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di Mattia Andreola e Francesca Forno

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Le misure di contenimento applicate dal governo centrale e dalle amministrazioni regionali con l’obiettivo di arginare la pandemia hanno avuto un grande impatto sulle nostre abitudini di consumo. Non solo i consumi generali si sono ridotti drasticamente per quantità e varietà, ma hanno subito anche cambiamenti nelle modalità di approvvigionamento. Il lockdown ha infatti dato una forte spinta al consumo online. Durante la cosiddetta “Fase 1”, i maggiori cambiamenti hanno riguardato il settore primario, uno dei pochi settori produttivi rimasti attivi in quanto essenziale. I cambiamenti che hanno percorso quest’area produttiva non sono stati né banali né scontati.

A questo riguardo, già nei primi giorni del lockdown, alcune indagini hanno rilevato come vi fosse stato un aumento significativo nell’acquisto di prodotti ortofrutticoli biologici, oltre ad un aumento generale delle vendite di frutta e verdura [1]. Veniva inoltre rilevato come durante il lockdown fosse ritornato il gusto del cucinare e del mangiare assieme anche a conseguenza della chiusura dei ristoranti [2]. Le persone sembravano dunque porre maggiore attenzione alla qualità, quantità e provenienza del cibo acquistato. Oltre a ciò si è osservata anche una diminuzione dello spreco alimentare spesso attribuito alla maggiore disponibilità di tempo che avrebbe favorito una maggiore pianificazione dei consumi [3].

Il lockdown non modifica solo le modalità di acquisto. Le misure di contenimento stimolano anche l’emergere di alcune interessanti innovazioni, tra cui la diffusione della consegna a domicilio di prodotti ortofrutticoli locali. Durante la quarantena produttori e consumatori hanno infatti saputo velocemente riconnettere produzione e consumo.

Questi cambiamenti hanno interessato anche la città e il territorio trentino ed è proprio al fine di monitorare e approfondire queste nuove modalità di acquisto e vendita che nell’ambito del progetto Nutrire Trento [4] ha preso avvio il progetto Nutrire Trento #Fase2 (denominato così per la partenza in concomitanza con la seconda fase delle restrizioni). Il progetto, durato 9 settimane, ha preso avvio il 15 maggio 2020, ed è consistito nella predisposizione di un supporto alla vendita diretta per le aziende agricole del territorio intenzionate a proporre i propri prodotti alle famiglie residenti in città interessate ad acquistare a loro volta prodotti agricoli locali ricevendoli direttamente a casa. Oltre al prendere parte agli ordini settimanali, la partecipazione al progetto ha comportato anche la compilazione di tre questionari, sia per le famiglie che per i produttori, così da poter monitorare i cambiamenti nelle modalità di acquisto diventati una necessità durante il lockdown al fine di  approfondire da un lato motivazioni e cambiamenti, dall’altro la sostenibilità nel tempo delle nuove forme di approvvigionamento stimolate dal lockdown.

Attraverso una presentazione attraverso un comunicato stampa del Comune di Trento, successivamente ripreso dai quotidiani locali e diffusosi sui social, ha coinvolto 68 famiglie e 15 produttori.

Gli aderenti al progetto

Per quanto riguarda i nuclei familiari di consumatori che hanno aderito al progetto, si tratta di persone mediamente molto istruite, spesso impiegati del settore pubblico che dichiarano di non aver percepito particolari contraccolpi economici a causa della pandemia, in quanto nella maggior parte dei casi hanno continuato a lavorare in presenza o in smart working. I produttori sono stati per lo più agricoltrici, con un’età media di 44 anni e con un livello d’istruzione piuttosto alto. Si è trattato principalmente di titolari di aziende di recente fondazione e di piccole dimensioni, con una Superficie Agricola Utilizzata inferiore alla media provinciale di 8,3 ettari [5], ma anche con pochi dipendenti, spesso componenti del nucleo familiare. Questi, invece hanno avvertito alcune difficoltà economiche a causa della pandemia.

Le motivazioni

Come è stato spesso sottolineato nella letteratura scientifica sul tema, il ricorso a forme di approvvigionamento alternativo non sembra aver avuto anche in questo caso esclusivamente motivazioni strumentali. Un dato questo che si conferma anche nel periodo di lockdown. Come dimostrato dai nostri dati, infatti, le forme di approvvigionamento che si basano sulla “filiera corta” hanno spesso alla base anche motivazioni “solidali”.

Il 20% dei nuclei familiari riporta che la ragione principale che li ha portati ad aderire al progetto è la credenza che si tratti di un’iniziativa giusta, mentre il 38% crede che questo generi un’attività più sostenibile dal punto di vista ambientale e il 29% si è avvicinato per la possibilità di mangiare cibi biologici e sostenibili. In un caso è stata esplicitata anche la determinazione di voler partecipare all’esperimento per valutare un’economia alternativa alla grande distribuzione. Non mancano comunque persone che hanno aderito al progetto per la possibilità di ricevere la spesa direttamente a domicilio (7%) o anche semplicemente per curiosità.

