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di Luca Poli

La superficie forestale italiana, secondo gli ultimi dati disponibili dell’Inventario Nazionale delle Foreste e dei Serbatoi Forestali di Carbonio (INFC 2005), supera i 10 milioni di ettari, ovvero si estende sul 34,7% del totale della superficie territoriale del Paese. Gran parte dei boschi, oltre il 60%, risulta appartenere a privati, a fronte di un rimanente 40% di proprietà pubblica; parallelamente al bassissimo dato della superficie media delle aziende agricole italiane (di poco superiore ai 2 ettari), anche le superfici forestali sono soggette ad una grande, se non superiore, frammentazione della proprietà. Questo fatto risulta essere oggi uno dei principali freni all’utilizzazione del nostro patrimonio forestale, dove per utilizzazione si intende letteralmente “creazione di un utile” ovvero l’ottenimento di un beneficio economico, in questo caso, dalle attività di gestione del bosco. In questo breve scritto, riguardo la gestione del bosco, verrà fatto riferimento esclusivamente ad una gestione forestale sostenibile, che utilizzi quindi criteri di coltivazione, o selvicoltura, tesi alla preservazione della risorsa bosco nel tempo, ossia ad un uso durevole delle risorse. Per convinzione personale si considera la gestione dei boschi, con i criteri appena elencati, il solo modo per mantenere ed incrementare i tanti benefici che essi ci apportano, quelli che gli “addetti ai lavori” economici chiamano esternalità positive. Infatti accanto alle funzioni produttive di tipo primario (legna da ardere e per l’industria, allevamento, frutti e funghi) che afferiscono alla sfera economica diretta e riguardano esclusivamente la proprietà, troviamo le importantissime funzioni pubbliche e sociali, di cui se ne citano alcune: l’assorbimento dell’anidride carbonica dall’atmosfera, la stabilizzazione dei deflussi idrici e la protezione dall’erosione del suolo, la costituzione di importanti ecosistemi ed habitat naturali per moltissime specie animali e vegetali, nonché la creazione di ambienti ricreativi per i tanti abitanti degli affollati centri urbani. La gestione dei boschi, inoltre, costituisce un fondamento della formazione del paesaggio, della storia e della cultura di un territorio, ovvero beni e valori che per l’Italia rurale post-industrializzazione risultano di vitale importanza.

La frammentazione della proprietà forestale, quindi, risulta essere un grande ostacolo allo sviluppo del settore “rinnovabile” per definizione: una delle principali conseguenze di questo dato infatti è la mancanza di possibilità di pianificare una corretta e sostenibile gestione del bosco, ipotizzando azioni da intraprendere negli anni a venire e non soltanto a livello di piccolo appezzamento ma di comprensorio forestale. Una corretta e ragionata pianificazione forestale permette di ottimizzare le azioni selvicolturali sia in senso ecologico, con la gestione integrata di un’intera area boscata piuttosto che una gestione frammentata a singoli boschi, che in senso economico, con una pianificazione delle operazioni colturali e quindi della raccolta del legno o di altri prodotti del bosco. Azioni in tal senso, possono complessivamente rientrare nella definizione di pianificazione produttiva dei boschi.

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Interventi selvicolturali su una pendice del Monte Secchieta, nel versante di Reggello in provincia di Firenze (foto Luca Poli).

La teoria dell’assestamento forestale

Da un punto di vista selvicolturale, la materia che studia la pianificazione produttiva dei boschi viene chiamata assestamento; a livello storico, nel nostro Paese riscontriamo tale termine non prima della fine del 1400, quando la Repubblica di Venezia emanò un rudimentale piano di assestamento forestale delle proprietà boscate della Laguna, con gli scopi di <<difesa della laguna ed eliminazione delle torbide dei fiumi e dei torrenti>> e <<produzione degli assortimenti legnosi necessari per il mantenimento e l’espansione della flotta della Repubblica marinara>>. Tale pianificazione consisteva nell’elaborazione di due azioni che ancora oggi sono alla base degli attuali metodi di lavoro per la realizzazione di un Piano: la realizzazione di un completo inventario delle foreste presenti, e la regolamentazione di un controllo sulle utilizzazioni intese come taglio del bosco.

