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di Giu­lia­no Rus­si­ni


Mol­tis­si­me cause na­tu­ra­li hanno mo­di­fi­ca­to senza sosta l’e­qui­li­brio della Na­tu­ra. I cam­bia­men­ti del clima, come quel­li do­vu­ti al­l’e­sten­der­si e al ri­ti­rar­si ci­cli­co dei ghiac­ciai po­la­ri, nel­l’e­ra Qua­ter­na­ria, la lenta e an­co­ra at­tua­le de­ri­va dei con­ti­nen­ti, l’ar­ri­vo in una re­gio­ne di nuove spe­cie di pre­da­to­ri o con­cor­ren­ti, le ma­lat­tie con­ta­gio­se e l’e­pi­zoo­zie; tutti que­sti fat­to­ri hanno agito sulle spe­cie ani­ma­li e ve­ge­ta­li, di cui al­cu­ne si sono adat­ta­te men­tre altre sono scom­par­se nel corso dei tempi.
Anche le at­ti­vi­tà umane come la cac­cia, l’in­tro­du­zio­ne di nuovi pre­da­to­ri e con­cor­ren­ti in aree geo­gra­fi­che che non li ospi­ta­va­no fino a quel mo­men­to (spe­cie alie­ne), e so­prat­tut­to la di­stru­zio­ne degli am­bien­ti, per mezzo di fe­no­me­ni d’in­qui­na­men­to, pos­so­no rom­pe­re in modo im­prov­vi­so l’e­qui­li­brio di in­te­ri eco­si­ste­mi e quin­di della Na­tu­ra.
Gli uo­mi­ni pri­mi­ti­vi (come visto nel­l’ar­ti­co­lo sto­ria na­tu­ra­le del rap­por­to tra Uo­mi­ni-Ani­ma­li pub­bli­ca­to sem­pre sulla Ri­vi­sta di Agra­ria.org) ster­mi­na­ro­no i gros­si mam­mi­fe­ri del­l’e­mi­sfe­ro Bo­rea­le, come il ri­no­ce­ron­te pe­lo­so e il Mam­mut. Ma con l’av­ven­to del­l’a­gri­col­tu­ra e suc­ces­si­va­men­te nei se­co­li, delle in­du­strie, l’in­si­dia degli uo­mi­ni verso le pian­te e gli ani­ma­li si è fatta par­ti­co­lar­men­te grave.


