di Ezio Casali
L’utilizzo casalingo, ed in  particolare gastronomico, delle piante spontanee è ancora oggi una pratica  normale in molte famiglie: quante volte vi sarà capitato l’onore di chiudere il  pasto attingendo al sacro bottiglione del nocino “fatto in casa con le noci  raccolte proprio la notte di San Giovanni” (il 24 giugno). 
  D’altra parte l’uomo, prima di  diventare stanziale agricoltore è stato nomade raccoglitore, e questi atavici  ricordi sembrano riemergere quando andiamo in cerca di asparagi selvatici, di  frutti di bosco, di funghi, ecc. Ma la natura può essere molto più generosa, ed  offrirci una varietà di piante da consumare in cucina inimmaginabile: scoprire  che quella pianta, che magari vediamo tutti i giorni, può essere utilizzata in  cucina può rivelarci un nuovo mondo fatto di conoscenze ormai andate quasi in  disuso e di sapori perduti che può essere bello riscoprire (e poi,  permettetemi, sarà più bella una passeggiata attenta ai colori ed ai profumi  della natura o una corsa rinchiusi in se stessi con una cuffia stereo che ti  isola dal mondo, che inoltre è una pratica estremamente pericolosa?).
  La pratica della ricerca e  dell’utilizzo delle piante spontanee in cucina prende il nome di fitoalimurgia:  l’etimologia del termine deriva dal greco phytón (pianta) e dal latino alimenta urgentia (urgenza alimentare), a significare l’utilizzo delle piante raccolte in casi di  estrema necessità, quando non vi era null’altro di cui nutrirsi, anche se chiaramente  oggi il cibarsi di quanto ci offre la natura ha perso il significato di “ultima  spiaggia” per assumere invece quello di una cucina più attenta ai valori ed ai  sapori del territorio e della stagionalità.
  Ma prima di affrontare la  ricerca, la raccolta, e soprattutto l’utilizzo delle piante alimurgiche, è bene  conoscere alcune regole alle quali attenersi per non incorrere in inconvenienti  che potrebbero trasformare un piacevole passatempo in una esperienza da  dimenticare se non addirittura andare incontro a potenziali pericoli per la  nostra salute.
  Così come per i funghi, anche per  le piante risulta fondamentale la certezza del riconoscimento della specie: in  alcuni casi certe piante (spesso appartenenti alla stessa famiglia) si  somigliano fra loro, ma una specie è edibile mentre l’altra è addirittura  velenosa. E’ quindi indispensabile avere la certezza assoluta di quanto si sta  raccogliendo, magari affidandosi le prime volte alla consulenza di qualcuno più  esperto di noi, ricordando che alcune piante sono commestibili solo in alcune  parti, oppure cucinandole in un determinato modo, ecc. In ogni caso la  consultazione di un buon manuale è sempre il primo passo per evitare errori che  potrebbero rivelarsi fatali e, nell’incertezza, è sempre meglio soprassedere,  cercare di migliorare le proprie conoscenze e non avere timore di chiedere a  chi ha conoscenze botaniche più approfondite delle nostre.

Un esempio di piante che potrebbero essere confuse tra loro: a destra cicuta (Conium maculatum) e a sinistra angelica  (Angelica sylvestris).  Sono entrambe due Apiacee (o Ombrellifere): in questo caso il riconoscimento è  facilitato dal fatto che la cicuta, quando viene spezzata, emana un forte odore  di urina di gatto (Fonte: Wikimedia  Commons)
Altrettanto importante risulta il luogo di raccolta: vanno assolutamente evitate strade trafficate, bordi dei campi coltivati e trattati con antiparassitari o dove sono stati distribuiti reflui zootecnici, zone vicine a scarichi industriali o di altre tipologie, giardini pubblici frequentati da animali domestici, ecc. La salubrità e la qualità delle materie prime che ci portiamo in tavola è, intuitivamente, di fondamentale importanza per la nostra salute, e quindi grande attenzione dovremo riporre nella scelta sia del materiale raccolto, evitando quindi anche di raccogliere piante o parti di esse malate o ammuffite, sia del sito di raccolta.

Tarassaco (Taraxacum officinalis), una delle più comuni ed utilizzate  piante alimurgiche (Fonte Wikimedia  Commons)
Vi sono infine alcune norme  legislative da rispettare, che impongono o il divieto assoluto di raccolta di  alcune specie protette o la limitazione, in termini quantitativi, del materiale  prelevabile.
  La normativa nazionale di  riferimento è il Regio Decreto 26 maggio 1932, n. 772 “Elenco delle piante  dichiarate officinali” che elenca le specie per le quali vi sono limitazioni  nella detenzione di parti di pianta espresse in quantità di droga secca  detenibile per uso familiare: fra le altre vi appaiono la Bardana (Lappa  major, radici, 5 Kg), la Camomilla comune (Matricaria chamomilla,  fiori, Kg 10), il Genepì (Artemisia mutellina, A. spicata, A. glacialis, A.  nana, parti aeree, Kg 1), la Lavanda vera (Lavandola officinalis,  sommità fiorite, Kg 10), la Melissa (Melissa officinalis, foglie e  sommità fiorite, Kg 5), il Tarassaco (Taraxacum officinalis, radici, Kg  5), il Tiglio (Tilia species, fiori, Kg 10), il Timo volgare (Thymus  vulgaris, erba fiorita, Kg 10), la Valeriana (Valeriana officinalis,  radici, Kg 2), ecc.
  Sarebbe poi opportuno consultare  la normativa locale in materia: diverse Regioni (ma anche Province e Comuni)  hanno emanato leggi a tutela della flora spontanea che, come detto prima,  vietano o limitano la raccolta, ed a volte danno precise indicazioni su come  effettuare il prelievo in modo da non precludere la successiva ricrescita della  pianta asportata. Inoltre, se si procede alla raccolta all’interno di aree  protette, è buona cosa informarsi sulla eventuale esistenza di ulteriori  restrizioni rispetto alla normativa generale, in modo da non incorrere in  sanzioni a volte anche economicamente significative.
  Infine un appello al buon senso:  ricordate che state prendendo dalla Natura e che questa va rispettata. Non  raccogliete in maniera indiscriminata e non sradicate le piante per permetterne  la ricrescita, prelevate solo lo stretto indispensabile cercando di lasciare  qualche esemplare “in situ” al fine di garantirne la riproduzione, evitate di  raccogliere le specie protette (se lo sono, un motivo ci sarà), non siate  bramosi ed accontentatevi: è meglio una foglia in meno oggi ed una pianta in  più domani. 
Ezio Casali, iscritto all’Albo Provinciale degli Agrotecnici e degli Agrotecnici laureati di Cremona, insegna presso l’Istituto Tecnico Agrario Statale “Stanga” di Cremona. Si occupa di autocontrollo, soprattutto negli agriturismi, e di agricoltura multifunzionale. Curriculum vitae >>>
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