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di Luigi Pun­tel­li

 

Spe­cie fo­re­sta­li pre­va­len­ti
La spe­cie ar­bo­rea più dif­fu­sa in To­sca­na è il cerro (Quer­cus cer­ris), ap­par­te­nen­te alla fa­mi­glia delle Fa­ga­ceae, è una quer­cia a ra­pi­do ac­cre­sci­men­to con una ampia dif­fu­sio­ne eco­lo­gi­ca, po­ten­do in­se­diar­si par­zial­men­te a par­ti­re dai bo­schi me­di­ter­ra­nei, fino ai mar­gi­ni in­fe­rio­ri delle fag­ge­te. La de­sti­na­zio­ne pro­dut­ti­va prin­ci­pa­le, a causa delle ca­rat­te­ri­sti­che tec­ni­che del suo legno, è rap­pre­sen­ta­ta dalla legna da ar­de­re.
La pre­sen­za del ca­sta­gno (Ca­sta­nea sa­ti­va), se­con­da spe­cie più dif­fu­sa a li­vel­lo re­gio­na­le, è con­di­zio­na­ta dalle  vi­cen­de eco­no­mi­co-so­cia­li e fi­to­sa­ni­ta­rie. L’ab­ban­do­no di un ca­sta­gne­to da frut­to può por­ta­re, nei casi in cui la na­tu­ra del suolo e il clima per­met­ta­no la rin­no­va­zio­ne spon­ta­nea della spe­cie, ad un bosco di ca­sta­gno con in­se­dia­men­to di altre spe­cie. In que­sto caso la prin­ci­pa­le de­sti­na­zio­ne eco­no­mi­ca è rap­pre­sen­ta­ta dalla pro­du­zio­ne di pa­le­ria. In altri casi, il ca­sta­gno viene re­le­ga­to a un ruolo net­ta­men­te se­con­da­rio nella com­po­si­zio­ne del po­po­la­men­to.
La ro­ve­rel­la (Quer­cus pu­be­scens), più ru­sti­ca del cerro, si in­se­dia su ter­re­ni più po­ve­ri e dif­fi­ci­li e con mi­no­ri di­spo­ni­bi­li­tà idri­ca, ge­ne­ral­men­te ter­re­ni cal­ca­rei e ar­gil­lo­si. Di ac­cre­sci­men­to più lento ri­spet­to al cerro trova an­ch’es­sa uti­liz­zo prin­ci­pa­le come legna da ar­de­re.
Il lec­cio (Quer­cus ilex) ap­par­tie­ne alle scle­ro­fil­le sem­pre­ver­di ca­rat­te­riz­zan­ti la mac­chia me­di­ter­ra­nea. Il lec­cio è una spe­cie scia­fi­la, in grado di tol­le­ra­re l’om­breg­gia­men­to in­ten­so anche negli stadi gio­va­ni­li; que­sta sua ca­rat­te­ri­sti­ca gli per­met­te di for­ma­re fo­re­ste cli­max, e lo rende fles­si­bi­le e ca­pa­ce di adat­tar­si a di­ver­se so­lu­zio­ni sel­vi­col­tu­ra­li. La forma di al­le­va­men­to più dif­fu­sa è il go­ver­no a ceduo, il ma­te­ria­le ot­te­ni­bi­le non trova, a causa della sfa­vo­re­vo­le tec­no­lo­gia del suo legno, im­pie­ghi in­du­stria­li ma, è molto ap­prez­za­to come legna da ar­de­re per l’e­le­va­ta massa vo­lu­mi­ca. Il lec­cio si ma­ni­fe­sta inol­tre nella ri­co­lo­niz­za­zio­ne di spras­suo­li ri­ca­den­ti nel­l’a­rea­le di ori­gi­ne ma suc­ces­si­va­men­te oc­cu­pa­ti da altre spe­cie per mo­ti­vi an­tro­pi­ci. Ne sono un esem­pio evi­den­te le pi­ne­te li­to­ra­nee di pino do­me­sti­co (Pinus pinea) e le su­ghe­re­te (Quer­cus suber).
La dif­fu­sio­ne del fag­gio (Fagus syl­va­ti­ca) è li­mi­ta­ta alle zone ap­pen­ni­ni­che con buone con­di­zio­ni di fer­ti­li­tà e pro­fon­di­tà dei suoli. Si trat­ta di una spe­cie che trova il suo op­ti­mum ve­ge­ta­ti­vo nei climi ocea­ni­ci e sub-ocea­ni­ci, ne­ces­si­tan­do, a causa della straor­di­na­ria ca­pa­ci­tà di tra­spi­ra­zio­ne fo­glia­re, di di­spo­ni­bi­li­tà idri­che an­nua­li ele­va­te. Ri­fug­ge le ge­la­te tar­di­ve e la ga­la­ver­na. Da un punto di vista ge­stio­na­le negli ul­ti­mi anni si è as­si­sti­to al­l’av­via­men­to di molti cedui in fu­sta­ie men­tre, a li­vel­lo pro­dut­ti­vo pre­va­le la pro­du­zio­ne di legna da ar­de­re ri­spet­to al le­gna­me tondo, che pure ri­sul­ta am­pia­men­te uti­liz­za­to dal­l’in­du­stria di tra­sfor­ma­zio­ne per la sua la­vo­ra­bi­li­tà.   
La pre­sen­za dei pini me­di­ter­ra­nei (Pinus pinea e Pinus pi­na­ster) si ri­scon­tra lungo le coste e sulle col­li­ne in­ter­ne, in par­ti­co­la­re il pino do­me­sti­co (Pinus pinea) ca­rat­te­riz­za le pi­ne­te li­to­ra­nee per mo­ti­vi sto­ri­co-eco­no­mi­ci. Gran­de im­pul­so al­l’im­pian­to delle pi­ne­te li­to­ra­nee fu dato nel pe­rio­do gran­du­ca­le da Pie­tro Leo­pol­do. Dal­l’in­ci­sio­ne dei tron­chi si ri­ca­va­va la re­si­na uti­liz­za­ta nel­l’in­du­stria dei sol­ven­ti e delle ver­ni­ci, e dalla rac­col­ta degli stro­bi­li si ot­te­ne­va­no, e si ot­ten­go­no an­co­ra i pi­no­li. Il go­ver­no è ad alto fusto nelle pi­ne­te pure. Nei cedui misti i pini ven­go­no ri­la­scia­ti allo stato iso­la­to per nu­me­ro­si turni in quan­to poco adat­ti al­l’im­pie­go come legna da ar­de­re a causa del con­te­nu­to di re­si­na. A li­vel­lo in­du­stria­le il prin­ci­pa­le im­pie­go è quel­lo per pan­nel­li di par­ti­cel­le, dopo cip­pa­tu­ra, e nella pro­du­zio­ne di im­bal­lag­gi. 
Il car­pi­no nero (Ostrya car­pi­ni­fo­lia) oc­cu­pa ge­ne­ral­men­te i ver­san­ti fred­di set­ten­trio­na­li nella fa­scia col­li­na­re in­ter­me­dia, anche se si ri­tro­va spes­so mista ad altre spe­cie, come ro­ve­rel­la e or­niel­lo in zone più calde. La ge­stio­ne quasi esclu­si­va­men­te a ceduo è giu­sti­fi­ca­ta dalla con­so­cia­zio­ne e dalla buona qua­li­tà della legna da ar­de­re che si ri­ca­va.