Di­stru­zio­ne degli am­bien­ti


Un am­bien­te pog­gia sul­l’e­qui­li­brio tra le ri­sor­se che lo ca­rat­te­riz­za­no e le sue co­mu­ni­tà ve­ge­ta­li e ani­ma­li sen­si­bi­li ai cam­bia­men­ti im­prov­vi­si cau­sa­ti dal­l’at­ti­vi­tà umana.
L’a­gri­col­tu­ra (che senza ombra di dub­bio ne­ces­sa­ria per sfa­ma­re l’es­se­re umano) ha pro­fon­da­men­te cam­bia­to la ve­ge­ta­zio­ne spon­ta­nea su im­men­se su­per­fi­ci e al­te­ra­to spes­so in modo ir­re­ver­si­bi­le l’am­bien­te di in­nu­me­re­vo­li spe­cie sel­vag­ge. Il di­sbo­sca­men­to, le col­tu­re in­ten­si­ve, l’e­sten­sio­ne delle pra­te­rie e l’e­ro­sio­ne del suolo, hanno de­gra­da­to gli am­bien­ti na­tu­ra­li. L’uso degli in­set­ti­ci­di ha per­tur­ba­to, in­sie­me alla cac­cia e alla pesca, nu­me­ro­se ca­te­ne ali­men­ta­ri.
Al­l’i­ni­zio del se­co­lo scor­so, la co­stru­zio­ne delle linee fer­ro­via­rie, delle stra­de, delle città ha com­ple­ta­men­te sop­pres­so in­te­ri ha­bi­tat. I ri­fiu­ti di ori­gi­ne do­me­sti­ca e in­du­stria­le hanno in­co­min­cia­to ad in­qui­na­re sem­pre più l’a­ria, il suolo, l’ac­qua, ele­men­ti in­di­spen­sa­bi­li alla vita di tutti. La tra­sfor­ma­zio­ne del­l’am­bien­te na­tu­ra­le del­l’uo­mo non è af­fat­to cosa re­cen­te.
In Afri­ca set­ten­trio­na­le, il dis­so­da­men­to delle fo­re­ste ad opera ini­zial­men­te degli in­di­ge­ni e poi degli An­ti­chi Ro­ma­ni, ha si­cu­ra­men­te con­tri­bui­to al­l’e­sten­sio­ne del de­ser­to sa­ha­ria­no.
La co­lo­niz­za­zio­ne del­l’A­me­ri­ca del Nord e l’e­span­sio­ne verso ovest della so­cie­tà agri­co­la e in­du­stria­le, sono av­ve­nu­te a de­tri­men­to degli ha­bi­tat ori­gi­na­li, come quel­lo dei bi­son­ti, per esem­pio.
In Afri­ca orien­ta­le, il pa­sco­lo ec­ces­si­vo ha ri­dot­to vaste esten­sio­ni di sa­va­na in zone se­mi­de­ser­ti­che.
L’i­so­la del Ma­da­ga­scar era un tempo com­ple­ta­men­te ri­co­per­ta da fo­re­sta, ma du­ran­te gli ul­ti­mi 1.000 anni, i quat­tro quin­ti degli al­be­ri, sono stati ab­bat­tu­ti o bru­cia­ti per fare posto al­l’al­le­va­men­to e al­l’a­gri­col­tu­ra. A causa di ciò gli ani­ma­li ti­pi­ci di que­sta isola, come i le­mu­ri, sono in pe­ri­co­lo d’e­stin­zio­ne.
Nel corso dei suoi viag­gi esplo­ra­ti­vi, l’uo­mo nel tempo ha tra­spor­ta­to varie spe­cie ani­ma­li, sia in­ten­zio­nal­men­te come anche per caso (lo stes­so per le ve­ge­ta­li), in­tro­du­cen­do­le in nuove aree geo­gra­fi­che, anche molto lon­ta­ne.
Uno dei casi più co­no­sciu­ti di pro­pa­ga­zio­ne oc­ci­den­ta­le, quel­lo del topo delle chia­vi­che, ori­gi­na­rio del­l’A­sia e dif­fu­so ora nel mondo in­te­ro; tale ani­ma­le è un fla­gel­lo per l’es­se­re umano e per i suoi rac­col­ti, poi­ché anche gra­ni­vo­ro e per­ché vet­to­re di agen­ti pa­to­ge­ni; inol­tre es­sen­do anche pre­da­to­re, è stato re­spon­sa­bi­le del­l’e­stin­zio­ne di al­me­no nove spe­cie di uc­cel­li inet­ti al volo, come lo scric­cio­lo del­l’I­so­la Ste­phen, nella Nuova Ze­lan­da.
Tra le spe­cie in­tro­dot­te de­li­be­ra­ta­men­te, in­ve­ce, fi­gu­ra­no: il cane, il gatto, il co­ni­glio, lo sco­iat­to­lo, vari uc­cel­li e la mag­gior parte degli ani­ma­li do­me­sti­ci.
I din­ghi, in­tro­dot­ti dal­l’uo­mo du­ran­te le sue mi­gra­zio­ni, circa 8.000 anni fa in Au­stra­lia dal­l’A­sia come cani da cac­cia, sono poi ri­tor­na­ti allo stato sel­va­ti­co (fe­ra­le) e ri­sul­ta­no pro­ba­bil­men­te es­se­re la causa prin­ci­pa­le del de­cli­no, fino al­l’e­stin­zio­ne, di nu­me­ro­se spe­cie di mar­su­pia­li come il lupo della Ta­sma­nia o “ti­la­ci­no”.
In altri paesi, le volpi, i ma­ia­li e i gatti (dove non esi­ste­va­no, prima del­l’av­ven­to degli oc­ci­den­ta­li), tor­na­ti allo stato sel­va­ti­co, hanno egual­men­te de­ci­ma­to la fauna au­toc­to­na.
La man­go­sta di Giava in­tro­dot­ta nelle An­til­le per com­bat­te­re i ser­pen­ti e i ratti, co­min­cia pre­da­re vari ani­ma­li in­di­ge­ni fino a estir­par­li, men­tre i ratti, con­ti­nua­ro­no a pro­spe­ra­re.
Spe­cial­men­te i so­le­no­don­ti, mam­mi­fe­ri in­set­ti­vo­ri pro­pri di Cuba e Haiti (So­le­no­don­te cu­ba­no So­le­no­don cu­ba­nus e So­le­no­don­te hai­tia­no So­le­no­don pa­ra­do­xus), hanno sof­fer­to in mi­su­ra grave.
Degli ani­ma­li do­me­sti­ci in­tro­dot­ti dal­l’es­se­re umano, il più di­strut­ti­vo si­cu­ra­men­te è la capra, che ha al­te­ra­to ra­di­cal­men­te gli eco­ti­pi me­di­ter­ra­nei e quel­lo di pa­rec­chie isole ocea­ni­che, come le Ga­la­pa­gos, man­gian­do­ne tutta la ve­ge­ta­zio­ne, la­scian­do il ter­re­no nudo, brul­lo co­per­to solo da ar­bu­sti; nelle Ga­la­pa­gos, que­sto stato è un fat­to­re li­mi­tan­te per le po­po­la­zio­ni di tar­ta­ru­ghe gi­gan­ti en­de­mi­che del­l’Ar­ci­pe­la­go.
In­fi­ne, per ci­ta­re un ul­ti­mo esem­pio, i pesci do­ra­ti, in­tro­dot­ti nei fiumi del Ma­da­ga­scar per ab­bel­lir­ne la fauna it­ti­ca flu­via­le, hanno eli­mi­na­to tutte le altre spe­cie di pesci en­de­mi­che d’ac­qua dolce.


