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Dal Diario di Anna Frank il concetto di Servizi Ecosistemici

di Andrea Fioroni

Con l’arrivo delle vacanze estive, si riaccende il dibattito sui compiti da svolgere sotto l’ombrellone. Tra le proposte della scuola, mia figlia di quarta elementare è stata invitata a leggere il Diario di Anna Frank. Alcuni genitori, incontrati al parco, ritenevano il testo troppo impegnativo per quell’età. Io e mia figlia abbiamo scelto un approccio condiviso: un giorno del diario lo leggo io ed il successivo lo legge lei.
Anna Frank, un’adolescente costretta a vivere in clandestinità durante la Seconda Guerra Mondiale, ci offre una testimonianza intima e potente, capace di restituire dignità ai gesti quotidiani. Il suo diario non è solo un documento storico, ma anche una lente attraverso cui osservare i meccanismi psicologici e sociali che legano l’essere umano alla sua sopravvivenza e, inaspettatamente, anche alla natura.
Nel passaggio del 10 dicembre 1942, Anna racconta con emozione l’arrivo della carne fresca, vissuta come una vera e propria festa collettiva. In quel contesto di privazioni estreme, il cibo assume un valore simbolico: non è solo nutrimento, ma diventa anche un motore di coesione sociale e una spinta emotiva. Il suo coinquilino si era procurato della carne fresca al mercato nero e, con l’aiuto di tutti, avevano preparato in casa salsicce e salami. Le salsicce furono consumate subito con i crauti, mentre i salami furono appesi in soffitta a stagionare. Sebbene il testo originale non specifichi il tipo di carne, è probabile che fosse vitello, considerando che la famiglia era ebrea. Tuttavia, in periodi di tali privazioni, le persone si adattavano a mangiare ciò che trovavano, mettendo da parte credi religiosi, usanze e tradizioni.
Questo brano di Anna Frank appare più attuale che mai oggi, in un momento in cui il mondo ebraico è drammaticamente tornato alla ribalta e la Comunità Europea ha ridotto i fondi della PAC (Politica Agricola Comune) per il riarmo. La PAC è un pilastro fondamentale del bilancio dell’UE, destinato a sostenere il settore agricolo e le aree rurali. La riduzione dei suoi fondi potrebbe avere impatti significativi sull’agricoltura europea, diminuendo i sostegni diretti agli agricoltori e gli investimenti nello sviluppo rurale, compromettendo la competitività del settore, aumentando i costi di produzione e mettendo a rischio la sicurezza alimentare.
La macellazione del maiale, un tempo un lavoro condiviso, era parte dell’eredità culturale legata all’agricoltura e alla zootecnia. Attraverso questi racconti, possiamo riscoprire il concetto di servizi ecosistemici: quei benefici che l’ambiente naturale fornisce gratuitamente all’uomo, come il suolo fertile, l’acqua dolce, la biodiversità e la capacità di rigenerazione e produzione. Il cibo, quindi, non è solo un prodotto agricolo, ma il risultato di una rete silenziosa di interazioni ambientali, sociali e culturali.
Troppo spesso si tende a ignorare il ruolo attivo della natura nella nostra quotidianità. I servizi ecosistemici – come l’impollinazione, la regolazione climatica, la purificazione dell’acqua e la prevenzione dell’erosione – sono alla base della nostra sopravvivenza. Quando agricoltura e zootecnia sono praticate con criteri sostenibili, possono diventare alleati della conservazione ambientale, e non suoi antagonisti.
In Italia, esistono numerosi territori dove l’attività agricola convive con paesaggi di pregio, come le Langhe (patrimonio UNESCO) o i pascoli dell’Appennino e delle Alpi, icone di equilibrio tra uomo e ambiente. Queste aree, spesso marginali dal punto di vista economico, ospitano comunità resilienti di allevatori e agricoltori che svolgono un ruolo chiave nel presidio territoriale e nella valorizzazione dei saperi tradizionali.
Il modello italiano – e in larga parte quello europeo – si basa su aziende agricole familiari, multifunzionali e radicate nel tessuto rurale. Questa struttura garantisce:

  • Sicurezza alimentare
  • Conservazione dei paesaggi
  • Lavoro locale
  • Prodotti di qualità

Ridurre drasticamente l’allevamento animale in Europa potrebbe comportare:

  • La perdita di risorse fondamentali come pascoli, letame e biomasse.
  • L’aumento della dipendenza da importazioni esterne, con minori standard di sicurezza e sostenibilità.
  • Un impatto negativo sulla gestione del territorio, inclusa la prevenzione degli incendi.

