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di Maurizio Scotti

pavia riso
Provincia di Pavia

Quando è stata disegnata, nel 1859, la provincia di Pavia ha accomunato tre colture fondamentali per l’agroalimentare prima sabaudo, poi nazionale: il riso quantitativo della Lomellina (Arborio, Balilla, Baldo) e quello qualitativo del Pavese (Carnaroli, Vialone Nano), il latte grasso della Bassa (con cui produce la più rinomata crescenza che esista, la Certosa, ricchissima di calcio e sali minerali assimilabili, tra i primi alimenti consigliati dai pediatri di tutto il mondo nell’alimentazione dell’infanzia) e il vino dell’Oltrepo (che qui, in onore del grande fiume, si scrive senza accento), in cui si producono la regina Bonarda, il fruttato Barbera e l’eclettico Pinot, uva nera di rara eleganza organolettica che nelle sue varietà enologiche e si trasforma in bianco, nero e rosato.

La provincia di Pavia è stata storicamente disegnata a tavolino, unendo parti della Campagna Sottana di eredità asburgica, dell’antico Piemonte e delle piane ad Est del Sesia, rimettendo in un certo qual modo lo stato di fatto di un tempo andato, quando esistevano i domini pavesi prima del 1525, ovvero proprio prima della Battaglia di Pavia che sancì il dominio plurisecolare della Corona di Spagna sul Ducato di Milano e sulle sue pertinenze. Nacque così un’entità che sulla carta assomigliava palesemente ad un grappolo d’uva. In effetti, geograficamente la provincia di Pavia così come è oggi è il più lampante esempio iconografico dell’agricoltura Made in Italy: un grappolo d’uva neanche troppo stilizzato, con i suoi centri nevralgici distribuiti come acini: Pavia (zuppa alla pavese) e Belgioioso, Vigevano e Mortara (risi e risaie), Stradella, Broni, Casteggio e Santa Maria della Versa (vini preziosi e spumanti), la punta di Varzi (salame), l’oriente di Voghera (peperone e patate), il far west lomellino, con Breme (cipolla rossa) e Langosco. Zeme e Lomello (allevamenti), l’estremo ovest con Miradolo Terme (piselli e ciliegie) ed il vino del Sancolombano Doc, comprendendo i grandi campi di mais di Santa Cristina, Gerenzago e Filighera, i pioppeti di Badia e Monticelli Pavese, tra le vecchie anse del Po, fino ad arrivare ai terreni adatti al grano di Arena e Portalbera. Una provincia di 2.700 chilometri quadrati che riassume l’Italia per agricoltura e biodiversità, per fertilità e dedizione, in una Lombardia forse fin troppo stanca di essere vissuta come Milano-dipendente. Ma fino a a quando potrà durare un rapporto così particolareggiato tra uomo che vive l’ambiente e uomo che necessita di vivere? Ora sembra che tutto giochi a sfavore del rapporto diretto con l’agricoltura (che è anche cultura agricola se non agraria), perché Pavia ed il suo territorio stretto tra tre fiumi, Sesia, Ticino, Lambro, e l’Appennino si sentono soffocare per “iniquità di valore”: questa non è la Val D’Elsa, neanche la Val Marecchia o la rigogliosa Val di Non, qui non c’è pubblico adatto ad essere pubblicizzato: c’è l’idea continua della Milano a 35 Km! Quello risulta essere il vero Eldorado, dimenticando che le risorse per restare sono tante e che nel prosieguo dei tempi saranno sempre più condivise e acclamate: sono risorse che vanno rigenerate, non tradite e basta.

salame virzì pavia
Salame di Varzi

06/04/2016

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