Fiume inquinato: non riesce piu a scorrere l acqua
Fiume in­qui­na­to, non rie­sce più a scor­re­re l’ac­qua
(foto En­ci­clo­pe­dia: “The Human Spe­cies-Ox­ford press”, 1975)


In­qui­na­men­to del­l’am­bien­te, quan­ti guai ab­bia­mo com­bi­na­to e con­ti­nuia­mo a com­bi­na­re


Si può sen­ten­zia­re senza ri­schia­re di es­se­re la­pi­da­ti, che il solo agen­te in­qui­nan­te della Terra è “l’uo­mo”. Lo spa­zio e le ri­sor­se che il pia­ne­ta offre non sono più suf­fi­cien­ti a con­te­ne­re la cre­sci­ta esplo­si­va della po­po­la­zio­ne umana; i re­si­dui in­du­stria­li, gli in­set­ti­ci­di tos­si­ci e l’ac­cu­mu­lo dei ri­fiu­ti ur­ba­ni, stan­no crean­do dei mu­ta­men­ti ir­re­ver­si­bi­li della bio­sfe­ra.
Lo smog, un misto di fumo e neb­bia, causa ma­lat­tie pol­mo­na­ri e uc­ci­de es­se­ri umani e ani­ma­li, fi­nan­che le pian­te! Gli sca­ri­chi delle au­to­mo­bi­li con­ten­go­no piom­bo che si fissa ir­re­ver­si­bil­men­te nel­l’or­ga­ni­smo, so­prat­tut­to dei bam­bi­ni, in quel­lo degli ani­ma­li do­me­sti­ci e dei loro pro­dot­ti ali­men­ta­ri, carne, latte, ed è stato ri­tro­va­to per­fi­no in cam­pio­ni di neve e ghiac­cio al Polo Nord!
I fiumi e i corsi d’ac­qua sono in­qui­na­ti dai de­tri­ti fo­gna­ri, dagli sca­ri­chi delle fab­bri­che, ad esem­pio con so­stan­ze emul­sio­nan­ti dei de­ter­gen­ti che for­ma­no am­mas­si di schiu­ma: que­sti pri­va­no i pesci del­l’os­si­ge­no e, ta­lo­ra, ap­por­ta­no germi delle ma­lat­tie; op­pu­re dagli in­set­ti­ci­di e dai fer­ti­liz­zan­ti, con cui ven­go­no inon­da­te le col­tu­re.
Gli in­set­ti­ci­di hanno fre­na­to in al­cu­ni casi lo svi­lup­po di in­set­ti no­ci­vi e fi­to­pa­to­ge­ni, mi­glio­ran­do la vita di in­te­re co­mu­ni­tà ma gli ef­fet­ti col­la­te­ra­li sono stati de­va­stan­ti.
Il DDT per­si­ste nel­l’am­bien­te es­sen­do sta­bi­le chi­mi­ca­men­te e at­tra­ver­so le ca­te­ne ali­men­ta­ri lo si ri­tro­va nei tes­su­ti umani e ani­ma­li, come ad esem­pio nel tes­su­to adi­po­so degli orsi po­la­ri! I bio­lo­gi so­spet­ta­no che pos­sa­no ren­de­re ste­ri­li ani­ma­li come il falco pel­le­gri­no, così mi­nac­cian­do­ne la so­prav­vi­ven­za.
In mare i re­si­dui degli idro­car­bu­ri hanno con­se­guen­ze apo­ca­lit­ti­che sulla com­ples­sa vita ani­ma­le e ve­ge­ta­le sot­to­ma­ri­na, dal li­vel­lo mo­no­cel­lu­la­re a quel­lo plu­ri­cel­lu­la­re, agen­do anche sugli uc­cel­li ma­ri­ni e quin­di nel­l’am­bien­te su­bae­reo e aereo; tutto sog­get­to a un ef­fet­to “do­mi­no”.