Per quanto riguarda i produttori, se il motivo maggiormente menzionato è la volontà di incrementare le vendite, quasi un produttore su 4 afferma di aver aderito al progetto motivato dalla volontà di voler costruire nuove relazioni. Tra i produttori, inoltre, sono in due ad affermare di essersi uniti al progetto perché ritengono che si tratti di un’iniziativa giusta. In altri due casi perché attratti dalla possibilità di generare un’attività più sostenibile.

La dieta durante il lockdown

Durante l’emergenza Coronavirus anche i partecipanti al nostro progetto hanno adottato una dieta più varia e abbondante, dedicando anche più tempo alle attività culinarie: il 33% dei consumatori rivela di aver mangiato più del normale, ben il 60% dichiara di aver adottato una dieta più varia e l’87% di aver cucinato più del solito. Questi dati mostrano uno scenario coerente con quanto rilevato dal già citato rapporto di Altroconsumo. Rispetto al periodo pre-Covid sono emersi alcuni cambiamenti anche nelle modalità di acquisto dei beni alimentari, come mostra il Grafico 1. Ad esempio, l’80% dei consumatori afferma di non aver mai fatto la spesa presso ipermercati o comunque meno del solito. Inoltre, emerge che quasi la stessa percentuale di rispondenti, il 78%, afferma lo stesso riguardo ai discount e più della metà (53%) riguardo ai supermercati. Si nota, al contrario, che si è verificato un aumento rilevante presso i negozi di vicinato ed i produttori locali (35%), dell’e-commerce (33%) e soprattutto della modalità di consegna a domicilio, con il 60% delle famiglie che afferma di avervi fatto affidamento più spesso rispetto al periodo pre-lockdown. Se i dati relativi alla Grande Distribuzione Organizzata non sorprendono, in quanto coerenti con le altre indagini del periodo, l’aumento presso le reti alternative del cibo è, invece, in controtendenza coi dati nazionali che sono decisamente più contenuti.

Grafico 1: Percentuale di risposte “Più spesso di prima” alla domanda: «Rispetto alla “vita normale”, quali punti vendita o servizi hai utilizzato di più o di meno del solito per fare la spesa?»

grafico

Oltre a ciò, differenze interessanti riguardano anche i prodotti acquistati: il 64% dichiara di non aver acquistato mai alimenti surgelati o comunque in misura minore rispetto al normale, percentuale simile a quella registrata per i prodotti confezionati industriali come merendine, snack, sughi pronti etc. Al contrario, il 18% dichiara di aver acquistato più spesso prodotti biologici, dato in controtendenza a quello dei negozi biologici e che suggerisce quindi che gli utenti si siano riforniti di questi beni tramite altri canali. Anche l’origine dei cibi pare fare la differenza tra i nostri partecipanti, dove quasi un quarto del campione (24%) afferma di aver acquistato più spesso del normale prodotti italiani e quasi la metà del campione, il 44%, dichiara lo stesso per quanto riguarda i prodotti locali. Su questi dati i vari rapporti nazionali hanno condotto a risultati contrastanti, a parte per la crescita dei consumi di prodotti ortofrutticoli freschi di stagione, confermata da più fonti.

Lo spreco alimentare durante il lockdown

Un’altra tematica approfondita nei questionari è quella dello spreco alimentare durante la pandemia. Dalle domande sul tema, emerge che rispetto a prima dell’emergenza Covid-19 più della metà dei nuclei familiari (55%) afferma di aver gettato nella spazzatura meno cibo del solito. Anche i nostri dati confermano come la riduzione degli sprechi sia stata favorita da una miglior programmazione degli acquisti.

A questo riguardo, il 73% di coloro che hanno compilato il questionario afferma come durante il periodo delle restrizioni dovuta al COVID-19 ha controllato sempre il contenuto del frigorifero e della dispensa prima di fare la spesa, a cui va ad aggiungersi un altro 15% che afferma di averlo fatto spesso. Oltre a ciò il 58% afferma di aver pianificato sempre i pasti durante la settimana o comunque spesso. Quasi tutto il campione (97%) afferma inoltre di aver compilato spesso o addirittura sempre una lista della spesa prima di eseguire gli acquisti e l’82% dei partecipanti afferma di aver rispettato sempre o comunque spesso la lista redatta. Alcune vecchie abitudini, dunque, come quelle dell’autoproduzione del proprio cibo o la programmazione di quanto e cosa acquistare, sono tornate con il lockdown e vanno a beneficio della sostenibilità intesa nella sua triplice dimensione: ambientale, sociale e economica.

