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di Cristiano Papeschi

Chiunque abbia il pallino dell’apicoltura, sia a livello amatoriale che a livello professionale, ha sentito parlare, almeno una volta nella vita, della Varroa.  Purtroppo la maggior parte degli apiari ne sono infestati e ogni anno, regolarmente, è necessario ricorrere a misure preventive o terapeutiche per far fronte ad un problema tutt’altro che lieve.
Varroa destructor (nota, fino al 2001, come Varroa jacobsoni)  (Foto 1) è un piccolo acaro appartenente alla famiglia Varroidae, ordine Gamasida o Mesostigmata. I due sessi sono distinguibili, al microscopio ottico, per via del marcato dimorfismo sessuale.

Varroa destructor
Foto 1 – Varroa destructor fotografata a medio ingrandimento in veduta
ventrale con particolare degli arti e dellapparato boccale

La femmina ha forma ellittica (Foto 2), è lunga circa 1 mm e larga 1,5-1,6 mm, il dorso è formato di placche di colore bruno articolate tra loro e ricoperte di setole (Foto 2). E’ dotata di 4 paia di zampe di cui il primo paio munito di organi di senso mentre le altre 3 paia servono per la locomozione. Possiede un apparato buccale con cheliceri in grado di perforare la cuticola di larve e pupe e la membrana intersegmentale delle api adulte. La femmina è molto veloce nei movimenti e vive fino a 3 mesi, tempo entro il quale può compiere fino a 2-3 accoppiamenti.

Varroa destructor
Foto 2 – Varroa destructor fotografata a piccolo ingrandimento

Il maschio ha forma sferica, possiede una cuticola bianco-perleacea ed è di dimensioni minori rispetto alla femmina. A differenza di quest’ultima  ha un corpo molle ed è piuttosto lento anche perché la sua vita, di breve durata,  si svolge prevalentemente all’interno delle celle. Il maschio non è in grado di nutrirsi poiché i cheliceri, con l’evoluzione, si sono trasformati in organi copulatori.
Dopo un veloce accoppiamento la femmina deposita delle uova ovali, bianche e lunghe circa mezzo millimetro all’interno del quale si svilupperà nel giro di 24 ore circa una larva dotata di 6 zampe che muterà a protoninfa nelle 24 ore successive. Dopo questa prima fase detta di “embriogenesi” si avrà la schiusa dell’uovo e la fuoriuscita di una protoninfa maschile o femminile la quale compirà una muta successiva a deutoninfa ed infine ad adulto.
E’ la femmina la responsabile della malattia  conosciuta come varroasi in quanto è lei che si nutre dell’emolinfa dell’insetto ottenuta perforando la cuticola delle api con il suo apparato buccale. Questa prima fase di nutrimento è detta foretica a cui seguirà una fase riproduttiva. La fase riproduttiva avviene solo se nell’alveare è presente una covata. In questo caso l’acaro entrerà nelle cellette pochi giorni prima dell’opercolatura delle stesse e vi deporrà le proprie uova. Le varroe hanno una spiccata preferenza per le celle da fuco. La fase foretica in assenza di covata può prolungarsi per tutto l’inverno permettendo così alle varroe di superare la stagione fredda. All’intrno della cella, dopo la schiusa, avverranno gli accoppiamenti delle giovani varroe.
Forando la cuticola dell’ape e succhiando l’emolinfa, la varroa, determina un’azione depauperatrice delle risorse dell’insetto ma ancora più grave è la trasmissione di alcune malattie virali attraverso le ferite provocate: sarebbero proprio queste ultime a causare l’elevato tasso di mortalità all’interno dell’alveare trasmettendo malattie quali il Virus delle Ali Deformate o il Virus della Paralisi. La presenza di varroa all’interno dell’apiario viene facilmente confermata dal ritrovamento degli acari morti insieme alle api-vittima nella cassettina di fondo dell’arnia. Eliminare completamente l’acaro dall’allevamento è praticamente impossibile ma una serie di accorgimenti e trattamenti preventivi permettono di contenere la mortalità ed evitare rischiose perdite. E’ consigliabile effettuare almeno 2 trattamenti all’anno: il primo (trattamento tampone) da effettuarsi in estate in presenza di covata con un’associazione di Timolo, Eucaliptolo, Canfora e Mentolo, ed il secondo (trattamento di pulizia radicale) in assenza di covata con acido ossalico. Inoltre è possibile effettuare un ulteriore trattamento con un prodotto a base di Coumaphos, un estere fosforico ad azione acaricida, alla quale, però, alcune varroe hanno dimostrato una certa resistenza. Inoltre, come strategia di lotta, è necessario ricordare di trattare contemporaneamente tutto l’apiario, possibilmente in contemporanea agli altri apicoltori della zona, ricordarsi di seguire, nell’uso delle molecole efficaci, i dosaggi consigliati, e limitare il numero delle celle da fuco all’interno dell’arnia. Inoltre non va dimenticata la possibile presenza di residui di farmaco all’interno del miele: per evitare ciò si consiglia di non effettuare i trattamenti in presenza di melario e di rispettare sempre i tempi di sospensione segnalati dalla ditta produttrice.

Cristiano Papeschi, zootecnico ed esperto in coniglicoltura, è laureato in Medicina Veterinaria all’Università di Pisa. Curriculum vitae >>>

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