumatore che genera un’inevitabile perdita di fiducia. Il grado di fiducia aumenta, quando è possibile stabilire con ragionevole attendibilità il luogo di origine delle materie prime, osservare il processo di lavorazione, essere informati sulle modalità operative che portano alla realizzazione del prodotto e, soprattutto, conoscere personalmente chi ne garantisce la qualità, nel senso più ampio del termine.

L’esigenza di trasparenza, che trova piena forma di garanzia nel contatto diretto con il sistema produttivo e le persone che ne sono i protagonisti, può avere una risposta alternativa, per quanto parziale, nei marchi e nei segni di qualità supportati da sistemi di certificazione. Questi forniscono alle imprese agricole uno strumento per mostrare la volontà di sottoporsi a dei controlli esterni che ne testimoniano la trasparenza, e rappresentano nell’immaginario, una sorta di delega da parte dei consumatori che non hanno la possibilità di verificare in prima persona la modalità di gestione del sistema produttivo, l’identità e i valori dell’impresa e pertanto delegano questo aspetto a enti terzi di controllo.
Una domanda di prodotti in cui la fiducia assume un ruolo sempre più importante impone un’evoluzione dell’offerta che, a sua volta, richiede uno sviluppo tecnico ed imprenditoriale. La necessità di questo cambiamento è stata colta, e in qualche misura anticipata, dal legislatore con la normativa contenuta nel Decreto legislativo 228/2001 che, ridefinendo i contenuti dell’art.2135 del Codice Civile, ha ridisegnato la figura dell’imprenditore agricolo e i suoi orizzonti operativi. Questa revisione, di ordine civilistico, ha interessato a cascata tutta una serie di altri aspetti, quali la fiscalità, il sistema previdenziale, l’igiene e salubrità degli alimenti, solo per citarne alcuni.
Ne deriva una riconfigurazione del sistema agricolo che offre delle opportunità originali, da comprendere e attuare nella piena consapevolezza dei limiti e delle regole. Non è sufficiente sapere ciò che si può fare, ma è necessario capire quali sono i requisiti e i limiti entro cui poterlo fare.
Una delle opportunità più interessanti è senza dubbio la commercializzazione diretta di prodotti aziendali che, per avere successo, deve fare riferimento ad approcci alla gestione d’impresa più evoluti, anche se non necessariamente più complessi.
Questo cambiamento culturale determina un’interpretazione innovativa della tradizionale attività agricola. Non si tratta tanto di modificare gli indirizzi produttivi o le tecniche di coltivazione e allevamento, quanto di recuperare nella storia e/o nella vocazione del territorio la base per realizzare dei prodotti che, sottoposti a diversi gradi di trasformazione e forme di confezionamento, possano essere direttamente proposti al consumatore finale. Un cereale può essere destinato a molteplici scopi divenendo un prodotto plurimo (per scopo).
In questo processo di innovazione, gioca un ruolo fondamentale la capacità di trovare delle professionalità artigiane, in grado di dare la massima espressione di eccellenza ai prodotti finiti. Il ricorso a questi partner esterni appare fondamentale per ragioni tecniche, prima fra tutte la competenza professionale; economiche, come l’assenza di investimenti aziendali e il miglioramento dell’efficienza produttiva; ed infine commerciali.

Riguardo questo ultimo aspetto, il conto terzismo offre sia maggiore flessibilità nella realizzazione dei prodotti rispetto alla domanda che l’opportunità di realizzare prodotti diversi dalla stessa materia prima, avvalendosi di distinte imprese artigiane di trasformazione. A questo insieme di vantaggi per l’impresa si affianca una ricaduta positiva di carattere sociale che deriva dalla opportunità offerta agli artigiani, le cui imprese sono generalmente localizzate in ambito rurale, di ampliare la loro attività e di mantenere e valorizzare i loro saperi e le loro professionalità. Ovviamente non vanno ignorate le difficoltà che derivano da questo orientamento dell’offerta aziendale, prime fra tutte la dipendenza da terzi nella gestione delle produzioni e la logistica, in particolare quando le imprese a cui ci si rivolge sono localizzate a distanze significative dall’azienda.

