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Consorzi di tutela e testo unico del vino. Cogliere l’occasione per fare chiarezza e dare a cesare quello che è di cesare. Non confondiamo tutela della Do-Ig con il potere delle votazioni. Il mondo del vino sia diverso dagli “usi” della politica dei partiti.  Le Do-Ig sono forti ed efficienti soprattutto se c’è equilibrio fra grandi e piccoli, fra viticoltore e imbottigliatore, fra poteri diversi. Il potere dell’uva è identico a quello del vino. E’ l’impresa che fa la differenza, non la sua dimensione, in un sistema consortile di tutela del distretto. Gli investimenti nella promozione, commercializzazione, vendita hanno bisogno di altri parametri. L’idea originaria della fine del secolo scorso (Federdoc 1998-1999) corretta e trasparente della ponderalità per scaglioni è ancora sufficiente per accorciare le distanza e dare equilibrio, armonia, uguaglianza decisionale. Ma è una arma a doppio mandato se interpretato con potere soggettivo e suffragato dalla politica. Qualche parametro in più o un commissario ad acta può dirimere le questioni mantenendo consorzi di tutela volontari, facendo concentrazione di Do-Ig in uno stesso organismo. C’è bisogno di condivisione fra Consorzi e Organizzazioni di prodotto proprio per il modello della concentrazione governance e della autonomia distrettuale Do-Ig. C’è bisogno del modello cooperativo per le questioni di tutela mentre il modello censuario va bene nelle scelte promozionali. Un binario che va opportunamente diviso e condiviso nello stesso ente consortile aggregante. Una aggregazione, oggi di attualità, che deve anche non seguire i confini amministrativi e politici  delle regioni, ma puntare anche su distinzione di vitigno-vino.      

Consorzi di Tutela Vini
Consorzi di Tutela Vini

 

Se non salta il Governo, la ministra Bellanova ha sul tavolo il dossier “testo unico del vino” da completare, integrare e adeguare rispetto la versione in essere. Fra i vari temi, c’è anche quello dei consorzi di tutela. Ovvero i tempi e modi necessitano semplificazione e chiarezza anche fra questi strumenti organizzativi che hanno contribuito il tanti anni a far crescere la mentalità Doc-Dop nel nostro paese, usando in modo diffuso il binomio con Made in Italy. Nel 1963 ci fu un primo segnale di tutela delle Do, poi la legge 164/92 fece un passo per i consorzi, completato da tutti i decreti successivi. Il sottoscritto, erroneamente, è considerato da molti, ma altri sono contrari, uno dei costruttori del nuovo modello di consorzi di tutela dei vini Docg,Doc, Igt con la ri-fondazione della Federdoc del 1998, voluta proprio dal sottoscritto. Scrissi statuto, regolamento, trovai sede a Roma presso Assocameraestero, tutto condiviso con i tre storici dirigenti ministeriali di allora Pilo, Adinolfi, Camilla. Il mio interesse nasceva negli anni 1980-1986: in primis il ministro Marcora mi fece fare uno stage a Strasburgo sulle direttive di tutela, Confagricoltura prima e Coldiretti dopo, mi chiamarono per sviluppare il sistema consortile, grazie all’impegno del ministro Mannino. Ricordo i muri alti e spessi che incontrai. Nel 1986 divenni fondatore e direttore del primo consorzio di tutela vini doc Colli Piacentini, contemporaneamente stesi anche il regolamento per i Consorzi di tutela delle Dop dei salumi piacentini. Con me c’erano colleghi validissimi, già direttori di consorzi,  come Liberatore, Lazzeri ,Piazza, Pelisetti, Campatelli, Liut. 40 anni, con qualche variante, dedicati ai consorzi di tutela dei vini, strade dei vini, enoturismo…quindi, credo, attento ai cambiamenti, alle evoluzioni, alle diverse necessità dei miei datori di lavoro….cioè i produttori, vinificatori imbottigliatori. Tutte le scelte di 40 anni fa (volontarietà, cooperativismo, controlli a valle, crescita Do ) e 20 anni fa (ponderalità, interprofessione, erga omnes, certificazione, tracciabilità) sono state valide e condivise, necessarie per trovare consenso e un indirizzo comune. Oggi con 500 Do-Ig italiane, di cui 76 rappresentano il 90% della produzione, le restanti 430 necessitano di una attenzione o risoluzione o condivisione di strategie, seppur piccole o piccolissime, senza fondi, senza un organigramma.

