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di Mauro Bertuzzi, Anna Satta


L’agricoltura sinergica è un metodo agricolo naturale che si basa principalmente sull’osservazione dei processi naturali che portano alla presa di coscienza che è necessario mantenere l’organismo suolo autonomo ed in grado di rigenerarsi in relazione ai diversi elementi che possono essere equilibrati e protetti. Tale metodo naturale si basa essenzialmente sull’autofertilità del terreno e prevedere delle tecniche che, se correttamente applicate, permettono all’agricoltore di scegliere le sementi, studiare come consociarle, progettare gli spazi, il tutto in armonia con una corretta produzione vegetale sostenibile ecologicamente.


Piantine di zucchine e cetriolo
Piantine di zucchine e cetriolo (foto http://ortisolidali.wordpress.com)


Il metodo


L’agricoltura naturale, usando il metodo sinergico, si emancipa dal vecchio luogo comune che immaginava che una certa quantità di elementi presenti in una pianta coltivata, doveva essere re-introdotta nel suolo una volta effettuato il raccolto. Il progresso scientifico ha dimostrato che si tratta di un assioma falso in quanto non tiene conto della capacità delle piante di sintetizzare e convertire autonomamente elementi ad esse necessari ma già presenti in natura. Tali fattori nutritivi provengono principalmente dall’energia solare (attraverso la fotosintesi clorofilliana, ovvero la trasformazione dell’energia in materia), dai gas atmosferici e dall’acqua per il 95% del volume della pianta. A questi elementi presenti nella pianta raccolta viene addebitata una perdita di fertilità del suolo, che invece è dimostrato si determina a seguito dei processi di lavorazione come l’aratura.
Le piante mettono naturalmente in atto sofisticati sistemi radicali e complesse interazioni dinamiche con i microrganismi presenti nel suolo per rendere disponibili all’assorbimento elementi come l’azoto ed altri oligoelementi e minerali, ma nei terreni destrutturati e continuamente sterilizzati dalle lavorazioni, tali meccanismi di auto-fertilità sono impediti e le piante stentano a crescere autonomamente. Dall’osservazione di quest’ultimo fenomeno, l’assunto errato che sia necessario compensare le perdite di fertilità del terreno e la determinazione di calcoli agronomici che vanno a definire la fertilizzazione “indispensabile” per integrare la materia organica utile all’accrescimento.
Per praticare il metodo sinergico invece, è necessario prima di tutto provare una forte empatia verso l’organismo terra/suolo, così da realizzare la complessità straordinaria d’interrelazione fra le specie presenti su un suolo selvaggio e naturale, in modo da mantenere un equilibrio di salute, che significa per un terreno non lavorato, una “trasmissione di benessere alle piante” che vi crescono sopra.
Secondo il dottor Alan Smith del dipartimento agricolo del New South Wales – Australia (uno specialista in materia, il primo ad aver studiato il complesso ciclo “ossigeno-etilene”), esiste uno schema complesso di relazioni tra le piante, i microrganismi del suolo e gli elementi nutritivi. Nei terreni naturali (imperturbati), questi processi funzionano in maniera sana e controllano efficacemente l’attività microbica, compresa la popolazione di organismi patogeni. Questa metodologia, rende inoltre assimilabili elementi nutritivi presenti nel suolo. Invece nei terreni perturbati da arature, lavori colturali e fertilizzanti con nitrati, questi processi non hanno e non possono avere luogo.
Le piante hanno una capacità unica di trasformare l’energia solare in energia chimica che utilizzano poi per crescere, metabolizzare e riprodursi, esse però hanno anche bisogno di altri elementi che sono incapaci di produrre direttamente quali per esempio: l’azoto, il fosforo, il potassio e gli oligo-elementi. Il terreno costituisce pertanto una riserva di queste sostanze ma per un approvvigionamento adeguato, le piante devono mobilitare questi elementi alterando così il suolo attorno alle loro radici. Una pratica valida per attuare tale metodologia, è quella di stimolare l’attività dei microrganismi che in questo modo accrescono la mobilitazione degli elementi nutritivi, da qui alcuni studi del dott. Smith, dimostrano perché sistemi come la coltura senza aratura ottengano un tale successo.
Masanobu Fukuoka, un microbiologo ed agricoltore giapponese, cominciò già fin dagli anni ’30 a sperimentare un nuovo metodo di produzione vegetale. La sua sperimentazione ha significato rivoluzionare le metodologie fino ad allora conosciute, perché eliminando l’aratura e coprendo il suolo con una pacciamatura vivente e permanente durante la crescita delle colture, ha dimostrato che l’agricoltura e la programmazione delle colture, può essere praticata rispettando la dinamica degli organismi viventi che si trovano naturalmente nel suolo.
Le piante sulla terra e nell’acqua, formano la base della piramide energetica e sostengono quasi tutte le altre forme di vita, quindi, sono certamente in grado di sviluppare e mantenere la materia organica e le comunità di vita presenti nel suolo.