I principi etici della filiera corta

La filiera corta è, a nostro parere, un sistema che prima di essere basato su norme legislative o tecniche, deve trovare fondamento su regole di natura etica.
La filiera corta deve nascere per volontà dell’agricoltura, non come operazione di marketing della grande distribuzione organizzata, che ha notevole rilevanza nella distribuzione alimentare ed in grado di fornire un contributo positivo sotto molti aspetti e per diverse componenti, molti aspetti positivi, però non bisogna consentire deve appropriarsi di questa area che è deve rimanere di totale gestione e governo della produzione agricola.

I principi etici di una filiera corta possono essere riassunti in tre aspetti:

  • Trasparenza verso il consumatore, nei fatti e nelle indicazioni;
  • È un incontro “diretto” tra agricoltore e consumatore, l’intermediazione (sebbene accettata da alcuni requisiti legislativi) deve essere funzionale solo alla distribuzione,
  • È l’agricoltura che deve dettare le regole in termini di disponibilità, produzioni, caratteristiche merceologiche. Fatta salva le regole di sicurezza, identità e leale comunicazione.

I tre punti di vista

La filiera può essere oggetto di attenzione da tre diversi punti di osservazione: il consumatore, il legislatore, il produttore.

Il Consumatore
Sono molti gli studi sul comportamento e le preferenze, motivazioni, bisogni legati al consumo di prodotti alimentari. Oltre i principi etici ed edonistici che oggi guidano il consumatore, resta un elemento fondamentale per l’attuazione della scelta: la fiducia. Un valore che identifica la comunicazione alla corrispondenza esatta non solo dei fatti ma addirittura delle aspettative. Queste ultime, purtroppo, a volte sono implicite, se non addirittura esorbitanti rispetto al contesto produttivo. Il consumatore si sente troppo spesso defraudato, soggetto passivo e vittima economica di un sistema che non controlla e che pensa d conoscere. La risposta, al di là di ogni teoria e qualunquismo, non può che essere la lealtà, intesa come trasparenza dell’azione (scelte, produzioni, opzioni, sacrifici e soddisfazioni).

Se mangiare è un fatto agricolo (W. Berry, 2015), scegliere cosa mangiare è un fatto politico, etico e sociale.

Il legislatore
L’attenzione del consumatore genera sempre l’attenzione del legislatore, intento nella sua funzione di tutela e salvaguardia. Il primo principio è la definizione di un perimetro, una serie di regole atte a definire i termini.
I tentativi sono diversi, citandone alcuni, troviamo in ordine temporale i seguenti atti legislativi:

  • (UE) N. 1305/2013 sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) e che abroga il regolamento (CE) n. 1698/2005 del Consiglio

All’articolo 2 (definizioni) troviamo una timida, prima, moderna definizione giuridica di filiera corta. “Filiera corta”: una filiera di approvvigionamento formata da un numero limitato di operatori economici che si impegnano a promuovere la cooperazione, lo sviluppo economico locale e stretti rapporti socio-territoriali tra produttori, trasformatori e consumatori.

Un perimetro non molto dettagliato ma che pone una prima luce sul concetto. Introduce il numero limitato di operatori economici interessati allo sviluppo delle relazioni tra produzione e consumo

  • R. 07 Novembre 2016, n. 14, Disposizioni per valorizzare e sostenere il consumo dei prodotti agricoli e alimentari di qualità provenienti da filiera corta.

