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UNA COL­TI­VA­ZIO­NE MILLE USI

di Fran­ce­sco Sodi

Favino
Fa­vi­no – Vicia faba minor L. (foto Fran­ce­sco Sodi)

Il fa­vi­no è una le­gu­mi­no­se ap­par­te­nen­te alla tribù delle Vi­cieae. Ap­par­tie­ne alla va­rie­tà minor, si di­stin­gue dalle altre va­rie­tà in base alla di­men­sio­ne dei semi; quel­li del fa­vi­no sono ro­ton­deg­gian­ti e re­la­ti­va­men­te pic­co­li (1.000 semi pe­sa­no meno di 700g) e si im­pie­ga­no per se­mi­na­re erbai e so­ve­sci (poi­ché fanno ri­spar­mia­re seme, ri­spet­to alle altre va­rie­tà) e anche come con­cen­tra­ti nel­l’a­li­men­ta­zio­ne del be­stia­me.
Il fa­vi­no è una pian­ta an­nua­le, a ra­pi­do svi­lup­po, a por­ta­men­to eret­to, gla­bra, di co­lo­re gri­gio-ver­de, a svi­lup­po in­de­ter­mi­na­to. La ra­di­ce è fit­to­nan­te, ricca di tu­ber­co­li vo­lu­mi­no­si. Gli steli eret­ti, fi­sto­lo­si, qua­dran­go­la­ri, alti fino a 1,50 m (media 0,80-1,00) non sono ra­mi­fi­ca­ti, ma ta­lo­ra si può avere un li­mi­ta­tis­si­mo ac­ce­sti­men­to con steli se­con­da­ri sor­gen­ti alla base di quel­lo prin­ci­pa­le.
Le fo­glie sono al­ter­ne, pa­ri­pen­na­te, com­po­ste da due o tre paia di fo­glio­li­ne ses­si­li el­lit­ti­che in­te­re, con la fo­glio­li­na ter­mi­na­le tra­sfor­ma­ta in un ap­pen­di­ce poco ap­pa­ri­scen­te ma ri­con­du­ci­bi­le al cirro che ca­rat­te­riz­za le fo­glie delle Vi­cieae. I fiori si for­ma­no in nu­me­ro da 1 a 6 su un breve ra­ce­mo che nasce al­l’a­scel­la delle fo­glie me­dia­ne e su­pe­rio­ri dello stelo. I fiori sono quasi ses­si­li, piut­to­sto ap­pa­ri­scen­ti (lun­ghez­za 25 mm), la co­rol­la ha pe­ta­li bian­chi e ta­lo­ra vio­la­cei e, quasi sem­pre, con ca­rat­te­ri­sti­ca mac­chia scura sulle ali. L’o­va­rio è pu­be­scen­te, al­lun­ga­to e ter­mi­na con uno stig­ma a ca­poc­chia, esso con­tie­ne da 2 a 10 ovuli.
Nel fa­vi­no la fe­con­da­zio­ne può es­se­re al­lo­ga­ma, con im­pol­li­na­zio­ne in­cro­cia­ta ope­ra­ta da ime­not­te­ri (api e bombi), o au­to­ga­ma. L’o­va­rio fe­con­da­to si svi­lup­pa in un bac­cel­lo al­lun­ga­to, verde allo stato im­ma­tu­ro, bruno quan­do ma­tu­ro e secco, esso con­tie­ne da 2 a 10 semi.
Uno degli usi più fre­quen­ti del fa­vi­no è quel­lo come col­tu­ra da so­ve­scio, in que­sto caso il fa­vi­no va se­mi­na­to a ini­zio au­tun­no, così che abbia rag­giun­to un buono svi­lup­po prima dei fred­di in­ver­na­li, e poi in pri­ma­ve­ra quan­do si trova in fio­ri­tu­ra la col­tu­ra viene arata in modo che tutta la parte verde sia in­ter­ra­ta, così fa­cen­do ar­ric­chi­sco il ter­re­no di so­stan­za or­ga­ni­ca che sarà fa­cil­men­te de­gra­da­ta in quan­to il ter­re­no dove si tro­va­va il fa­vi­no è ricco in azoto gra­zie al­l’a­zo­to­fis­sa­zio­ne dei bat­te­ri sim­bion­ti delle ra­di­ci e quin­di i mi­cror­ga­ni­smi tro­ve­ran­no un sub­stra­to