Il lavoro di Emilia Hazelip, agricoltrice spagnola e una delle fondatrici dell’accademia spagnola di Permacoltura, è consistito per vent’anni principalmente nell’adattamento ai climi mediterranei dei principi che Fukuoka ha sperimentato nell’agricoltura naturale.
Tali principi possono essere sintetizzati così:
1. Fertilizzazione continua del terreno tramite una copertura organica permanente.
2. Coltivazione di specie annuali in associazione a colture complementari con l’integrazione d’alberi azoto-fissatori.
3. Assenza d’aratura o di qualsiasi altro tipo di disturbo del terreno: il suolo si lavora da solo.
4. Il terreno si arieggia da solo se noi evitiamo di provocarne il compattamento.


Piantina di pomodoro e fragola
Piantina di pomodoro e fragola (foto http://ortisolidali.wordpress.com)


Preparazione del terreno


Quando intendiamo instaurare un sistema di coltivazione naturale per subentrare ad una un’area sfruttata per usi agricoli (pascoli, coltivazioni intensive con macchinari pesanti, anche dopo anni di incolto), occorre prima di tutto ripristinare le dinamiche selvagge del suolo naturale. Per fare questo bisogna scegliere con molta cura le azioni da intraprendere caso per caso; occorre spesso fare delle “concimazioni verdi” di piante che non hanno altro scopo che riattivare la vita microbica nel suolo (senza interrarle dopo il loro ciclo vitale ma lasciando le radici nel suolo, senza estirparle perché decomponendosi vanno ad attivare processi microbici), bisogna limitare la presenza di piante troppo invasive e ripulire il terreno dai pesticidi con specie di piante che li metabolizzano.
Un esempio di tale metodologia è per esempio l’utilizzo della coltura della patata sotto una copertura di cartoni e paglia. Questo sistema integrato di coltivazione e pacciamatura, aiuta a mantenere l’umidità del suolo così da attrarre i lombrichi, rivitalizzando in questo modo il suolo per prepararlo al processo di riequilibrio di auto-fertilità.


La formazione dei bancali


Dopo aver preparato il terreno, comincia la realizzazione di una struttura permanente che consiste del delimitare in modo univoco dove si coltiva e dove si cammina o si passa con il mezzo agricolo, scavando e formando delle aiuole rialzate (dette “bancali”) e lasciando dei passaggi in modo da rimuovere il terreno per l’ultima volta. Su un ampio appezzamento, i bancali possono essere creati con gli aratri, anche se la lavorazione a mano risulta essere la più appropriata.
I bancali possono essere realizzati in forme differenti, l’importante è che la dimensione consenta di arrivare al centro della coltura senza rischiare di calpestare l’aiuola (in genere la larghezza è di 120 cm). Se il terreno fosse povero di sostanza organica, si può valutare di aggiungere materiale organico vegetale al momento della realizzazione per avviare la colonizzazione da parte dei microrganismi decompositori (starter microbico) e per compensare i possibili problemi creati con le arature. Solitamente il “nutrimento forzato” del suolo è da evitare (essendo un disturbo “per eccesso” dell’equilibrio naturale), quando però le circostanze oggettive lo richiedono, è consigliabile aggiungere superficialmente del compost vegetale ben maturo.


Irrigazione e pacciamatura


Il metodo migliore per la distribuzione dell’acqua, irrigando senza sprechi e senza agevolare virosi e marciumi, è l’irrigazione a goccia con ala gocciolante preforata, oppure un tubo forato a mano per sfruttare il fenomeno della gravità: l’acqua arriva ai tubi da una vasca posta ad un livello superiore rispetto al piano di coltura dei bancali.
I bancali devono essere sempre coperti con uno strato di pacciamatura vegetale, inizialmente si usa della paglia, ottimo precursore dell’etilene, col tempo si accumulano solo i residuati colturali fatti a piccoli pezzetti e lasciati al suolo al momento della raccolta. Nei passaggi invece si sparge della segatura di primo taglio di legno per inibire la crescita di troppe spontanee.