Una legge regionale (tra le diverse) che, nel Lazio, tenta una risposta alle esigenze di chiarezza. Nello specifico la filiera corta trova definizione in due requisiti, uno di natura strettamente ambientale e forte di un tecnicismo non immediato ed uno di legato alle cosiddette produzioni di qualità normata.
Pertanto, sulla base di quanto disposto dall’art. 2 della norma, sono considerati, “prodotti provenienti da filiera corta”:

  1. i prodotti agricoli e agroalimentari destinati all’alimentazione umana per il cui trasporto dal luogo di produzione al luogo previsto per il consumo si producono meno di 25 chilogrammi di anidride carbonica equivalente per tonnellata e,
  2. che rientrano in una o più delle seguenti categorie:
    1. i prodotti tradizionali di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 30 aprile 1998, n. 173;
    2. i prodotti stagionali, come definiti dal calendario individuato con deliberazione della Giunta regionale;
    3. i prodotti di comprovata sostenibilità ambientale calcolata e certificata da parte terza, secondo le modalità di calcolo dell’indice di sostenibilità ambientale in base alla metodologia Life Cycle Assessment (LCA) o metodo internazionale riconosciuto equivalente;
    4. i prodotti di qualità, intesi come i prodotti che beneficiano di una denominazione o di una indicazione di origine (DOP/IGP, vini DOC/DOCG), le specialità tradizionali garantite (STG) ed i prodotti realizzati con metodi di produzione biologica;
    5. i prodotti che beneficiano dell’uso del nome e dell’emblema di un’area naturale protetta ai sensi dell’articolo 14, comma 4, della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette);
    6. i prodotti ottenuti attraverso l’uso delle risorse genetiche autoctone di interesse agrario (legge 6 aprile 2004, n. 101);
    7. g) i prodotti agricoli e agroalimentari che beneficiano dell’uso del marchio collettivo di cui all’articolo 11 del decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30 (Codice della proprietà industriale, a norma dell’articolo 15 della legge 12 dicembre 2002, n. 273) e successive modifiche;
    8. h) i prodotti ittici “a miglio zero” ovvero i prodotti freschi pescati in acque interne, in aree di pesca locali ovvero nei settori marittimi corrispondenti ai siti di sbarco e venduti dalle imprese ittiche o dalle cooperative di pescatori nei porti di residenza;
    9. i) i prodotti ottenuti dalla lavorazione delle carni di selvatici catturati.

Ci troviamo di fronte ad una notevole possibilità in termini di opzioni ma ad una oggettiva difficoltà in termini di calcolo dei 25 kg CO2/ton di prodotto alimentare trasportato.
Circa il regolamento attuativo, di disciplina della fase comunicativa e di gestione, atto a identificare gli strumenti relativi alla tracciabilità, all’etichettatura e alla pubblicità dei prodotti agricoli e agroalimentari provenienti da filiera corta, nulla risulta di chiara definizione. Probabilmente, si è optato per affidarsi alle successive emissioni normative a livello nazionale che hanno trovato luce nel corso del 2022.

  • Legge n. 30/2022, “Norme per la valorizzazione delle piccole produzioni agroalimentari di origine locale” (“PPL”)

La norma ha come scopo promuovere e valorizzare la produzione, trasformazione e vendita, degli imprenditori agricoli.
Le PPL sono definite come i prodotti agricoli primari o trasformati derivanti da coltivazione o allevamento svolti esclusivamente sui terreni di pertinenza dell’azienda, destinati all’alimentazione umana, ottenuti presso un’azienda agricola o ittica, destinati, in limitate quantità in termini assoluti, al consumo immediato e alla vendita diretta al consumatore finale nell’ambito della provincia in cui si trova la sede di produzione e delle province contermini.
La commercializzazione, e da qui l’interazione con il concetto di filiera corta, può avvenire:

  1. a) presso la propria azienda e presso esercizi di vendita a questa funzionalmente connessi, purché gestiti dal medesimo imprenditore agricolo o ittico;
  2. b) nell’ambito di mercati, fiere e altri eventi o manifestazioni, da parte del medesimo imprenditore agricolo o ittico;
  3. c) negli esercizi di commercio al dettaglio o di somministrazione in ambito locale che riforniscono diretta- mente il consumatore finale.