Oggi, fenomeni come consorzi di tutela forti ed efficienti senza un direttore guida, molti presidenti che fanno i direttori e dettano i modi e i tempi, fuga di soci piccoli dai consorzi, nascita di associazioni autonome non partecipanti alla gestione dei consorzi, delega di scelte a altri enti, antagonismi fra grandi e piccole cantine, imposizione dall’alto di scelte strategiche di territorio e viticoltura, abbandono della sperimentazione e zonazione distrettuale, barricate su modelli vecchi, assenza nella difesa della tutela internazionale, concentrazione di potere in mano da 20 anni alle stesse persone, ricambi generazionali guidati dall’interno dei consorzi con passaggi di testimoni, un uso assillante della certificazione e tracciabilità obbligatoria, interazione fra volontarietà dell’uso della DO-IG del viticoltore e adesione volontaria consortile, arroccamento su parametri statutari vantaggiosi per qualcuno e non per tutti…………..…sono sintomi di malattie e infezioni che possono fare molto male. Sono segnali cui porre rimedio immediatamente, meglio se per legge. Ricordo la velocità di cambio nel 1998 fra la vecchia e nuova Federdoc: le % Docg-Doc crescevano, c’era bisogno di una attenzione per le Igt, occorreva un modello fra obblighi-volontarietà che ponesse i Consorzi come fulcro, unico, dell’ interprofessione. Certo il modello studiato all’inizio a tavolino nelle stanze del ministero subì subito adeguamenti da parte di organizzazione datoriali e sindacali, ne furono introdotti altri importanti nel primo decennio del nuovo millennio, poi c’è stato un esaurimento di strategia e di energia….adagiando ogni scelta solo sui finanziamenti europei, sulle discussioni degli Ocm, su Psr spesso riservati a pochi,  sul potere e importanza del controllo certificato a monte….più nulla a valle se non i doppioni degli eventi nei soli paesi esteri già maturi già conoscitori. Una concentrazione di mercati che paghiamo e pagheremo cara. Ma un conto è l’importanza della certificazione, un altro conto è il potere esercitato ed espresso da una categoria prevalente rispetto ad una altra. Immaginai, purtroppo, questa evoluzione già nel 1999 quando lascia il coordinamento nazionale della Federdoc a Roma: la mia proposta di un master post-universitario di due anni semestrali dedicati alla formazione accademica di nuovi direttori fu cassata da tutti. Meglio costruire internamente agli enti i futuri dirigenti, solo quelli che hanno accettato nel tempo un ruolo di esecutore, diventeranno direttori. Credo che la mia esperienza e la mia conoscenza sia frutto invece proprio del cambio di sedi di lavoro, regioni, imprenditori diversi, Do diverse. Solo da vagabondo si imparano tante cose.

Ma veniamo alle ultimissime dichiarazioni pubblicate da personaggi diversi, con esperienze datoriali e posizioni datate assai diverse, che affrontano ancora una volta, senza alcun costrutto, la precaria, non ancora finale, situazione dei Consorzi, soprattutto senza soci viticoli e senza fondi, senza entrare nel merito vero della questione che, io spero, sia giunta invece ben chiara alla ministra Bellanova, e cioè: come aggiornare i Consorzi di tutela, come creare collaborazioni fra strumenti organizzativi  europei integrabili, come assimilare il mondo del vino e del cibo sia in termini di certificazione, controlli a valle, gestione volumi produttivi, ottimizzazione doc grandi e piccole, ….. come dare a tutti i distretti un ente rappresentativo che possa sedersi al tavolo insieme ai più strutturati grandi e potenti, ma soprattutto come fare in modo – questo era il mio principio base da sempre fin dal 1986 – che tutte le anime all’interno di un consorzio di tutela possano esprimere un parere nei vari organi ed essere ascoltati.