La materia dell’assestamento, anche in base alle mutate esigenze della società, ha subito nel corso dei secoli numerose modifiche riguardo la sua definizione ed i suoi obiettivi più alti. A titolo di completezza, riportiamo qui la definizione di Patrone (1972): <<l’assestamento è l’arte di modulare la foresta in guisa da conseguirne, con il minimo dispendio e per un tempo illimitato, la massima quantità di beni materiali e immateriali per l’uomo>>; e la definizione di Bernetti (1989): <<l’assestamento è una pratica e una disciplina di studio che ha lo scopo di ordinare i boschi con piani di gestione particolareggiati adatti a garantire la produzione continua di legnami, oppure l’erogazione continua di servizi pubblici senza pericoli di deterioramento>>. Da evidenziare come la selvicoltura moderna abbia focalizzato la sua attenzione per la protezione del bosco e per i cosiddetti servizi ecosistemici da esso forniti, inserendola nella definizione della materia dell’assestamento.
Un piano di assestamento nasce quindi come strumento pratico della selvicoltura per raggiungere molteplici dei suoi obiettivi principali, quali la conservazione del bosco, l’aumento ed il miglioramento della produzione legnosa, la costanza delle produzioni degli anni, la cura degli interessi delle comunità locali e della collettività. Nei riguardi di un bosco, a livello economico e selvicolturale, ne definisce sia gli obiettivi a breve termine, generalmente 10-20 anni, sia gli orientamenti a medio-lungo termine; da un punto di vista temporale, infatti, un piano di assestamento non può che avere come orizzonte di riferimento perlomeno i successivi 100 anni.

Nell’assestamento classico, l’obiettivo principale è l’ottenimento di un prodotto annuo, massimo e pressoché costante, che si ottiene attraverso il raggiungimento del bosco cosiddetto “normale” cioè del bosco ideale, per ogni forma di governo e per ogni forma di trattamento. In pratica, il bosco normale si fonda nella costituzione di una compresa (bosco comprensivo) in grado di fornire una produzione massima e annualmente costante. Così facendo si possono ottenere i vantaggi di facilitare l’applicazione ed il controllo delle regole colturali, di utilizzazione e di esbosco, e di permette uno sviluppo razionale delle infrastrutture e dei cantieri forestali. Affinché si realizzi il bosco normale è necessario che per ogni tipo di bosco e per ogni stazione l’incremento di massa legnosa sia massimo e costante: nel caso di un bosco coetaneo (es. ceduo semplice) il bosco normale si ottiene attraverso la distribuzione dei soprassuoli nelle varie classi cronologiche o di età. Nel caso invece di un bosco disetaneo (es. fustaia disetanea), il bosco normale si ottiene attraverso la distribuzione delle piante nelle varie classi di diametro.
La nozione di bosco normale è più astratta che reale perché queste condizioni sono difficilmente realizzabili in quanto si dovrebbero conservare immutate nel tempo sia l’entità e la struttura dell’incremento legnoso, sia l’andamento della rinnovazione. Il bosco infatti risulta essere in continua evoluzione e le recenti visioni meno deterministiche della materia dell’assestamento, pur continuandone a far riferimento, tendono a considerare il bosco normale esclusivamente un concetto teorico non raggiungibile.

