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di Gian­ni Bal­za­ret­ti

Par­la­re di Fe­de­ri­go Ca­pril­li (Li­vor­no, 1868  – To­ri­no, 1907) oggi si­gni­fi­ca ri­co­no­sce­re una cosa: gra­zie a lui, i ca­val­li hanno po­tu­to espri­me­re in modo com­ple­to e na­tu­ra­le il gesto atle­ti­co del su­pe­ra­men­to di osta­co­li.
Cosa av­ve­ni­va fin verso la fine del 1800? Il ca­val­lo, nel­l’u­ti­liz­zo da sella, era ap­pan­nag­gio quasi esclu­si­vo dei mi­li­ta­ri e di pochi no­bi­li. I mi­li­ta­ri uti­liz­za­va­no re­par­ti di Ca­val­le­ria, ov­ve­ro tra­sfe­ri­men­to ce­le­re di uo­mi­ni, con com­pi­ti di pat­tu­glia­men­to e oc­cu­pa­zio­ne. Il sup­por­to do­ve­va es­se­re ra­pi­do e si esple­ta­va su qual­sia­si tipo di ter­re­no. Gli eser­ci­ti di al­lo­ra pro­po­ne­va­no l’i­stru­zio­ne eque­stre delle re­clu­te nelle co­sid­det­te ‘Ca­val­le­riz­ze’, dove, in un ter­re­no dalle di­men­sio­ni al­quan­to li­mi­ta­te, si ba­da­va di più a for­ni­re ele­men­ti di ‘este­ti­ca’  che non ele­men­ti di fat­ti­va con­du­zio­ne e con­trol­lo. Il ca­val­lo era an­co­ra con­si­de­ra­to una ‘forma ba­roc­ca’ e l’i­stru­zio­ne non te­ne­va molto conto delle reali esi­gen­ze del­l’im­pie­go mi­li­ta­re in ter­re­no vario. Le ma­no­vre ri­spec­chia­va­no di più un ‘Ca­ro­sel­lo’ che non una ef­fet­ti­va ne­ces­si­tà di guer­ra. Ma so­prat­tut­to, quan­do si trat­ta­va di su­pe­ra­re anche pur pic­co­li osta­co­li, l’at­teg­gia­men­to del ca­va­lie­re era a com­ple­to di­sca­pi­to delle forze e dei mezzi del ca­val­lo. Si era con­vin­ti che il ca­va­lie­re do­ves­se, in pros­si­mi­tà del salto, spo­star­si con il busto al­l’in­die­tro e, ti­ran­do sulle re­di­ni, so­ste­ne­re l’a­van­tre­no del ca­val­lo per farlo ele­va­re sopra l’o­sta­co­lo. Per il ca­val­lo era una vera sof­fe­ren­za, pri­va­to di quel­lo che è il mezzo più im­por­tan­te per il suo equi­li­brio: l’uso del­l’in­col­la­tu­ra, ov­ve­ro il gesto della di­sten­sio­ne verso l’a­van­ti-bas­so per po­ter­si al­leg­ge­ri­re e su­pe­ra­re le dif­fi­col­tà del salto con i mezzi che la na­tu­ra gli for­ni­sce.

Salto pre Caprilli
Salto pre Ca­pril­li

Il ca­pi­ta­no Fe­de­ri­go Ca­pril­li riu­scì, senza co­no­sce­re ele­men­ti di bio­mec­ca­ni­ca e senza il sup­por­to tec­no­lo­gi­co sep­pur li­mi­ta­to del tempo, gra­zie ad una ge­nia­le in­tui­zio­ne de­ri­va­ta dallo stu­dio della lo­co­mo­zio­ne di un ca­val­lo che sal­ta­va senza il ca­va­lie­re sul dorso, a spe­ri­men­ta­re una tec­ni­ca che te­ne­va in giu­sta con­si­de­ra­zio­ne l’im­por­tan­za di dare la com­ple­ta li­ber­tà di collo e di schie­na al ca­val­lo nel su­pe­ra­men­to del­l’o­sta­co­lo.

