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di Eu­ge­nio Coz­zo­li­no

Il ta­bac­co greg­gio è an­co­ra oggi una ri­sor­sa eco­no­mi­ca stra­te­gi­ca, di cru­cia­le im­por­tan­za per il pas­sa­to, il pre­sen­te e il fu­tu­ro di al­cu­ne co­mu­ni­tà ru­ra­li. Si trat­ta senza dub­bio di una col­tu­ra che ha un forte im­pat­to sul­l’oc­cu­pa­zio­ne, per­ché molte fasi del pro­ces­so di pro­du­zio­ne (rac­col­ta delle fo­glie, at­ti­vi­tà agri­co­le po­st-rac­col­ta e prima tra­sfor­ma­zio­ne in­du­stria­le) non pos­so­no es­se­re del tutto mec­ca­niz­za­te e de­vo­no es­se­re ese­gui­te ma­nual­men­te. Il ta­bac­co, inol­tre, si adat­ta fa­cil­men­te a con­di­zio­ni cli­ma­ti­che e a suoli «dif­fi­ci­li», e ciò per­met­te la col­ti­va­zio­ne anche in zone svan­tag­gia­te, come quel­le in cui l’a­gri­col­tu­ra e i set­to­ri non agri­co­li for­ni­sco­no solo poche o nes­su­na al­ter­na­ti­va va­li­da dal punto di vista so­cio-eco­no­mi­co. Inol­tre, la pro­du­zio­ne e la tra­sfor­ma­zio­ne del ta­bac­co greg­gio sono ca­rat­te­riz­za­te da un’e­le­va­ta quota di la­vo­ro fem­mi­ni­le, che negli im­pian­ti di tra­sfor­ma­zio­ne su­pe­ra il cin­quan­ta per cento della forza la­vo­ro com­ples­si­va, fa­vo­ren­do pro­ces­si di eman­ci­pa­zio­ne assai si­gni­fi­ca­ti­vi. (No­mi­sma 2014).
Que­sto ar­ti­co­lo è il quar­to di un ciclo di pub­bli­ca­zio­ni sulle va­rie­tà di ta­bac­co (quasi tutte ora­mai non più col­ti­va­te da de­cen­ni) che hanno per­mes­so a par­ti­re dalla fine del di­cian­no­ve­si­mo se­co­lo l’af­fer­ma­zio­ne e il suc­ces­so della ta­bac­chi­col­tu­ra ita­lia­na nel con­te­sto in­ter­na­zio­na­le. Gli scrit­ti sono estrat­ti in modo sin­te­ti­co dal testo del Dott. Ni­co­la Spa­ra­no dal ti­to­lo “Ta­bac­chi Greg­gi In­di­ge­ni”.

Moro di Cori

tabacco italiano moro di cori
Pian­ta in fio­ri­tu­ra di Moro di Cori

L’o­ri­gi­ne di que­sto ta­bac­co non è nota. Stan­do alle tra­di­zio­ni con­ser­va­te a Cori, le prime pian­ta­gio­ni di Moro ri­sal­go­no al­l’e­po­ca del­l’im­pe­ro di Na­po­leo­ne I. Certo è che nes­su­na col­ti­va­zio­ne di ta­bac­co esi­ste­va nel Lazio prima del 1750 se si deve pre­sta­re fede al­l’a­ba­te Gras­si che in quel­l’an­no pub­bli­ca­va a Jesi un suo Di­scor­so sul­l’u­ti­le e ne­ces­si­tà di in­tro­dur­re la pian­ta­gio­ne del ta­bac­co degli Stati Pon­ti­fi­ci. Fino al 1830 le col­ti­va­zio­ni di Moro fu­ro­no man­te­nu­te li­be­re con ob­bli­go però per i pro­dut­to­ri di ven­de­re il pro­dot­to a Roma alla Corte Pon­ti­fi­cia, la quale prov­ve­de­va a far con­fe­zio­na­re del­l’ot­ti­mo ta­bac­co da fiuto. Nel 1831 sotto Papa Gre­go­rio XVI, la col­ti­va­zio­ne del Moro fu sog­get­ta a mo­no­po­lio. Que­sto tipo di ta­bac­co, col­ti­va­to per qual­che anno nel Vi­ter­be­se e nell’ Are­ti­no si lo­ca­liz­zò esclu­si­va­men­te nel co­mu­ne di Cori.

