Con­di­vi­di l'ar­ti­co­lo
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di C.​Maurizio Scot­ti

Il ri­chia­mo della città ha poco o nulla di pa­ra­go­na­bi­le al “ri­chia­mo della fo­re­sta”, se poi quel­la fo­re­sta ha gli odori e i sa­po­ri degli al­peg­gi sper­du­ti, al­lo­ra più che un ri­chia­mo la scel­ta di­ven­ta una vo­ca­zio­ne. Seb­be­ne oggi stare sui monti, vi­ver­ci e ma­ga­ri cer­ca­re di am­man­sir­li con col­ti­va­zio­ni e al­le­va­men­ti, non sia più ri­te­nu­to emu­la­zio­ne di ere­mi­ti, usare la pa­ro­la vo­ca­zio­ne ha an­co­ra il suo bel in­ten­de­re. Chi ac­cet­ta di co­strui­re una vita ru­ra­le in un al­peg­gio op­pu­re anche solo in un pic­co­lis­si­mo vil­lag­gio mon­ta­no, ricco di sa­lu­bri­tà e con un am­bien­te di raro can­do­re, sa che ri­nun­ce deve con­di­vi­de­re con se stes­so e con la na­tu­ra che lo cir­con­da. Certo avrà il Gps, la pa­ra­bo­la sa­tel­li­ta­re, in­ter­net (ma­ga­ri con la chia­vet­ta), sarà col­le­ga­to con tutto il mondo e a ne­ces­si­tà ci sarà sem­pre un eli­soc­cor­so che in pochi mi­nu­ti lo soc­cor­re. Ma non ci sarà la Pi­na­co­te­ca di Brera, il Co­los­seo e nem­me­no l’Ac­qua­rio; non ci sa­ran­no nean­che i cen­tri com­mer­cia­li con 60 ne­go­zi (che oltre i “mille” non hanno senso per “ri­dot­ta clien­te­la”) e forse per ar­ri­va­re ad un di­spen­sa­rio far­ma­ceu­ti­co ser­vi­rà un fuo­ri­stra­da con ta­ni­che di ga­so­lio ag­giun­ti­ve. Ma non è que­sto il punto: chi ac­cet­ta di vi­ve­re lassù è an­zi­tut­to di­spo­sto a la­scia­re per stra­da chias­so e con­fu­sio­ne, di­ven­tan­do pro­ta­go­ni­sta a tutti gli ef­fet­ti con ciò che lo con­tie­ne e lo cir­con­da. Chi ha solo aria sopra la testa è con­scio che il suo ruolo si con­fon­de con lo spa­zio, con il clima, con la flora e la fauna sel­va­ti­ca e col­ti­va­ta o al­le­va­ta. Sa che lui stes­so è pre­si­dio, in­di­spen­sa­bi­le per il pro­prio io e per i fini di tu­te­la di un mondo che scop­pia di si­len­zi as­sor­dan­ti, com­pre­si mo­men­ti di an­go­scia. E la vita ha ritmi il­lu­so­ri per mi­lio­ni di altri suoi si­mi­li che nei pe­rio­di di ferie si ad­den­tra­no nelle valli fino a ri­sa­li­re i pen­dii (molto spes­so in fu­ni­via) per com­pra­re, in quei ri­fu­gi dal sa­po­re an­tro­po­ri­di­co­lo, ca­la­mi­te o tazze car­to­li­na­te di mal­ghe e sper­du­ti paesi se­pol­ti tra i prati sco­sce­si, ma­ga­ri men­tre si be­vo­no tazze di ge­ne­pì con qual­che goc­cia di caffè, amari di inaf­fer­ra­bi­li mo­na­ste­ri, o men­tre man­gia­no cro­sta­te im­be­vu­te di kir­sch o sal­sic­ce nere ab­bru­sto­li­te quel poco che basta per ser­vir­le in fret­ta vi­ci­no ad un piat­to di ca­ne­der­li. Chi sta per pa­rec­chio tempo del­l’an­no in un al­peg­gio vede con una certa ma­lin­co­nia l’ac­ca­de­re: non una ma­lin­co­nia pro­pria, ma ri­ver­sa su quel­la gente che dalla città parte alla con­qui­sta della Vetta d’I­ta­lia, come se an­das­se a sco­pri­re il me­dioe­vo che non c’è. Anche chi in al­peg­gio non vive, ma sente in sé quel­la de­li­ca­ta at­trat­ti­va delle alte cime, dei di­ru­pi, del ri­chia­mo delle mar­mot­te, dei prati fio­ri­ti dai co­lo­ri tenui dei cardi, del sa­po­re in­ten­so del latte munto al mat­ti­no nel mese di mag­gio e del for­mag­gio che an­co­ra goc­cio­la men­tre si co­strui­sce len­ta­men­te nella sua “sca­to­la” di legno, anche co­stui guar­da come se stes­se il­lu­mi­nan­do un vuoto: vede i “tu­ri­sti” ma non li sente cir­con­da­ti e con­glo­ba­ti nel­l’am­bien­te. Quel­la è gente che se ne va, con­vin­ta di aver visto e ap­prez­za­to, ma in ef­fet­ti ha solo por­ta­to a casa una ca­la­mi­ta o una tazza co­lo­ra­ta, ma­ga­ri gu­stan­do pro­dot­ti che hanno lo stes­so sa­po­re di quel­li con­su­ma­ti in Corso Como a Mi­la­no. Quel­la è gente che non ha ca­la­to il mo­men­to di un’e­sta­si pro­fon­da, per­ché al­tri­men­ti al ri­tor­no in città, nelle me­tro­po­li o dove vive di con­sue­to avreb­be uno sti­mo­lo di­ver­so nel pro­por­re la pro­pria vita: sa­reb­be più pron­ta ala dia­lo­go, meno ar­rab­bia­ta, più so­li­da­le e mag­gior­men­te at­ten­ta ai va­lo­ri am­bien­ta­li; si nu­tri­reb­be me­glio e get­te­reb­be via il meno pos­si­bi­le. Se si vo­les­se por­ta­re via qual­co­sa da un al­peg­gio o da un grup­pet­to di case posto su un fian­co di un monte, quel­la cosa do­vreb­be es­se­re “la ra­gio­ne”, quel­la che non ci fa es­se­re (o di­ven­ta­re) man­dria di in­di­vi­dui ano­ni­mi, bensì per­so­ne che hanno l’i­dea, la vo­ca­zio­ne umana, l’a­spet­to e la par­ven­za di chi opera per pre­si­dia­re il pro­prio ha­bi­tat, mi­glio­rar­lo per poi po­ter­lo con­di­vi­de­re. Un va­lo­re ed un aspet­to che di­ven­ta fi­lo­so­fia di vita. Anche per­ché quel­l’ha­bi­tat nes­su­no potrà por­tar­lo con sé.

montagne pinzolo dolomiti
Malga Va­la­go­la (foto www.​pin​zolo​dolo​miti.​it )

17/04/2016

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