Attraverso le pagine del suo diario, Anna ci mostra come anche un singolo pasto possa diventare occasione di speranza. Questo ci invita a rivalutare il legame invisibile tra natura e cultura, tra ciò che mangiamo e ciò che ci forma. Adottare una visione ecosistemica significa riconoscere che ogni gesto quotidiano – anche cucinare, mangiare, coltivare, allevare – è immerso in una rete vitale da proteggere. 

Grafico 1: Servizi Ecosistemici
Servizi ecosistemici

 

Dal Diario di Anna Frank
Giovedì, 10 dicembre 1942.

Cara Kitty,

il signor Van Daan commerciava in carni, salumi e spezie, ed era entrato nella ditta perché conosceva bene l’articolo. Anche adesso mette in mostra la sua competenza di salsicciaio, e ciò non ci spiace affatto. Avevamo acquistato, naturalmente alla borsa nera, molta carne da conservare, in previsione dei tempi difficili che ci attendevano. Era divertente vedere la carne passare a più riprese nel tritatutto e, previa aggiunta di altri ingredienti, infilare i budelli per trasformarsi in salumi. A mezzogiorno mangiavamo subito le salsicce, arrostite coi crauti, ma il salame bisogna prima lasciarlo stagionare bene, e perciò lo appendevamo al soffitto con delle cordicelle legate a un bastone. Chi entrava nella camera e vedeva quell’esposizione di salami si metteva a ridere. Era infatti uno spettacolo molto buffo. La camera era in un disordine straordinario. Il signor Van Daan, col grembiule di sua moglie, era tutto indaffarato colla carne, e sembrava molto più grasso di quello che è. Colle mani insanguinate, la faccia rossa, e il grembiule sporco aveva veramente l’aria di un macellaio. La signora faceva tante cose insieme, studiava l’olandese, rimestava la minestra, dava un’occhiata alla carne, sospirava e si lagnava per la sua costa rotta. Ecco quel che succede alle vecchie signore che fanno certi stupidissimi esercizi ginnastici per dimagrire nel sedere! Dussel aveva un occhio infiammato e faceva impacchi di camomilla presso la stufa. Pim, seduto sopra una sedia nel raggio di sole che filtrava dalla finestra, veniva sbattuto di qua e di là, e certamente i suoi dolori reumatici se ne risentivano, a giudicare dal modo con cui, curvo e turbato in viso, sorvegliava le dita del signor Van Daan. Sembrava un vecchietto invalido ricoverato in un ospizio. Peter girava per la stanza col suo micio. La mamma, Margot e io spelavamo patate, ma nessuna di noi faceva attenzione al suo lavoro, perché c’era da guardare il signor Van Daan. Dussel s’è rimesso a fare il dentista. Bisogna che ti racconti in che modo ridicolo si è svolto il suo primo intervento. Mamma stava stirando; la signora Van Daan fu la prima ad assoggettarsi alle cure. Si mise a sedere su di una sedia in mezzo alla stanza. Dussel cominciò con grande sussiego ad aprire la sua cassetta, chiese dell’acqua di Colonia per disinfettante e della vaselina in luogo di cera. Guardò nella bocca della signora, le toccò qualche dente, facendola ogni volta sussultare come se morisse dal dolore ed emettere suoni inarticolati. Dopo una lunga ricerca (almeno per la signora, perché non durò più di due minuti), Dussel cominciò a raschiare un buchino. Ma… neppur da pensarci. La signora prese a dibattersi violentemente con le braccia e le gambe, finché a un certo momento Dussel mollò il raschietto che rimase infisso nel dente. Allora cominciò lo spettacolo! La signora si dibatteva, urlava (per quanto si può urlare con uno strumento di quel genere in bocca), cercava di togliersi il raschietto, e invece lo ficcava sempre più giù. Dussel, calmissimo, guardava la scena con le mani sui fianchi. Gli altri spettatori ridevano smodatamente. Molto villani; perché io, certamente, avrei strillato ancor più forte. A forza di tirare, dar calci, strillare e chiamare, la signora riuscì finalmente a togliere il raschietto e il signor Dussel continuò il suo lavoro come se nulla fosse avvenuto. Fu così svelto che la signora non ebbe tempo di ricominciare; però in vita sua non era mai stato tanto bene aiutato. Due assistenti non son pochi, e il signor Van Daan e io funzionammo bene. Sembrava un quadretto medioevale colla scritta: “Ciarlatano al lavoro”. Intanto la paziente perdeva la pazienza; aveva da badare alla “sua” minestra e al “suo” pranzo. Una cosa è certa; la signora non avrà fretta di farsi curare un’altra volta.

La tua Anna

Andrea Fioroni agronomo e zoonomo con formazione tecnico-scientifica nel settore delle produzioni animali. Già Agente di Pubblica Sicurezza, unisce competenze agroalimentari e sostenibilità, promuovendo una visione interdisciplinare dell’ambiente. Scrive per valorizzare il legame tra natura, uomo e cultura.