Le pian­ta del moro è ca­rat­te­riz­za­ta dalla fo­glia a pic­ciuo­lo leg­ger­men­te alato, con l’ala spic­ca­ta­men­te ar­ric­cia­ta de­cor­ren­te sullo stelo e dai fiori di­spo­sti in pan­noc­chia piut­to­sto dif­fu­sa, con co­rol­la a lembo rosso. È stata bo­ta­ni­ca­men­te ascrit­ta alla Ni­co­tia­na Ta­ba­cum, va­rie­tà fru­ti­co­sa ibri­da­ta con le va­rie­tà ha­va­nen­sis e ma­cro­phyl­la, dalle quali ul­ti­me avreb­be de­ri­va­to il gusto dolce l’a­ro­ma gra­de­vo­le.  Essa ha un ele­gan­te por­ta­men­to con le ampie e ton­deg­gian­ti fo­glie di un bel verde cupo che con­ser­va­no sullo stelo una po­si­zio­ne quasi eret­ta. Alta nel suo sta­dio di com­ple­ta fio­ri­tu­ra circa metri 1,70 al mas­si­mo porta da 20 a 25 fo­glie com­pre­se quel­le api­ca­li pic­co­lis­si­me. E’ l’u­ni­co ta­bac­co in­di­ge­no della Sec­tio Ta­ba­cum a fo­glia pic­cio­la­ta anche se al­cu­ne pian­te non pre­sen­ta­no que­sto ca­rat­te­re e ven­go­no in­di­ca­te come Moro Ses­si­le.

Il ter­ri­to­rio di Cori tro­van­do­si si­tua­to nella parte me­ri­dio­na­le del Lazio è ben ri­pa­ra­to dai venti fred­di a mezzo della ca­te­na dei Le­pi­ni, gode di un clima più caldo che non sia quel­lo ge­ne­ra­le del Lazio stes­so. Di­spo­sto per lo più in col­li­ne il ter­re­no di Cori col­ti­va­to a ta­bac­co si pre­sen­ta piut­to­sto sciol­to e pro­fon­do ricco di si­li­ce e si­li­ca­ti e ben for­ni­to di calce anche di ele­men­to po­tas­si­co e di humus.  Nella se­con­da quin­di­ci­na di di­cem­bre o al più tardi gen­na­io si se­mi­na detta va­rie­tà in cas­so­ni ru­sti­ci al letto semi caldo che si ri­co­pro­no di pa­glia. Quan­do le pian­ti­ne   hanno rag­giun­to l’al­tez­za di 3 cm si pas­sa­no da que­sto al vi­va­io dove re­sta­no fino alla prima quin­di­ci­na di apri­le epoca in cui ven­go­no tra­pian­ta­te in campo. Ge­ne­ral­men­te du­ran­te il mese di marzo ov­ve­ro se la sta­gio­ne sia pro­pi­zia alla fine di feb­bra­io si pre­pa­ra­no i ter­re­ni per la pian­ta­gio­ne. Nor­mal­men­te in que­sti ter­re­ni si pra­ti­ca la sta­bu­la­zio­ne o il so­ve­scio di fave e lu­pi­ni in­te­gra­ti da una mo­de­sta con­ci­ma­zio­ne fo­sfo-azo­ta­ta. Le pian­te si col­lo­ca­no a di­mo­ra alla di­stan­za di 75 cm tra di loro in ogni senso in modo da avere circa 18000 pian­te per et­ta­ro. Quan­do la pian­ta ha emes­so in­tor­no a 10 fo­glie com­pre­se quel­le lam­ben­ti terra si cima senza aspet­ta­re così la sboc­cia­tu­ra del fiore. Delle 10 fo­glie ri­ma­ste sulla pian­ta il col­ti­va­to­re ne al­le­va però solo da 7 a 8 come utili men­tre le prime 2 o 3 lam­ben­ti terra dopo l’ad­de­bi­to le di­strug­ge. Nel mese di lu­glio da due a tre gior­ni dopo l’ad­de­bi­to i mi­glio­ri col­ti­va­to­ri co­min­cia­no la rac­col­ta. Stac­ca­no in una sola volta le prime tre fo­glie di bassa co­ro­na che fanno leg­ger­men­te in­gial­li­re in con­cal­da do­po­di­ché le in­fil­za­no e le col­lo­ca­no in sten­dag­gi fre­schi come can­ti­ne onde il pro­sciu­ga­men­to non av­ven­ga ra­pi­da­men­te. A se­gui­re la rac­col­ta delle ri­ma­nen­ti fo­glie solo quan­do evi­den­zia­no ben mar­ca­ti i segni della ma­tu­ri­tà. Quan­do le fo­glie hanno com­ple­ta­to il pro­ces­so di cura si di­sfan­no le filze e si cer­ni­sco­no in 4 clas­si. Con le fo­glie di cia­scu­na clas­se ac­cu­ra­ta­men­te spia­na­te si for­ma­no poi dei fa­sci­co­li di 50 fo­glie cia­scu­no, le­ga­te in­sie­me per il pic­cio­lo e si di­spon­go­no in pic­co­le masse a fer­men­ta­re leg­ger­men­te. Quan­do si nota un ec­ces­si­vo ri­scal­da­men­to si pro­ce­de a dei ri­vol­gi­men­ti. A di­cem­bre-gen­na­io il pro­dot­to viene con­se­gna­to allo Stato, nei cui ma­gaz­zi­ni si di­spo­ne in masse che rag­giun­go­no l’en­ti­tà anche di 100 quin­ta­li. A tra­sfor­ma­zio­ni av­ve­nu­te com­ple­ta­men­te, le masse si de­mo­li­sco­no ed il Moro viene con­di­zio­na­to in balle di circa 2 quin­ta­li cia­scu­na.