Questi prodotti potranno indicare nell’etichetta (art. 3), in maniera chiara e leggibile, la dicitura «PPL – piccole produzioni locali» seguita dal nome del comune o della provincia di produzione e dal numero di registrazione dell’attività (secondo modalità da definire).
Al MiPAAF il compito di adottare, nei tre mesi dall’entrata in vigore della norma, un regolamento contenente i criteri e le linee guida sulla base dei quali dovranno essere definiti:

  1. a) il “paniere PPL”, vale a dire l’elenco delle tipologie di prodotti agricoli e ittici, anche trasformati, con l’indicazione dei relativi limitati quantitativi in termini assoluti, che rientrano nella disciplina dei prodotti PPL;
  2. b) le modalità per l’ammissione alle “procedure semplificate”’ per i prodotti PPL;
  3. c) le misure da applicare e i controlli-igienico sanitari da effettuare sui prodotti PPL;
  4. d) le modalità di utilizzo dell’etichettatura e del logo PPL e i relativi controlli.

Per il logo è previsto, entro 6 mesi dall’entrata in vigore della legge, che sia indetto da parte del MIPAAF un “concorso di idee” per la realizzazione della grafica del logo per i prodotti PPL.

  • Legge n. 61/2022, “Norme per la valorizzazione e la promozione dei prodotti agricoli e alimentari a chilometro zero e di quelli provenienti da filiera corta”.

La norma è piuttosto sintetica, otto articoli che mirano a valorizzare la domanda e promuovere l’offerta dei prodotti agricoli e alimentari definiti:

  • A chilometro zero,
  • Filiera Corta.

Obiettivo è favorire il consumo, la commercializzazione e, nel contempo, garantire ai consumatori un’adeguata informazione sulla origine e specificità di tali prodotti.
Per prodotti a chilometro zero si intendono i prodotti agricoli e alimentari provenienti da luoghi di produzione e di trasformazione della/e materia/e prima/e situati a una distanza non superiore a 70 chilometri di raggio dal luogo di vendita, o comunque provenienti dalla stessa provincia del luogo di vendita.
Per prodotti a filiera corta, si intendono i prodotti la cui filiera produttiva risulti caratterizzata dall’assenza di intermediari commerciali ovvero è composta da un solo intermediario tra il produttore, singolo o associato in diverse forme di aggregazione, e il consumatore finale. Il compito di adottare le iniziative per assicurare la valorizzazione e la promozione di tali prodotti viene affidato alle Regioni e agli Enti locali.
Entro 90 giorni dall’entrata in vigore della norma, è prevista la definizione del logo per le menzioni “chilometro zero» e «filiera corta», le cui condizioni e modalità di attribuzione saranno stabilite e disciplinate da un apposito decreto interministeriale.
È opportuno evidenziare che i loghi – diversamente da quelli per i prodotti PPL – non potranno essere apposti sulle confezioni e sugli imballaggi dei prodotti utilizzati per la vendita (art. 5), ma saranno unicamente esposti nei luoghi di distribuzione e utilizzo.
Una ulteriore opportunità è data dalle norme tecniche di certificazione apparse negli ultimi anni a colmare il vuoto legislativo. Diversi tentativi prodotti da enti di certificazione, associazioni di rappresentanza del mondo agricolo e società di vario titolo. Esperienze che alla fine non hanno mai trovato un riscontro significativo ma sono spesso rimaste degli episodi tecnici con scarsa diffusione. Tra i diversi disponibili possiamo trovare:

  • La ISO 22005, sulla tracciabilità dei prodotti alimentari. E’ uno strumento tecnico al servizio di uno o più obiettivi. Non è specifico per la filiera corta ma può tornare utile per dare evidenza di requisiti legati all’approvvigionamento o origine delle materie prime. Di certo lo strumento ad oggi più titolato e diffuso;
  • Linee Guida della Filiera corta di FederBio, del 2009, legata ai prodotti biologici;
  • https://www.chilometrozero.net, una tra le diverse.