 

L’ar­ri­vo della ro­bi­nia (Ro­bi­nia pseu­doa­ca­cia) in Eu­ro­pa è av­ve­nu­to nel XVIII se­co­lo e dal quel mo­men­to la spe­cie si è dif­fu­sa in tutto il con­ti­nen­te, di­ven­tan­do, nelle sta­zio­ni più fa­vo­re­vo­li una in­fe­stan­te co­ria­cea. La ge­stio­ne della spe­cie a ceduo è fun­zio­na­le alle pro­du­zio­ne di legna da ar­de­re e pa­le­ria, en­tram­bi pro­dot­ti molto ap­prez­za­ti, per l’ot­ti­mo po­te­re ca­lo­ri­fi­co nel primo caso e per la buona du­ra­bi­li­tà del suo legno, pa­ra­go­na­bi­le a quel­la del ca­sta­gno, nel se­con­do. Da un punto di vista pro­dut­ti­vo ri­sul­ta ri­le­van­te anche la pro­du­zio­ne di miele, co­sid­det­to di aca­cia, tra i più ap­prez­za­ti sul mer­ca­to.
La dif­fu­sio­ne del pino nero (Pinus nigra) è stata rea­liz­za­ta es­sen­zial­men­te con i rim­bo­schi­men­ti di ini­zio se­co­lo e suc­ces­si­va­men­te del primo do­po­guer­ra, nella fa­scia della media mon­ta­gna. Tali rim­bo­schi­men­ti ef­fet­tua­ti in zone par­ti­co­lar­men­te de­gra­da­te da un punto di vista pe­do­lo­gi­co sono oggi per lo più bene av­via­ti e si ini­zia in parte ad as­si­ste­re ad una tran­si­zio­ne ve­ge­ta­zio­na­le ad opera di spe­cie più esi­gen­ti. Negli corso degli anni non si è an­co­ra af­fer­ma­ta una vera e pro­pria de­sti­na­zio­ne pro­dut­ti­va di que­sti po­po­la­men­ti, per i quali, oltre al ri­pri­sti­no della fer­ti­li­tà sta­zio­na­le, non era stata pre­vi­sta altra fun­zio­ne.   Le pro­du­zio­ni di le­gna­me quan­ti­ta­ti­va­men­te e qua­li­ta­ti­va­men­te mi­glio­ri si ot­ten­go­no dalla ssp. la­ri­cio in Ca­la­bria. Il legno è duro, forte e re­si­no­so, adat­to per co­stru­zio­ni e im­bal­lag­gi e pasta di legno.
La pre­sen­za degli “abeti” in To­sca­na è li­mi­ta­ta all’abete bian­co (Abies alba), men­tre l’abete rosso, in real­tà ap­par­te­nen­te ad un altro ge­ne­re (Picea abies) ri­sul­ta pre­sen­te solo in al­cu­ne zone, pre­su­mi­bil­men­te come re­lit­to gla­cia­le. L’im­por­tan­za nel corso della sto­ria del­l’a­be­te bian­co e te­sti­mo­nia­ta dalle nu­me­ro­se abe­ti­ne ar­ti­fi­cia­li pre­sen­ti in re­gio­ne, usate in pas­sa­to per pro­dur­re le­gna­me da opera (gran­di tra­va­tu­re, al­be­ri delle navi, ecc). Que­sti im­pian­ti hanno oggi perso la fun­zio­ne pro­dut­ti­va pre­va­len­te per cui erano stati crea­ti, ac­qui­sen­do prin­ci­pal­men­te quel­la tu­ri­sti­co-ri­crea­ti­va. Ri­ma­ne l’im­por­tan­za del legno per fa­le­gna­me­ria varia e  tra­va­tu­re anche se le uti­liz­za­zio­ni sono piut­to­sto li­mi­ta­te. 
Il piop­po (Po­pu­lus sp.) è pre­sen­te in To­sca­na allo stato na­tu­ra­le con varie spe­cie, tra cui il piop­po nero e bian­co, con pre­sen­za spo­ra­di­ca mag­gior­men­te con­cen­tra­ta nelle zone umide. La fun­zio­ne pro­dut­ti­va prin­ci­pa­le è do­vu­ta agli im­pian­ti ar­ti­fi­cia­li rea­liz­za­ti nelle zone pia­neg­gian­ti ca­rat­te­riz­za­te da una buona di­spo­ni­bi­li­tà idri­ca. Que­sti im­pian­ti, com­po­sti dal clone I214, se­le­zio­na­to in Ita­lia e pro­ba­bil­men­te tra i più dif­fu­si al mondo, for­ni­sco­no ma­te­ria prima per l’in­du­stria dei pan­nel­li, in base alla qua­li­tà pos­so­no es­se­re de­sti­na­ti per pan­nel­li di par­ti­cel­le o com­pen­sa­ti. 