Qualche conclusione

Le modalità di consumo emerse per necessità durante il lockdown hanno dunque avuto degli effetti collaterali che se mantenuti e potenziati, potrebbero essere di estremo interesse per garantirci un futuro più sostenibile. Sono diverse le indicazioni emerse da questa piccola ma significativa ricerca.

Oltre a rispondere ai questionari, infatti, i partecipanti alla ricerca hanno partecipato agli ordini settimanali. Naturalmente anche questa parte dell’iniziativa è stata monitorata attentamente e questo ci ha permesso di far alcune interessanti indicazioni. Con il passare delle settimane, si è assistito ad un calo progressivo nella partecipazione agli ordini. Le cause sono molteplici e sono state spesso indicate dagli stessi partecipanti: in primis, la macchinosità degli strumenti predisposti per gli ordini (gli ordini sono stati gestiti manualmente e non tramite una piattaforma digitale che avrebbe potuto facilitare l’incontro diretto tra domanda e offerta). In secondo luogo, la crescita repentina della domanda di prodotti locali non ha permesso un’adeguata programmazione delle semine da parte dei produttori che infatti non avevano un’offerta sufficiente a coprire la richiesta di prodotti, soprattutto ortofrutticoli. Spesso sono state riportate anche lamentele per la scomodità delle consegne plurime, in quanto non esisteva un contratto di rete tra i produttori e ciò imponeva ad ognuno di eseguire le proprie consegne personalmente, moltiplicando i tempi d’attesa per i consumatori e i costi per il trasporto. Di conseguenza, l’impossibilità di ottimizzare le consegne ha comportato la creazione di un minimale di spesa, talvolta giudicato troppo alto per incoraggiare gli acquisti. Infine, con l’allentamento delle misure restrittive, il ritorno dei normali ritmi di vita e di lavoro e l’arrivo del periodo delle ferie estive, meno persone erano disposte ad attendere a casa le consegne.

In sintesi, la consegna a domicilio e la vendita diretta potrebbe rappresentare un ulteriore canale di vendita per i produttori locali. Tuttavia, oltre ad aver bisogno di adeguati strumenti che rendano vendita e acquisto diretto più semplice e immediato (ad esempio, attraverso la predisposizione di una adeguata piattaforma online), per essere sostenibile nel tempo questa modalità necessita di un ripensamento più ampio sia sul lato della domanda che su quello dell’offerta. Sul lato produttori è evidente come questo tipo di vendita possa funzionare aumentando il coordinamento tra chi produce e tra chi produce e chi consuma. Aumentare coordinamento e cooperazione non appare tuttavia sufficiente. In particolare, come è emerso dai questionari rivolti ai nuclei familiari, l’acquisto di cibo è legato strettamente al nostro stile di vita. Il ritorno alla “normalità” ha infatti significato per molti il dover presto rinunciare anche a ciò che si era rimparato a riconoscere e rivalorizzare come “buona abitudine” per sé, per gli altri e per l’ambiente.

 

Riferimenti bibliografici:

[1] Nomisma-CRIF (2020) 1 italiano su tre ha aumentato i consumi domestici di frutta e verdura durante il Lockdown” – Osservatorio “The world after lockdown”. Link: https://www.crif.it/area-stampa/comunicati-stampa/2020/maggio/1-italiano-su-tre-ha-aumentato-i-consumi-domestici-di-frutta-e-verdura-durante-il-lockdown/

[2] Altroconsumo (2020)Coronavirus e alimentazione: meno spreco, più cucina e attenzione ai prezzi” – Indagine. Link https://www.altroconsumo.it/alimentazione/fare-la-spesa/news/coronavirus-cambiano-consumi-e-spesa

[3] Waste Watcher last minute market /Swg (2020) “Con il coronavirus più acquisti di cibo ma meno sprechi”- https://www.repubblica.it/cronaca/2020/05/14/news/con_il_coronavirus_piu_acquisti_di_cibo_ma_meno_sprechi-256543575/?ref=RHPPLF-BH-I256572147-C4-P12-S1.4-T1

[4] Nutrire Trento (www.nutriretrento.it) è un progetto partecipativo avviato e coordinato del Comune e dell’Università di Trento che coinvolte gli attori della filiera locale del cibo.

[5] Provincia Autonoma di Trento (2020) “Programma di Sviluppo Rurale (Regionale) – Trento”. Link: http://www.psr.provincia.tn.it/Sviluppo-Rurale-2014-2020/Scarica-Materiale/PSR-2014-2020

 

Mattia Andreola è assegnista di ricerca nell’ambito del progetto Saturn (System and sustainable Approach to virTuous interaction of Urban and Rural LaNdscapes), Università di Trento. Email: mattia.andreola@unitn.it

 

Francesca Forno è responsabile scientifico del progetto Nutrire Trento e docente di sociologia dei consumi, Università di Trento.

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