Da ultimo vale la pena rammentare come nella certificazione del biologico, una importante rappresentanza di aziende agricole è interessata dalla trasformazione di prodotti aziendali (operatori classificati come produttori/Preparatori) che rappresentano 12.500 operatori circa (dati SINAB 2020), pari a circa il 15% del totale della popolazione interessata dallo schema. Questa tendenza ha determinato che nell’ultima produzione legislativa, il Reg. (UE) 2018/848, la promozione delle filiere corte e delle produzioni locali sia entrata a far parte degli obiettivi della norma (Art. 4 Reg. (UE) 2018/848).

Il produttore
Chi produce è di sicuro in un momento di grande confusione. Diverse norme, nessun segno identificativo ancora disponibile, un costante timore di un contesto legislativo quanto mai articolato.
Per gli imprenditori agricoli che vedono penalizzate la loro vocazione e le loro competenze dalla progressiva perdita della funzione produttiva dell’agricoltura a fronte della maggiore importanza attribuita dalla politica e dall’opinione pubblica alle altre funzioni accessorie, una delle (poche) strategie possibili appare quella della gestione diretta della fase di trasformazione e commercializzazione dei prodotti.
Non è questo un compito facile, ma diverse esperienze di successo dimostrano come esista una domanda attenta e sensibile a questa proposta che punta su prodotti e forme di vendita molto lontane dalle logiche distributive dominanti.
Si tratta comunque di una scelta prima culturale, poi imprenditoriale, basata quindi su un’accurata analisi costi/benefici.

In questa fase è fondamentale seguire un percorso basato su riflessioni di natura tecnica. Una ipotesi di percorso potrebbe essere il seguente:

  1. formalizzazione di un piano di marketing che includa una analisi di contesto, una piccola indagine/riflessione sul mercato, analisi SWOT (di questa ultima se ne riporta una esemplificazione a fine di questo paragrafo.

Il tutto si traduce, guardando ad una realtà aziendale agricola di tipo familiare, in un confronto riflessivo verso il mercato a cui ci si rivolge e/o su cui si vuole entrare.

  1. Una analisi costi/benefici.

Ricordiamo alcuni aspetti di dettaglio nei calcoli:
I costi si dividono in Fissi e Variabili. I primi sono indipendenti dalle quantità prodotte (es. Ammortamenti, Canoni, Stipendi di personale a tempo determinato). I secondi sono proporzionali alle quantità prodotte (materiali confezionamento, materie prime, mezzi tecnici per la coltivazione, ecc.). Lavorando presso terzi le proprie materie prime, non si generano costi fissi o comunque si riducono al minimo. Di contro, essendo a carico del terzista si avrà una maggior componente di costi variabili, dettata dal contesto. Questo per ricordare che può apparire elevato il costo di un prodotto realizzato presso terzi, ma non bisogna dimenticare che stiamo delegando anche i costi di struttura, competenza e amministrativi ad un soggetto che è chiamato con adeguata professionalità, a gestirli.
Nell’analisi economica il valore delle materie prime deve essere calcolato al costo di produzione e non al prezzo di mercato (entrando in un processo aziendale diverso da quello delle materie prime destinate alla vendita)
Segue poi un elenco di punti di controllo e definizioni degli impegni, necessari per portare a termine un prodotto agricolo trasformato con diverso grado di complessità e pronto per essere immesso sul mercato:

  1. predisposizione, in proprio o presso terzi, di un locale ed impianti idonei ad ospitare e lavorare il prodotto, nel rispetto del regolamento (CE) n. 852/2004. È consigliabile ed opportuno avvalersi di informazioni presso la ASL di competenza territoriale;
  2. il punto precedente implica la verifica della destinazione d’uso dell’immobile, della conformità della struttura in termini di requisiti catastali, agibilità, approvvigionamento idrico e smaltimento delle acque reflue, della conformità degli impianti;
  3. predisposizione di un piano per l’autocontrollo dei rischi igienico sanitari (in proprio o valutando quello di terzi);
  4. predisposizione di una procedura per la rintracciabilità, conforme ai requisiti espressi dal Reg. (CE) n. 178/2002;
  5. presentazione di “Segnalazione certificata di inizio attività” presso il comune di competenza, per le operazioni nello specifico effettuate, ai fini dell’ottemperanza alle regole igienico sanitarie. La segnalazione (SCIA) va presentata su modulistica regionale presso lo sportello attività produttive del comune (SUAP). La SCIA va corredata con documenti e relazioni, di solito:
    1. una relazione specifica delle caratteristiche degli impianti, del processo di produzione, dei prodotti finali,
    2. una dichiarazione che la struttura possiede i requisiti minimi previsti dalla norma in funzione dell’attività svolta, con particolare riferimento allo smaltimento dei reflui ed all’approvvigionamento idrico,
  6. comunicazione di inizio attività al comune ai fini della vendita diretta dei prodotti (se esercitata in locale chiuso);
  7. predisposizione di una etichetta da apporre sul prodotto alimentare, che tenga conto dell’organizzazione del processo, in termini di materie e siti di produzione.

Esempio di approccio con analisi SWOT
L’analisi SWOT è una tecnica finalizzata al supporto alla definizione di strategie aziendali. Oggi viene utilizzata correntemente nell’analisi e nella valutazione delle attività e degli interventi e delle alternative per realizzarli (vedi figura).
Questo metodo permette ai partecipanti di realizzare una riflessione sui punti forti (strengths), sui punti deboli (weaknesses), sulle opportunità (opportunities) e sui pericoli/rischi (threats), relativi a un intervento/attività.
Il metodo è semplice, ma nella raccolta delle riflessioni bisogna prestare attenzione al fatto che i punti forti e deboli si riferiscono alle attività dell’azienda, mentre pericoli e opportunità attengono al contesto all’interno del quale questa si trova. In tal senso è utile considerare che:

  • I punti forti e i punti deboli sono legati alle attività aziendali, quindi facilmente modificabili
  • Per le opportunità e i pericoli bisogna agire all’esterno, sul contesto, con i gruppi di interesse, attraverso la leadership o i decisori quindi, meno facilmente modificabili

Punti forti e deboli dell'analisi

Da un punto di vista pratico è stato riassunto nella seguente tabella in forma di lista puntata i 4 aspetti dell’attività, ricordando alla fine della riflessione di riassumere le raccomandazioni sul tema o aspetto valutato.
L’area oggetto di analisi, tramite SWOT, è la seguente:

  • Condivisione e adattabilità dei prodotti e dei servizi alle esigenze del mercato.

Valutazione

  • È possibile condividere e personalizzare i prodotti e i servizi adattandoli al mercato?

Ipotesi: Lavorazione di prodotto presso terzi (es. Trasformazione olive in olio)

Esempio di lavorazione conto terzi

Per concludere
Attraverso il processo descritto può avere sviluppo una filiera corta (con le opportunità dell’percorso “ad anello”, circolare e corta definito in altri articoli), nella quale le materie prime sono realizzate dall’azienda, trasformate e confezionate da imprese esterne, preferibilmente localizzate nel territorio rurale locale, e commercializzate dall’azienda stessa in maniera prevalente attraverso forme di vendita diretta.
L’idea è basata sul superamento dell’egoismo produttivo a vantaggio della qualità del prodotto finito e di una ripartizione equa del valore aggiunto fra le (due) imprese della filiera. Il principio della filiera corta è praticabile in qualsiasi contesto territoriale nel quale si realizzano eccellenze agricole (non più materie prime) che divengono, grazie all’opera di artigiani abili e competenti, delle eccellenze alimentari.
Affinché questa nuova logica di filiera sia praticabile e sostenibile è indispensabile che l’impresa definisca una strategia di marketing atta a valorizzare i suoi prodotti. In particolare, nell’individuare le forme di comunicazione, l’impresa deve porsi come alternativa alle logiche adottate dalla grande distribuzione, in quanto alternativi sono i messaggi e i valori che intende trasmettere. In questo processo comunicativo deve essere privilegiato un approccio bidirezionale nel quale il consumatore diventa interlocutore delle proposte produttive e compartecipante nella definizione stessa del concetto di qualità.
Non è da sottovalutare come dall’incontro del sistema rurale con quello artigianale, pubblicitario, commerciale e del consumo può nascere un momento creativo avvincente per il contributo di ogni settore in termini di miglioramento del risultato finale.