Il me­to­do da lui de­ri­va­to si chia­mò ‘Si­ste­ma na­tu­ra­le di equi­ta­zio­ne’  ed ebbe la sua con­sa­cra­zio­ne du­ran­te il Con­cor­so Ip­pi­co In­ter­na­zio­na­le di To­ri­no nel 1902. Ca­pril­li vinse la gara di esten­sio­ne con Black Best (sei metri e cin­quan­ta) e ot­ten­ne il re­cord del mondo (uf­fi­cio­so per­ché ot­te­nu­to fuori gara) sal­tan­do 2 metri e 08 cen­ti­me­tri.

Caprilli durante il Concorso Ippico - Torino 1902
Ca­pril­li du­ran­te il Con­cor­so Ip­pi­co – To­ri­no 1902

Fu una vera ri­vo­lu­zio­ne anche per­ché, di fatto, le Au­to­ri­tà Mi­li­ta­ri, visti i ri­sul­ta­ti ot­te­nu­ti, ade­gua­ro­no il Re­go­la­men­to Mi­li­ta­re se­con­do i prin­ci­pi del cap. Ca­pril­li, un cam­bia­men­to che non pro­ve­ni­va dalle ‘alte sfere’  ma che a que­ste era riu­sci­to, ‘dal basso’, ad ar­ri­va­re per evi­den­zia­re delle la­cu­ne e a sop­pe­rir­ne le cause.

Ca­pril­li morì per una ca­du­ta da ca­val­lo (de­ri­van­te da un ma­lo­re) a To­ri­no il 7 di­cem­bre 1907. Ai suoi al­lie­vi di­ret­ti il com­pi­to di tra­man­da­re oral­men­te gli in­se­gna­men­ti. Non era riu­sci­to a scri­ve­re un ma­nua­le ma solo brevi ap­pun­ti che un suo fe­de­le al­lie­vo ri­por­tò nella sua bio­gra­fia (Carlo Giub­bi­lei – Ca­pril­li  Vita e scrit­ti).

Caprilli su Piccola Lark
Ca­pril­li su Pic­co­la Lark

Fa­mo­se sono state le Scuo­le di Pi­ne­ro­lo (To­ri­no) e Tor di Quin­to (Roma) dove si te­ne­va­no i corsi per l’in­se­gna­men­to della nuova dot­tri­na. Gli eser­ci­ti stra­nie­ri con­si­de­ra­ro­no un onore poter in­via­re i pro­pri uf­fi­cia­li a se­gui­re i corsi in Ita­lia. In pochi anni gli al­lie­vi di 33 na­zio­ni (tra cui Bul­ga­ri, Au­stria­ci, Te­de­schi, Giap­po­ne­si, Su­da­me­ri­ca­ni, Russi etc.) pas­sa­ro­no da Pi­ne­ro­lo. Solo i fran­ce­si non in­via­ro­no mai uf­fi­cial­men­te i loro ca­va­lie­ri salvo man­da­re poi degli ‘os­ser­va­to­ri’ in veste non uf­fi­cia­le per im­por­ta­re più o meno clan­de­sti­na­men­te il ‘me­to­do’  pres­so di loro. Un me­to­do che portò, fino alla se­con­da guer­ra mon­dia­le, al­l’e­ge­mo­nia ita­lia­na nelle più gran­di com­pe­ti­zio­ni di Salto Osta­co­li In­ter­na­zio­na­li.
A tut­t’og­gi il me­to­do, con pic­co­li ade­gua­men­ti, è an­co­ra quel­lo che per­met­te al ca­val­lo il mas­si­mo sfor­zo con il mi­ni­mo di­spen­dio. Ma Ca­pril­li ha in­se­gna­to una cosa molto più im­por­tan­te: il ri­spet­to delle esi­gen­ze mo­ra­li e fi­si­che del ca­val­lo, la vera ri­vo­lu­zio­ne eque­stre.

Gian­ni Bal­za­ret­ti, istrut­to­re di 3° li­vel­lo della Fe­de­ra­zio­ne Ita­lia­na Sport Eque­stri e tec­ni­co C.O.N.I., è au­to­re di di­ver­si ar­ti­co­li e pub­bli­ca­zio­ni sulla sto­ria del­l’e­qui­ta­zio­ne, Pu­ro­san­gue In­gle­si, con­cor­so com­ple­to di equi­ta­zio­ne. At­tual­men­te in­se­gna pres­so la So­cie­tà Ip­pi­ca No­va­re­se.

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