Anche qui devo ritornare ad un passato che evidentemente, oggi, molti non conoscono, non sanno e altri tentano di non spiegare, non adattare e adottare. Verbi corretti che per me hanno almeno 20 anni di vita. L’Italia è passata dal 10% al 70% di classificazione a denominazione geografica, da 250 a 500 distretti di qualità certificati, per cui certi modelli sono da aggiornare. I veri temi-questions oggi, all’interno di Consorzi volontari, efficaci, efficienti,  sta solo nell’avere direttori superpartes accademicamente dotati, non legati al distretto in nessun modo, con la capacità dopo 6-9 anni (3 mandati della dirigenza) di mollare e fare una altra esperienza, di avere un tour-over di consiglieri-presidenti che sia prova-reale della condivisione di scelte. Solo il giusto binomio, anche dialettico, fra direttore e presidente-consiglieri è un vero motore di governance che può mettere insieme volontariatà, rispetto e diverse visioni delle 3 categorie, obblighi certificativi, valore a monte e a valle dell’insieme distrettuale, integrazione con altre imprenditorialità locali. Nessuno lo dice chiaramente, ma il vero problema oggi in tantissimi  consorzi è il rapporto fra viticoltori, cantine piccole e cantine enormi. Condizione che c’è sempre stata, status spesso risolto con il modello cooperativo di un voto procatite per tutti per anni. In una riunione ristretta, furono Camilla e Adinolfi che indicarono il modello ponderale, non cooperativo… non proporzionale…non censuario, ma strettamente collegato a scaglioni come soluzione. Ottimo! Fui strenuo difensore anche contro colleghi e amici, perché la ponderalità abbinata alla fascia, con un giusto dosaggio delle deleghe, consentiva quella “adattabilità” locale, distretto per distretto, per accorciare distanze e dimensioni in modo che le votazioni assembleari (in casi eccezionali nei consigli) fossero portate entro un alveo di simil-equilibrio. Non c’è bisogno di stravolgere l’attuale impostazione, basta che per ogni diversa situazione locale (viticoltura, vinificazione, imbottigliamento) venga individuata in modo superpartes una quantificazione numerica e una quota ponderale per scaglioni, ampi o stretti con pochi o tanti gradini, e l’equilibrio è subito trovato. E’ evidente che questo deve essere impostato da figura terza, perché una votazione per censo determina sicuramente una scelta ponderale censuaria. Un commissario nazionale ad acta? Non sarebbe male. Ci sono distretti con 3000 viticoltori e 3 enormi cantine sociali, come si fa a dare voce a tutti? Altri distretti hanno 2 vinificatori e 150 imbottigliatori ; altri consorzi ancora rappresentano 100 imprese che sono quasi tutte presenti nelle tre categorie previste dalla legge. Non credo neppure, come adombra qualcuno, che certe scelte concrete statutarie possano dare adito a interventi politici. Credo di più, prove alla mano, che qualche impresa locale possa stiracchiare la politica locale in certe scelte di parte e di potere per decidere in pochissimi il destino di tanti viticoltori che sono gli unici depositari del vero “avente diritto e diritto acquisito” determinato dal terreno, dalla vigna, dal vitigno, dall’uva prodotta. Spesso come primo della filiera, il viticoltore è anche quello più sottovalutato perché, dicono, è estraneo al business del mercato. Da qui la vera necessità di direttori superpartes e foresti, almeno da una regione all’altra. Fin la vecchia politica, nella difesa e gestione dei beni culturali italiani (e io considero beni culturali il vino e il cibo italiano), ha individuato direttori forestieri in grado di risolvere situazioni anacronistiche e incancrenite in certe sovraintendenze e musei.

di Comolli Giampietro

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