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di Donato Ferrucci


Il miele è un prodotto di grande tradizione nel panorama agroalimentare italiano, sia per la sua valenza salutistica che per le evocazioni ambientali che questo richiama. Dal punto di vista normativo è un prodotto piuttosto articolato in quanto alla legislazione “orizzontale”, valida per tutti i prodotti agroalimentari, aggiunge una serie di dettati specifici, di natura quindi “verticale”, ovvero applicabili al solo prodotto “miele”. Le menzioni in etichetta, pertanto, assumono la seguente configurazione:


a) denominazione di vendita: “Miele”. E’ fatto divieto di denominare come miele un prodotto che è stato addizionato con altri ingredienti, anche quando il miele fosse ingrediente principale o predominante. La denominazione è quindi riservata solo ai prodotti ottenuti dall’operato delle api senza ulteriori interventi dall’esterno;


b) L’origine floreale, elemento facoltativo ma comunque regolamentato. Si può quindi inserire l’informazione, avendo cura di rimanere nei limiti indicati da diversi dettati legislativi (Es. Miele di Acacia, Miele di Millefiori, Miele di Bosco);


Non è consentita l’indicazione di “Miele di Prato” o “Miele di Montagna”. L’indicazione “Miele di Bosco” è stata reintrodotta con Circolare Mipaf del 12 Luglio 2007, riservando tale denominazione ai mieli ottenuti prevalentemente da melate di bosco. La definizione “millefiori” è invece riservata solo ai prodotti ottenuti in modo naturale, senza intervento dell’uomo nella realizzazione della miscela.


c) il paese di origine, definito come il paese in cui il miele è stato raccolto, è elemento obbligatorio (Es. Italiano);


d) L’origine territoriale, attributo facoltativo e di possibile espressione solo nel caso in cui il prodotto sia interamente proveniente dall’area indicata (es. Parco dei Monti Allegri);


e) la quantità, netta o nominale. Nel caso di prodotti preconfezionati in quantità unitarie costanti, va indicata sulla confezione la quantità nominale definita come la massa o il volume indicato sull’imballaggio e corrisponde alla quantità di prodotto netto che si ritiene debba contenere. La quantità netta di un preimballaggio è la invece la quantità effettiva che esso contiene al netto della tara. Ciò comporta che quantità netta (effettiva) sia tendenzialmente superiore, per garanzia del produttore, a quella nominale (dichiarata e promessa in confezione). La quantità deve essere espressa in unità di massa (Kg o g).


f) il termine minimo di conservazione. Il termine minimo di conservazione è la data fino alla quale il prodotto alimentare mantiene le sue proprietà in adeguate condizioni di conservazione; si indica con “da consumarsi preferibilmente entro” quando la data prevede l’indicazione del giorno (es. 12/15/2015) o con la dicitura “da consumarsi preferibilmente entro la fine” negli altri casi (es. 12/2015).
Il termine minimo di conservazione si compone dell’indicazione nell’ordine, del giorno, del mese e dell’anno e può essere espresso:
-) con l’indicazione del giorno e del mese per i prodotti alimentari conservabili per meno di tre mesi;
-) con l’indicazione del mese e dell’anno per i prodotti alimentari conservabili per più di tre mesi ma per meno di diciotto mesi;
-) con la sola indicazione dell’anno per i prodotti alimentari conservabili per più di diciotto mesi.
L’indicazione del termine minimo di conservazione o della data di scadenza deve figurare in modo facilmente visibile, chiaramente leggibile e indelebile, secondo modalità non meno visibili di quelle indicanti la quantità del prodotto, ed in un campo visivo di facile individuazione da parte del consumatore.


Così come introdotto dall’art. 4 del DECRETO-LEGGE 31 gennaio 2007, n.7 (secondo pacchetto Bersani), Misure urgenti per la tutela dei consumatori, la promozione della concorrenza, lo sviluppo di attività economiche e la nascita di nuove imprese. (GU n. 26 del 1-2-2007) che modifica l’articolo 3 del D. lgs. n. 109/1992. In applicazione entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto.


Per il miele il periodo è normalmente fissato dai 18 ai 24 mesi a partire dalla data di estrazione.


g) il nome o la ragione sociale o il marchio depositato e la sede o del fabbricante o del confezionatore. E’ intesa la sede legale del distributore, nel caso, anche fabbricante o confezionatore. E’ possibile utilizzare anche un marchio registrato, purché consenta di identificare in modo univoco il titolare.


h) la sede dello stabilimento di produzione o di confezionamento. L’indicazione della sede dello stabilimento di fabbricazione o confezionamento può essere omessa quando è la stessa sede del fabbricante, commercializzatore o confezionatore. In pratica, il produttore (o confezionatore) ed il commercializzatore coincidono.
Ciò avviene quando un’impresa produttrice (o confezionatrice) dispone di un unico stabilimento allo stesso indirizzo della sede legale o sociale. E’ il caso di un’azienda agricola con piccolo laboratorio di produzione annesso.