Il ci­pres­so (Cu­pres­sus sem­per­vi­rens), come noto, è un ele­men­to ca­rat­te­riz­zan­te del pae­sag­gio to­sca­no, ma si trat­ta pro­ba­bil­men­te di una co­ni­fe­ra non ori­gi­na­ria della re­gio­ne, bensì in­tro­dot­ta. Nel com­ples­so, no­no­stan­te la buona qua­li­tà del legno, tale spe­cie ri­ve­ste un ruolo pro­dut­ti­vo de­ci­sa­men­te mar­gi­na­le, oltre al fatto che negli ul­ti­mi de­cen­ni è stato col­pi­to dal can­cro del ci­pres­so cau­sa­to da Sei­ri­dium car­di­na­le, con danni con­si­sten­ti nei paesi del ba­ci­no me­di­ter­ra­neo. Per la no­te­vo­le du­ra­bi­li­tà del suo legno e la buona la­vo­ra­bi­li­tà è stato sto­ri­ca­men­te usato per co­stru­zio­ne di mo­bi­li, in­fis­si e por­to­ni, come te­sti­mo­nia­to dai nu­me­ro­si esem­pi in opera.
Le altre spe­cie fo­re­sta­li mi­no­ri (come sorbi, ci­lie­gi, aceri, ecc) pre­sen­ti in re­gio­ne ri­co­pro­no un ruolo pro­dut­ti­vo de­ci­sa­men­te mar­gi­na­le, ma ri­sul­ta­no es­se­re fon­da­men­ta­le ele­men­to di bio­di­v­er­si­tà ve­ge­ta­le, che con­tri­bui­sce al no­te­vo­le va­lo­re eco­lo­gi­co di molti sta­zio­ni.
In linea ge­ne­ra­le le prin­ci­pa­li spe­cie fo­re­sta­li To­sca­ne ri­sul­ta­no avere un in­te­res­se eco­no­mi­co mar­gi­na­le per l’in­du­stria del legno, in par­ti­co­la­re per quel­la del mo­bi­le, la quale fa ri­cor­so in ma­nie­ra mas­sic­cia al­l’im­por­ta­zio­ne di ma­te­ria prima. La ne­ces­si­tà di im­por­ta­re legno dal­l’e­ster­no re­ste­reb­be co­mun­que va­li­da anche ipo­tiz­zan­do una pro­du­zio­ne fo­re­sta­le re­gio­na­le al mas­si­mo delle sue po­ten­zia­li­tà. In­fat­ti  anche in que­ste con­di­zio­ni ot­ti­ma­li si sa­reb­be in grado di sod­di­sfa­re solo in parte il fab­bi­so­gno del com­par­to legno.
No­no­stan­te ciò l’u­ti­liz­zo di le­gna­me re­gio­na­le e il suo mi­glio­ra­men­to qua­li­ta­ti­vo at­tra­ver­so pra­ti­che sel­vi­col­tu­ra­li, allo stato at­tua­le, può es­se­re in­cre­men­ta­to e sti­mo­la­to, con con­se­guen­ti van­tag­gi eco­no­mi­ci e di ma­nu­ten­zio­ne ter­ri­to­ria­le. 
In par­ti­co­la­re si trat­ta quin­di di tro­va­re una de­sti­na­zio­ne d’uso ade­gua­ta e so­prat­tut­to ra­zio­na­le ad una gran­de quan­ti­tà di le­gna­me, ina­dat­to per ca­rat­te­ri­sti­che spe­ci­fi­che e tec­no­lo­gi­che per gli im­pie­ghi con­si­de­ra­ti più “no­bi­li”. La com­bu­stio­ne in mo­der­ne cal­da­ie ad alto ren­di­men­to si pre­sen­ta come una delle pos­si­bi­li­tà più in­te­res­san­ti da un punto di vista so­cia­le, eco­no­mi­co, am­bien­ta­le e di ri­spar­mio ener­ge­ti­co.