idea­le sul quale mol­ti­pli­car­si e in se­gui­to de­gra­da­re la so­stan­za or­ga­ni­ca. Inol­tre con que­sta tec­ni­ca si ar­ric­chi­sce di molto il con­te­nu­to in acqua del ter­re­no che sarà ce­du­ta len­ta­men­te e quin­di si evi­te­ran­no stress idri­ci alle col­tu­re che se­gui­ran­no. No­no­stan­te una parte di azoto venga usato dai mi­cror­ga­ni­smi nel ter­re­no ne ri­ma­ne una buona quan­ti­tà, per que­sto si deve evi­ta­re di fare il so­ve­scio di le­gu­mi­no­se per vari anni sullo stes­so ap­pez­za­men­to so­prat­tut­to se ci sono col­tu­re ar­bo­ree per­ché la forte pre­sen­za di azoto pro­muo­ve un’an­ti­ci­pa­ta ri­pre­sa ve­ge­ta­ti­va cor­ren­do quin­di mag­gio­ri ri­schi di ge­la­te tar­di­ve.
Altro uso che negli ul­ti­mi anni sta pren­den­do campo è quel­lo di usare il fa­vi­no come col­tu­ra ri­net­tan­te, que­sto tipo di col­ti­va­zio­ne ha due scopi prin­ci­pa­li, uno è quel­lo di evi­ta­re l’e­ro­sio­ne del ter­re­no du­ran­te le piog­ge au­tun­na­li e in­ver­na­li, so­prat­tut­to in ter­re­ni col­li­na­ri che al­tri­men­ti ri­mar­reb­be­ro sco­per­ti per tutto il pe­rio­do in­ver­na­le, e altra im­por­tan­te fun­zio­ne è quel­la di evi­ta­re lo svi­lup­po di in­fe­stan­ti così quan­do si ar­ri­va a col­ti­va­re la col­tu­ra prin­ci­pa­le ab­bia­mo un ter­re­no com­ple­ta­men­te sgom­bro da in­fe­stan­ti que­sto per­ché que­sto tipo di col­tu­re sono se­mi­na­te in ma­nie­ra molto fitta e hanno un ra­pi­do svi­lup­po e sof­fo­ca­no tutte le altre es­sen­ze, poi quan­do sono svi­lup­pa­te non fanno pas­sa­re la luce e quin­di le in­fe­stan­ti non pos­so­no ger­mo­glia­re.
Quel­la che do­ve­va es­se­re la vo­ca­zio­ne prin­ci­pa­le della col­ti­va­zio­ne del fa­vi­no e cioè la pro­du­zio­ne di gra­nel­la per ali­men­ta­zio­ne del be­stia­me negli ul­ti­mi de­cen­ni era an­da­ta scom­pa­ren­do, sop­pian­ta­ta dalla soia, que­sta era pre­fe­ri­ta in quan­to ha un al­tis­si­mo con­te­nu­to in pro­tei­na.
Per l’a­li­men­ta­zio­ne del be­stia­me si usano le fa­ri­ne d’e­stra­zio­ne o i pa­nel­li, cioè soia a cui è stato estrat­to l’o­lio e nella quale la per­cen­tua­le pro­tei­ca è con­cen­tra­ta rag­giun­gen­do va­lo­ri del 46%, il fa­vi­no in­ve­ce ha un ti­to­lo in pro­tei­ne del 20-21% e quin­di il con­fron­to non era pro­po­ni­bi­le, basta meno della metà di soia ri­spet­to al fa­vi­no per co­pri­re i fab­bi­so­gni di un ani­ma­le. Ma negli ul­ti­mi anni si è ri­sco­per­to per­ché la soia è in gran parte OGM e quin­di tutti gli al­le­va­men­ti bio­lo­g­i­ci non la pos­so­no uti­liz­za­re per ali­men­ta­re il pro­prio be­stia­me e quin­di sono ri­tor­na­ti ad usare o il pi­sel­lo pro­tei­co o il fa­vi­no che non hanno su­bi­to nes­sun tipo di mo­di­fi­ca­zio­ne ge­ne­ti­ca.
Una delle va­rie­tà che è più usata in tutto il cen­tro Ita­lia è la “Ve­su­vio” che si adat­ta molto bene anche a ter­re­ni pe­san­ti, e non ri­chie­de ir­ri­ga­zio­ne.