Non pos­si­bi­le tro­va­re una so­lu­zio­ne im­me­dia­ta e ge­ne­ra­le per ogni cosa, ma si deve a tutti i costi ap­pro­fon­di­re e met­te­re in pra­ti­ca le so­lu­zio­ni mi­glio­ri e im­me­dia­te, il più ve­lo­ce­men­te pos­si­bi­le, per­ché an­co­ra siamo in tempo per evi­ta­re di en­tra­re in un tun­nel senza più usci­te.
Un ap­proc­cio di cui par­le­re­mo in un pros­si­mo ar­ti­co­lo, quel­lo della con­ser­va­zio­ne delle ri­sor­se na­tu­ra­li e della ge­stio­ne della fauna e flora in ter­mi­ni eco-so­ste­ni­bi­li, ma non basta a sal­va­re l’am­bien­te, per­ché se da un lato dob­bia­mo di­fen­de­re la Na­tu­ra, non pos­sia­mo certo farlo di­sin­te­res­san­do­ci degli es­se­ri umani!
Per que­sto è ne­ces­sa­rio, senza li­mi­ta­zio­ni po­li­ti­che, re­li­gio­se, et­ni­che, co­sti­tui­re co­mi­ta­ti mon­dia­li in cui, a dif­fe­ren­za di quel­lo che ac­ca­de oggi, scien­zia­ti, po­li­ti­ci, eco­no­mi­sti, so­cio­lo­gi, sto­ri­ci de­vo­no af­fron­ta­re il più con­cre­ta­men­te pos­si­bi­le tale im­men­so pro­ble­ma che pende sopra le no­stre teste come una spada di Da­mo­cle.
Con­clu­do con un motto in­ven­ta­to negli anni ’60 del se­co­lo scor­so da uno dei miei bio­lo­gi pre­fe­ri­ti (amato tanto anche dal gran­de bio­lo­go ita­lia­no prof. Gior­gio Celli), re­cen­te­men­te scom­par­so e a cui mando una pre­ghie­ra, Renè Dubos: “Pensa glo­bal­men­te, agi­sci lo­cal­men­te!”, in quel pe­rio­do tale frase era in­ter­pre­ta­ta giu­sta­men­te, nel senso di agire nelle pro­prie con­di­zio­ni lo­ca­li, nel modo mi­glio­re per­ché la ri­sul­tan­te glo­ba­le, somma delle sin­go­le real­tà lo­ca­li, fosse un mondo più pu­li­to.
Oggi la in­ter­pre­te­rei, come ac­cen­na­to prima, che nel mondo si uni­sca­no tutti, per­ché si trovi una so­lu­zio­ne lo­ca­le (senza pen­sa­re sem­pre e solo al gua­da­gno), per quel­la che è la casa di tutti noi, la Terra, evi­tan­do, come la bio­lo­ga ame­ri­ca­na Ra­chel Car­son scris­se su un suo ce­le­bre libro, nella prima metà del se­co­lo XX, un’al­tra “Pri­ma­ve­ra Si­len­zio­sa”.


Inquinamento marino
In­qui­na­men­to ma­ri­no (foto En­ci­clo­pe­dia: “The Human Spe­cies-Ox­ford press”, 1975)


Giu­lia­no Rus­si­ni è lau­rea­to in Scien­ze Bio­lo­g­i­che al­l’U­ni­ver­si­tà La Sa­pien­za di Roma, con spe­cia­liz­za­zio­ne in bo­ta­ni­ca e zoo­lo­gia; suc­ces­si­va­men­te ha con­se­gui­to in UK e Fran­cia la spe­cia­liz­za­zio­ne in et­no­bio­geo­gra­fia. La­vo­ra come cu­ra­to­re al Giar­di­no Eso­ti­co di Hen­daye, Fran­cia. (e-mail: rus­si­ni­giu­lia­no@​yahoo.​it).


 






Uomo ambiente sviluppo

Uomo, Am­bien­te e Svi­lup­po
Dario Giar­di, Tra­pa­ne­se Va­le­ria – Geva Edi­zio­ni


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