Una delle possibili chiavi di rinascita dell’agricoltura è da ricercare nella valorizzazione culturale del prodotto, quale bene tangibile che veicola significati immateriali legati ai luoghi, alle tradizioni, e ai saperi e valori degli uomini. La singola impresa ha il compito di valorizzazione il fascino evocativo del territorio e dell’ambiente, vetrina ed etichetta dei propri prodotti.
Attraverso i simboli della civiltà rurale, i valori aziendali possono essere trasmessi a persone sensibili verso prodotti fondati sulla tradizione, coerenti con il contesto culturale, arricchiti da un messaggio forte sulla cura posta nella loro realizzazione.
È opportuno quindi valorizzare questo momento di incontro con la cultura dell’alimento “coltivato” ed elaborato sul territorio nel rispetto della tradizione. Soprattutto al momento attuale, il rapporto tra cibo e identità diviene sempre più problematico per la distanza sia spaziale quanto temporale che separa il consumatore dal prodotto. L’azienda agricola può sfruttare a proprio vantaggio l’esigenza del consumatore di accorciare questa distanza ed avvicinarsi alla conoscenza dei metodi di produzione con una conseguente rilettura culturale dell’alimento.
L’interazione emozionale tra prodotto ed azienda va esaltata in ogni sua prospettiva. Il rapporto tra il soggetto e l’oggetto del sistema produttivo deve essere valorizzato per quanto concerne sia la consapevolezza del primo nella realizzazione che la conseguente intimità tra i due. È un sistema vincente se riesce a creare e poi consegnare al mercato un prodotto avvolto da una moltitudine di “sfaccettature emotive”, percepibili da chi le riceve con modalità e intensità diverse, ma comunque originali.
I prodotti che derivano da tale impostazione devono essere fondati sulla tradizione, negli ingredienti e nelle modalità operative. Coerenti con il contesto culturale, realizzati in conformità alle regole dettate dalla normativa, arricchiti da un chiaro e deciso messaggio al consumatore circa la genuinità e la cura nella realizzazione.
È il momento di un’impresa agro-alimentare in cui la fase agricola, della trasformazione, della commercializzazione e della comunicazione sono governate da un unico soggetto, ed in cui l’origine, l’identità, i valori e le evocazioni si affermano come principi e modelli di vita.

Nicolò Passeri, Dottore Agronomo, libero professionista. Dottore di ricerca in “Economia e Territorio” presso l’Università degli Studi della Tuscia. Consulente per la certificazione prodotti biologici e analisi tecnico economiche dei processi produttivi. Collabora con l’Università degli Studi della Tuscia a progetti di ricerca su studi relativi alla valutazione della sostenibilità ambientale dei processi produttivi agricoli.

Donato Ferrucci (Torino 1964), Docente sistemi qualità e certificazione dei prodotti alimentari ITS Agroalimentare Roma/Viterbo. Agronomo, pubblicista, e Master in Diritto Alimentare. Responsabile Bioagricert srl per l’area Lazio/Abruzzo/Umbria/Marche. Per info: Google “Donato Ferrucci Agronomo”.

Per scaricare la pubblicazione clicca qui >>>

Esercizi di Filiera Corta

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