Il piano di assestamento di una foresta

Il piano di assestamento di una foresta è un documento complesso redatto in forma progettuale ed assume le caratteristiche di documento programmatico esecutivo cioè assume le valenze di progetto esecutivo. Si tratta inoltre dell’opera d’ingegno di un tecnico professionista specializzato in materia, per il quale implica irrinunciabilmente un’assunzione di responsabilità: con un piano di assestamento si programmano gli interventi nel tempo e nello spazio in modo da rispettare i vincoli all’uso riguardo la stazione (crinale, pendenza, clima), il soprassuolo (età, composizione, struttura), le aree protette, regolamenti, prescrizioni e vincoli di varia natura ecc.
In linea di massima un piano di assestamento si compone di:

  • Relazione tecnica;
  • Prospetto delle superfici;
  • Registro delle particelle (o registro di tassazione);
  • Piano dei tagli;
  • Allegati cartografici;
  • Libro economico;
  • Altri allegati (piano dei miglioramenti fondiari, piano dei pascoli, piano della viabilità ecc.).

Se una foresta è molto grande, la pianificazione forestale prevede la sua divisione in distretti amministrativi: per una gestione intensiva questi avranno un’estensione inferiore ai 3000 ettari, mentre nel caso di una gestione estensiva i distretti possono superare i 6000 ettari. Il distretto amministrativo, a sua volta, può essere suddiviso in: classi di governo (fustaia e ceduo); classi di trattamento (fustaia a taglio raso, a tagli successivi, a taglio saltuario; ceduo semplice, ceduo semplice matricinato, ceduo a sterzo). Le classi di trattamento molto estese possono a loro volta essere suddivise in classi economiche (o comprese) per i boschi coetanei, e classi di curazione per i boschi disetanei. La frazione più piccola in cui viene divisa la foresta, e che ne costituisce l’unità colturale su cui vengono applicate le operazioni selvicolturali, è la particella forestale; l’elenco delle particelle è racchiuso nel Registro particellare, detto anche Registro di tassazione. La particella è identificata per omogeneità congiunta di suolo, clima e soprassuolo; non a caso infatti è pensata per applicarvi su tutta la sua superficie le medesime operazioni selvicolturali. La sua superficie può variare tra i 2 e i 20 ettari nei boschi coetanei, mentre può superare i 30 ettari nel caso di boschi disetanei.

Nei riguardi della relazione tecnica, che costituisce il fulcro centrale del Piano, questa ha il compito di descrivere l’ambiente in cui si opera, gli obiettivi della gestione e le linee di pianificazione, nonché le operazioni dettagliate da compiere per il conseguimento degli obiettivi. Essa si compone di due parti distinte: la prima, detta “Parte generale”, serve ad inquadrare la situazione esistente e a presentare gli obiettivi; la seconda, detta “Parte speciale”, è un’esposizione delle linee di gestione e delle direttive da seguire. Se il Piano di Assestamento prevede la divisione della foresta in comprese, questa seconda parte seguirà l’ordine delle comprese.  La prima parte di carattere generale si suddivide in:

  • Inquadramento geografico dell’area (riferimenti topografici, corografia, caratteristiche catastali, informazioni storiche ecc.);
  • Caratteristiche topografiche, climatiche, orografiche, idrografiche e geo-pedologiche;
  • Tipologia del complesso boscato da assestare (descrizione della vegetazione, tipi colturali presenti e popolamenti di rilievo ecc.);
  • Aspetti faunistici;
  • Stato della viabilità;
  • Cenni storici;
  • Realtà socio-economica;
  • Usi civici e servitù;
  • Esistenza di altri vincoli;

Nella seconda parte della relazione tecnica, detta “Parte speciale”, si definiscono gli obiettivi della gestione e i metodi impiegati per conseguirli, costituendo quindi il riferimento decisionale ed operativo del Piano.

Il piano dei tagli completa il documento a livello esecutivo con la descrizione e la quantificazione, per ogni particella, delle operazioni di taglio da eseguire sul soprassuolo, indicandone la distribuzione sul terreno e le modalità operative. Redatto in forma tabulare o descrittiva, è organizzato per anni di intervento, e si sviluppa indicando il tipo di intervento di taglio, la sua distribuzione sul terreno, le masse da prelevare, quest’ultime eventualmente divise per classi diametriche.
Ulteriore strumento a corredo del Piano risulta essere il Libro economico: in questo registro, per ogni particella e per ciascun anno, si dovranno riportare le singole operazioni eseguite effettivamente e le rispettive caratteristiche principali (massa prelevata, superficie percorsa dalle operazioni colturali ecc.). Nel libro economico dovranno essere annotate anche eventuali notizie di vendita, permuta e acquisto di terreni, la costruzione di fabbricati, e tutto quanto interessi la consistenza totale dei beni presi in considerazione dal Piano.