Le colture sui bancali


Sui bancali si trovano delle consociazioni molto strette e si devono piantare, unitamente agli ortaggi convenzionali annuali, piante aromatiche perenni e piccoli frutti, nonché calendule, nasturzi, tageti, ricino, aglio, erba cedrina, tanaceto, lavanda e basilico. Queste ultime varietà di piante sono molto importanti, in quanto hanno una azione repellente nei confronti dei parassiti, e più ve ne sono e maggiore sarà il beneficio. Con la loro presenza risultano salutari per le colture, proteggendole da nematodi e da altri insetti nocivi, e possono essere utilizzate per usi culinari e per la preparazione di insetticidi biologici, da usare solamente se necessario.
Al momento del raccolto tutte le piante dovranno essere tagliate a livello del terreno, assolutamente non estirpate, il terreno infatti ha bisogno di radici in decomposizione.
Permettendo alle radici di decomporsi nel suolo, si arricchisce il terreno di biomassa, oltre ad arricchirlo di azoto ammonico lasciato da batteri che lavorano in simbiosi con le radici delle colture leguminose.
L’anno successivo, senza cambiare la disposizione dei letti di coltura, si può spostare la zona seminata in modo da mettere un’altra coltura negli spazi che erano di inter-letto l’anno precedente, le cucurbitacee invece, vengono lasciate nella stessa fila, ma si piantano nel mezzo, fra gli steli della coltura dell’anno precedente.
In questo modo, continuando ad alternare le zone di coltura, si varierà la biomassa radicale, che verrà poi lasciata nel suolo, ed i conseguenti residui lasciati come pacciamatura. Così facendo, se si desidera cambiare completamente il tipo di coltivazione, basterà stabilire le distanze di coltura per il nuovo raccolto, tenendo però sempre presente la necessità di luce della copertura verde, e l’esigenza del suolo di essere occupato da diverse specie di piante.
Negli spazi lasciati tra i letti di coltura, si possono anche coltivare diverse erbe aromatiche, per cui non sono da considerare spazi vuoti, anche se da essi non si ottiene direttamente il raccolto della coltura principale, grazie alla loro presenza infatti la qualità e la quantità di tale raccolto migliora. Nelle coltivazioni pluriennali, questi spazi proteggono i letti di coltura dalla compattazione da parte delle macchine, dagli animali e dall’uomo; la loro presenza va quindi considerata come essenziale alla produzione generale.
Il campo, in questo modo, viene coltivato con questo tipo di impianto anno dopo anno, senza che la fertilità del suolo si esaurisca, anzi migliorandone nettamene la qualità. Questo principio vale per suoli agricoli di qualsiasi tipo.


I tutori


Per la maggior parte dei bancali, si possono utilizzare archi tutori permanenti, usando i tondini di ferro per l’edilizia, utili poi a far arrampicare le piante.
Ogni pianta viene attaccata all’arco o a un ulteriore orditura in filo di ferro mediante uno spago teso, in questo modo i tutori, vengono assicurati anche tra di loro in modo da formare una rete resistente.
Questo metodo funziona molto bene per i pomodori, i cetrioli e in genere per le piante rampicanti, questo perché lasciando passare aria fra le foglie, consente di ridurre quei fattori che possono determinare problemi dovuti a muffe e funghi, e liberando altresì spazio nella parta bassa e tenendo i frutti sollevati dal suolo, punto in cui si potrebbero danneggiare dall’umidità o dagli insetti. Inoltre, i legumi rampicanti e le zucche, crescendo possono arrampicarsi sopra i tondini stessi, in questo modo, possono avere una funzione ombreggiante, soprattutto quando il caldo sole estivo non permetterebbe più di coltivare insalate e/o piante che soffrono le alte temperature.
Infine va sottolineato come un ulteriore vantaggio di questo sistema, il mancato eventuale pericolo proveniente dal vento, che soffiando forte, potrebbe distruggere il raccolto buttando giù il tutto.


Siepi e protezioni naturali


Nella sistemazione complessiva dell’orto, occorre tener conto anche di siepi naturali miste di alberi e arbusti che aumentino la biodiversità, proteggono dal vento, possono ospitare nidi di animali antagonisti che si nutrono degli insetti parassiti e diventano anche produttive se si piantano piccoli frutti e piante aromatiche, utilizzando le varietà più idonee secondo il clima e la pluviometria della zona.


Riferimenti bibliografici
http://ortisolidali.wordpress.com/
http://www.agricolturasinergica.it/
http://www.libermente.eu/ – Libera Scuola di Agricoltura Sinergica “Emilia Hazelip”


Mauro Bertuzzi, laureato in Scienze e Tecnologie Agrarie presso la Facoltà di Agraria di Milano, è Presidente del collegio provinciale di Milano e Lodi degli Agrotecnici e Agrotecnici LaureatiCurriculum vitae >>>


Dott.ssa Anna Satta, tecnico in agricoltura biologica e docente della libera Scuola di Agricoltura Sinergica “Emilia Hazelip”.


 






La fattoria biologica

La Fattoria Biologica
Agricoltura secondo natura
Masanobu Fukuoka – Mediterranee


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