i) una dicitura che consenta di identificare il lotto di appartenenza del prodotto. Il lotto di prodotto è definito come un insieme di unità di vendita, prodotte, fabbricate o confezionate in circostanze praticamente identiche. I prodotti alimentari non possono essere posti in vendita qualora non riportino l’indicazione del lotto di appartenenza che viene determinato dal produttore.
Il lotto deve essere facilmente visibile, chiaramente leggibile ed indelebile. E’ preceduto dalla lettera «L», salvo nel caso in cui sia riportato in modo da essere distinto dalle altre indicazioni di etichettatura.
La definizione di lotto lascia ampi spazi organizzativi al produttore, in quanto può essere interpretata con diversi livelli di complessità. E’ compito dell’operatore identificare il lotto che meglio si adatta alle caratteristiche organizzative e strutturali della realtà aziendale e lo trasferisce in etichetta.


l) le modalità di conservazione e di utilizzazione qualora sia necessaria l’adozione di particolari accorgimenti in funzione della natura del prodotto.


Nel seguito si riporta una esemplificazione per due tipologie di prodotto, miele convenzionale e miele biologico. La scheda riepiloga la configurazione produttiva dei due casi distinti.


Il percorso prevede:


  1. Predisposizione di un locale atto ad ospitare la lavorazione, il confezionamento ed etichettatura del prodotto, nel rispetto del regolamento (CE) 852/2004.
  2. E’ consigliabile ed opportuno richiedere ulteriori informazioni alla ASL di competenza territoriale ed a tecnici qualificati.
  3. Messa a norma e verifica di conformità della struttura, per quanto attiene i requisiti catastali, di agibilità, di approvvigionamento idrico e di smaltimento delle acque reflue, degli impianti elettrici, di destinazione d’uso dell’immobile.
  4. Predisposizione, mediante supporto di un tecnico qualificato, di un piano per l’autocontrollo dei rischi igienico sanitari.
  5. Predisposizione, mediante supporto di un tecnico qualificato, di un manuale per la rintracciabilità, conforme ai requisiti espressi dal Reg. (CE) 178/2002.
  6. Predisposizione di impianti di lavorazione di tipo professionale e rispondenti a quanto previsto dal Reg. (CE) 852/2004.
  7. Presentazione di “Segnalazione certificata di inizio attività” presso il comune di competenza, per le operazioni nello specifico effettuate, ai fini dell’ottemperanza alle regole igienico sanitarie;
  8. Comunicazione di inizio attività al comune ai fini della vendita diretta dei prodotti (se esercitata in locale chiuso);
  9. Formulazione legale di una etichetta da apporre sul prodotto, che tenga conto dell’organizzazione del processo, in termini di materie e siti di produzione.

Etichetta miele


Etichettatura miele biologico


Riferimenti Legislativi e bibliografici


– Decreto Legislativo 27.1.92 n. 109 – Attuazione delle direttive 89/395/CEE e 89/396/CEE concernenti l’etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari (e successive modifiche ed integrazioni).
– Decreto Legislativo 21 Maggio 2004 n. 179, “Attuazione della direttiva 2001/110/CE concernente la produzione e la commercializzazione del miele.”
– Ministero Delle Politiche Agricole e Forestali, Circolare 2 dicembre 2006, n.2 – Applicazione del Decreto Legislativo 21 maggio 2004, n.179
– Legge 11 marzo 2006, n.81 (articolo 2-bis), concernenti produzione e commercializzazione del miele
– Ministero Delle Politiche Agricole e Forestali, Circolare 8 marzo 2005, n.1. Applicazione del Decreto Legislativo 21 maggio 2004, n.179 concernente produzione e commercializzazione del miele.
– Ministero Delle Politiche Agricole e Forestali – Ispettorato Centrale Repressione Frodi. Circolare 30 luglio 2004, n.22844.
– Decreto Legislativo 21 maggio 2004, n.179. Attuazione della Direttiva 2001/110/CE concernente la produzione e la commercializzazione del miele.
– Ministero Delle Politiche Agricole e Forestali. Circolare 12 luglio 2007, n.3.
– European Commission – Directorate-General For Agriculture And Rural Development. Directorate C. Economics of agricultural markets (and CMO) C.4. Animal products – RIPAC/2005/03. Nota esplicativa su implementazione della Direttiva del Consiglio 2001/110/CE relativa al miele.
– Determinazione del Direttore 1 giugno 2007, n. 1948. Linee guida per la registrazione ed il controllo ufficiale dei laboratori di smielatura che non rientrano nel campo di applicazione del Regolamento CE n. 852/2004. Supplemento ordinario n. 3 al Bollettino Ufficiale Regione Lazio n. 20.
– Aspetti igienico sanitari in apicoltura. Quaderni di zoo profilassi. 5 luglio 2010.


Ringraziamenti
Si ringrazia la Dr.ssa Rosanna Gianfelice per i consigli e gli spunti di riflessione relativamente alla predisposizione degli esempi di etichette.


Donato Ferrucci, Dottore agronomo libero professionista, riveste attualmente l’incarico di Responsabile di Bioagricert Lazio e di Cultore della materia presso la cattedra di Gestione e Comunicazione d’Impresa” – Facoltà di Scienze della Comunicazione, Università degli Studi della Tuscia. E-mail: donatoferrucci@alice.it


 






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