Le azien­de bio­lo­g­i­che sono le più in­te­res­sa­te al­l’u­ti­liz­zo del fa­vi­no per i vari mo­ti­vi visti primi, anche l’uso come col­tu­ra ri­net­tan­te è molto im­por­tan­te in quan­to nelle azien­de bio­lo­g­i­che non si pos­so­no usare di­ser­ban­ti e quin­di ar­ri­va­re alla se­mi­na aven­do un ter­re­no sgom­bro da in­fe­stan­ti non è cosa da poco conto, come pure il con­trol­lo del­l’e­ro­sio­ne che do­vreb­be in­te­res­sa­re tutte le azien­de ma mag­gior­men­te quel­le che non pos­so­no fare un largo uso di con­ci­mi chi­mi­ci e quin­di per­de­re la parte su­per­fi­cia­le del ter­re­no che è quel­la più fer­ti­le di­ven­ta una grave per­di­ta.
Anche il so­ve­scio è pra­ti­ca dif­fu­sa così da ar­ric­chi­re il ter­re­no di so­stan­za or­ga­ni­ca e azoto due ele­men­ti fon­da­men­ta­li per lo svi­lup­po di qual­sia­si pian­ta.
Visto il cre­scen­te in­te­res­se delle azien­de per que­sta le­gu­mi­no­sa, negli ul­ti­mi anni si è ini­zia­to un la­vo­ro di se­le­zio­ne per mi­glio­ra­re il con­te­nu­to pro­tei­co e so­prat­tut­to l’e­qui­li­brio tra i vari ami­noa­ci­di che ser­vo­no al be­stia­me che an­dia­mo ad ali­men­ta­re per­ché se noi ab­bia­mo una com­po­si­zio­ne in ami­noa­ci­di che è la più vi­ci­na a quel­la che uti­liz­za l’a­ni­ma­le noi pos­sia­mo dare una ra­zio­ne con anche il 2% in meno di pro­tei­na, e que­sta non è cosa da poco conto per­ché così fa­cen­do ho un minor spre­co da parte del­l’a­ni­ma­le e di con­se­guen­za una minor pre­sen­za di ni­tra­ti e quin­di minor in­qui­na­men­to del ter­re­no e delle falde ac­qui­fe­re.
Altro ca­rat­te­re che in­te­res­sa il mi­glio­ra­men­to ge­ne­ti­co è quel­lo di in­nal­za­re le rese ad et­ta­ro e so­prat­tut­to la co­stan­za di pro­du­zio­ne nei vari anni.
Per­so­nal­men­te penso che se si svol­ge­rà un la­vo­ro serio su que­sta le­gu­mio­no­sa in pochi anni po­trem­mo ar­ri­va­re ad avere pro­du­zio­ni di buona quan­ti­tà e qua­li­tà così da evi­ta­re di dare al no­stro be­stia­me ali­men­ti OGM come la soia. E so­prat­tut­to non es­se­re schia­vi delle mul­ti­na­zio­na­li che com­mer­cia­liz­za­no il seme delle col­tu­re OGM che ogni anno de­vo­no es­se­re riac­qui­sta­ti per­ché ibri­di e quin­di un sem­pli­ce con­ta­di­no non potrà mai ri­pro­dur­re seme dalla pro­pria col­ti­va­zio­ne.

Fran­ce­sco Sodi, di­plo­ma­to pres­so l’I­sti­tu­to Tec­ni­co Agra­rio di Fi­ren­ze, si è lau­rea­to in Scien­ze e Tec­no­lo­gie agra­rie pres­so l’U­ni­ver­si­ta’ di Fi­ren­ze, dove fre­quen­ta il corso di lau­rea spe­cia­li­sti­ca in Agro­zoo­tec­nia so­ste­ni­bi­le. Se­le­zio­na­to­re e al­le­va­to­re di avi­co­li, è re­spon­sa­bi­le tec­ni­co del­l’a­zien­da agri­co­la “Po­de­re l’Uc­cel­la­re” nel Chian­ti Clas­si­co. Cur­ri­cu­lum vitae >>>

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