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Un comprensorio boschivo in habitus invernale presso loc.Rasora, Castiglione dei Pepoli in provincia di Bologna (foto Luca Poli).

Riferimenti giuridici

Da un punto di vista giuridico, in Italia, ai sensi dell’art. 130 della Legge n. 3267 del 30/12/1923, l’assestamento delle proprietà forestali demaniali e pubbliche è obbligatorio; risulta essere quindi lo strumento per la gestione dei boschi di proprietà pubblica, di Enti, Comuni, Regioni e Stato. La proprietà privata è invece soggetta alle Prescrizioni di Massima e di Polizia Forestale o ai Regolamenti forestali delle Regioni e Province autonome; in Toscana, ed esempio, il vigente Regolamento Forestale (Reg. n.48 del 2003) impone l’obbligo di assestamento per proprietà contigue con estensioni superiori a 100 ha. Da notare inoltre che, in molti casi di legislazione regionale in ambito forestale, i Piani di assestamento hanno visto mutare il proprio nome in Piani di gestione piuttosto che Piani Forestali Aziendali.

Da un punto di vista di competenze, così come recentemente ribadito dalla sentenza n.246 del Consiglio di Stato, sezione III, del 1 febbraio 2017, i professionisti abilitati all’elaborazione e stesura di un Piano di assestamento forestale risultano essere, in maniera esclusiva, i Dottori Agronomi e Dottori Forestali regolarmente iscritti all’Ordine.

Conclusioni

In riferimento sempre ai dati dell’INFC 2005, emerge che soltanto il 14,2% della superficie forestale italiana (corrispondente a 1,5 milioni di ettari) possiede una pianificazione di dettaglio, intesa come piani aziendali o di assestamento. Consapevoli delle grandi possibilità che la pianificazione produttiva delle superfici forestali offre in termini di benefici economici ed ambientali, si ritiene che questa possa essere un valido strumento di rilancio del settore forestale italiano, in associazione ad altre azioni mirate al superamento dell’eccessivo frazionamento della proprietà forestale, come ad esempio le Associazioni fondiarie, o ad azioni di finanziamento dello sviluppo rurale del territorio, come ad esempio quelle promosse dai Gruppi di Azione Locale.

Bibliografia:

  • Giovanni Bernetti, Botanica e selvicoltura, ed. Accademia Italiana di Scienze Forestali, Firenze 2007.
  • Fabio Cappelli, Il bosco, ed. Leo S. Olschki, Firenze 2017.
  • Prof.ssa Susanna Nocentini, Appunti dalle lezioni del Corso di Assestamento forestale, Corso di Laurea in Scienze Forestali e Ambientali della Facoltà di Agraria – Università degli Studi di Firenze.
  • INFC 2005 – Inventario Nazionale delle Foreste e dei Serbatoi Forestali di Carbonio. Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, Ispettorato Generale – Corpo Forestale dello Stato. Consiglio per la Ricerca e Sperimentazione in Agricoltura Unità di ricerca per il Monitoraggio e la Pianificazione Forestale (CRA-MPF).
  • Pietro Piussi e Giorgio Alberti, Selvicoltura generale, ed. Compagnia delle Foreste, Arezzo 2015.
Luca Poli, Dottore Forestale, svolge libera professione occupandosi di gestione del patrimonio boschivo ed ambientale e della valorizzazione del legno. E’ inoltre vice-presidente dell’Associazione di Agraria.org. Curriculum vitae >>>
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