La fo­glia del Moro di Cori, dalla ca­rat­te­ri­sti­ca sa­go­ma a cuore, è lunga in media 50 cen­ti­me­tri e larga 40. Il tes­su­to è spes­so, gros­so, con ner­va­tu­re gros­so­la­ne ed assai poco com­bu­sti­bi­le. Con la fer­men­ta­zio­ne as­su­me un co­lo­re mar­ro­ne piut­to­sto scuro. Il con­te­nu­to in al­ca­loi­di sul secco si ag­gi­ra sul 5%.
Usato ori­gi­na­ria­men­te per le pol­ve­ri da fiuto ri­ser­va­te alla Curia Ro­ma­na, per la sua fra­gran­za e il gra­de­vo­le aroma di man­dor­la amara, fu poi con­fe­zio­na­to dal Mo­no­po­lio con il nome di No­stra­le.

foglie tabacco moro di cori
Fo­glia cu­ra­ta di Moro di Cori

Bi­blio­gra­fia con­sul­ta­ta

No­mi­sma, 2014 – XVI Rap­por­to sulla fi­lie­ra del ta­bac­co in Ita­lia.
Rossi U., 1937 – I ta­bac­chi greg­gi ita­lia­ni. Ist. Gra­fi­co Van­zet­ti e Va­no­let­ti-Mi­la­no.
Spa­ra­no N., 1906 – Ta­bac­chi greg­gi in­di­ge­ni. Ti­po­gra­fia El­ze­vi­ria­na-Ro­ma.

Eu­ge­nio Coz­zo­li­no: Lau­rea in Scien­ze Agra­rie, con­se­gui­ta pres­so la fa­col­tà di Agra­ria del­l’U­ni­ver­si­tà di Na­po­li “Fe­de­ri­co II”. Abi­li­ta­zio­ne al­l’e­ser­ci­zio della pro­fes­sio­ne di Agro­no­mo.
Com­po­nen­te della “Lista na­zio­na­le degli ispet­to­ri pre­po­sti al con­trol­lo degli enti od or­ga­ni­smi ri­co­no­sciu­ti ido­nei ad ef­fet­tua­re le prove uf­fi­cia­li ai fini della re­gi­stra­zio­ne dei pro­dot­ti fi­to­sa­ni­ta­ri” isti­tui­ta dal Mi­ni­ste­ro delle Po­li­ti­che Agri­co­le e Fo­re­sta­li. Di­pen­den­te dal 1987 nel ruolo tec­ni­co del Mi­paaf e suc­ces­si­va­men­te come Col­la­bo­ra­to­re tec­ni­co nei ruoli del CRA (Con­si­glio per la Ri­cer­ca in Agri­col­tu­ra) di­ve­nu­to CREA (Con­si­glio per la ri­cer­ca in agri­col­tu­ra e l’a­na­li­si del­l’e­co­no­mia agra­ria) a par­ti­re dal­l’an­no 2015. E’ au­to­re di un cen­ti­na­io di pub­bli­ca­zio­ni scien­ti­fi­che e di­vul­ga­ti­ve.
Cur­ri­cu­lum vitae >>>

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