 

Pro­du­zio­ne fo­re­sta­le to­sca­na 1986-2001
La pro­du­zio­ne fo­re­sta­le della to­sca­na nel pe­rio­do 1986-2002 ha mo­stra­to un trend di cre­sci­ta co­stan­te. La legna da ar­de­re ri­sul­ta es­se­re l’as­sor­ti­men­to le­gno­so più dif­fu­so. Ri­sul­ta quin­di sen­sa­to pen­sa­re di col­ti­va­re i bo­schi re­gio­na­li a scopi ener­ge­ti­ci, come per altro già viene fatto, uti­liz­zan­do però le più mo­der­ne tec­no­lo­gie di rac­col­ta e di com­bu­stio­ne, il tutto al­l’in­ter­no di fi­lie­re di uti­liz­za­zio­ne lo­ca­li ra­zio­nal­men­te strut­tu­ra­te e or­ga­niz­za­te.

Bi­blio­gra­fia
– AA. VV., Bo­schi e mac­chie di To­sca­na: vol. 3 In­ven­ta­rio Fo­re­sta­le, Re­gio­ne To­sca­na, Fi­ren­ze,1998.
– AA. VV., Il si­ste­ma fo­re­sta-le­gno in To­sca­na, ETSAF, INEA, Fi­ren­ze, 1993.
– A.A. V.V., Rap­por­to sullo stato delle fo­re­ste in To­sca­na 2005, Com­pa­gnia delle Fo­re­ste, Pe­ru­gia, 2005
– AA. VV., Su­per­fi­ce fo­re­sta­le della To­sca­na al 1986, a cura del­l’a­rea sta­ti­sti­ca del C.F.S. di Lucca, Lucca, 1987.
– Luigi Guido Pun­tel­li, Ge­ne­ra­zio­ne di ca­lo­re da scar­ti fo­re­sta­li e della la­vo­ra­zio­ne del legno: os­ser­va­zio­ni ge­ne­ra­li e caso di stu­dio di un’a­zien­da del set­to­re, Tesi di Lau­rea, Uni­ver­si­tà degli Studi di Fi­ren­ze, A.A. 2004/2005

Luigi Pun­tel­li ha con­se­gui­to la lau­rea in Tec­no­lo­gia del Legno pres­so la Fa­col­tà di Agra­ria del­l’U­ni­ver­si­tà degli Studi di Fi­ren­ze. Cur­ri­cu­lum vitae >>>

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