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Spunti di riflessione su tema delle contaminazioni accidentali da fosfiti in agricoltura biologica

di Fabio Ferraldeschi, Donato Ferrucci

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Il comparto biologico italiano, leader nel panorama europeo, ha finora garantito agli operatori un valore aggiunto maggiore in confronto alle produzioni convenzionali, rispondendo alle crescenti richieste del consumatore, sempre più attento alle tematiche ambientali, che da sempre sono uno degli elementi di specificità della produzione con metodo biologico.

Nel 2018 la superficie coltivata in Italia ad agricoltura biologica ha sfiorato i 2 milioni di ettari ed il numero degli operatori si avvicinava alle 80.000 unità. Le elaborazioni effettuate dal SINAB indicano che dal 2010 le superfici biologiche sono aumentate di oltre 800 mila ettari e le aziende agricole di 27 mila unità. Rispetto al 2017 le superfici biologiche sono aumentate del 3% con 49 mila ettari in più.

A fronte di questo andamento di mercato incoraggiante, sia in termini di consumi interni che di esportazioni, è di recente sorto un problema di natura tecnica, ma che può impattare in maniera sostanziale sui flussi commerciali e che potrebbe potenzialmente invertire il trend positivo del comparto biologico italiano: la contaminazione accidentale da fosfiti sulle produzioni bio, sia per i prodotti freschi che trasformati.

I fosfiti, un inquadramento generale

La normativa europea vigente sulle produzioni biologiche consente l’utilizzo dei soli prodotti fitosanitari contenuti nell’allegato II del Reg. (CE) 889/08. Ne consegue che:

  • per la protezione delle piante i sali di fosfito e, in generale, i prodotti contenenti acido etilfosfonico (come il Fosetil alluminio, anticrittogamico) non sono ammessi in agricoltura biologica;
  • per la nutrizione vegetale, i sali di fosfito non sono ammessi quali concimi fosfatici (ammessi in convenzionale ai sensi del Reg. CE 2003/2003 e del D.Lgs. n. 75/2010).

Negli ultimi anni  quantitativi significativi di ortofrutta e referenze trasformate (principalmente vino) esportate dall’Italia in altri paesi dell’Unione Europea sono state oggetto di notifiche di irregolarità (OFIS – Organic Farming Information System) da parte di altri Stati membri a causa della rilevata presenza di residui di acido fosforoso a livelli superiori ai limiti imposti dal D.M. 309 del 13 gennaio 2011 (Contaminazioni accidentali e tecnicamente inevitabili di prodotti fitosanitari in agricoltura) e che fissa per eventuali contaminazioni una soglia limite pari a 0,01 mg/kg, soglia oltre la quale è prevista la decertificazione del prodotto.
Il problema, va considerato prendendo in esame un ulteriore aspetto, ovvero le potenziali cause della presenza della molecola in questione.
ll Fosetil Alluminio, principi o attivo con funzione fitoiatrica, si decompone in due metaboliti: acido fosforoso (H3PO3) e l’acido fosfonico, tautomeri i cui sali vengono comunemente chiamati fosfiti. Le rilevazioni analitiche arrivano a determinare sia il fosetil che i prodotti di degradazione. La determinazione del possibile utilizzo di fosetil-Al è data dalla presenza della molecola come tale oppure, dei suoi metaboliti (fosforo/acido fosfonico e loro Sali). In linea generale I fosfiti sono molecole molto attive nelle piante, in quanto facilmente assimilabili dalla pianta vista la loro idrosolubilità.

Va però precisato che la presenza dei metaboliti nei prodotti ortofrutticoli potrebbero anche derivare dall’applicazione di mezzi tecnici ammessi in agricoltura biologica, in modo particolare fertilizzanti di tipo fogliare o o mezzi tecnici per la difesa a base di rame (dato confermato da una recente ricerca del CREA BIOFOSF).

Il sistema di certificazione coinvolto nel biologico, ha gestito la criticità delineando una regola tecnica che trova specifica e dettaglio nella penultima revisione del documento RT16 ACCREDIA (regolamento tecnico per gli Organismi di Controllo dei prodotti biologici, rev. 04, del 12.07.2016), dove erano indicate le modalità di gestione relative alle contaminazioni da fosfiti su prodotto bio, come di seguito riportate:

“problema di “falso positivo” che può presentarsi su diverse matrici si riscontra nella determinazione del fosetil alluminio. Tale analisi viene condotta ricercando sia acido etilfosfonico che acido fosforoso. La presenza di quest’ultimo acido può derivare, oltre che da trattamenti con “fosetil alluminio“ anche dall’impiego di trattamenti fogliari a base di fosforo, pertanto per attribuire la positività a residui di fosetil alluminio, è necessario che risultino presenti sia acido etilfosfonico che acido fosforoso.

Quindi in caso di sola presenza di acido fosforoso il prodotto su cui era stata rilevata contaminazione poteva continuare ad essere certificato come biologico in quanto acclarata la derivazione non consegnuete ad utilizzo di mezzi tecnici non ammessi.
Inoltre, come anticipato, nel gennaio 2016 il MIPAAF ha finanziato al CREA il progetto di ricerca “Strumenti per la risoluzione dell’emergenza “fosfiti” nei prodotti ortofrutticoli biologici – BIOFOSF”, con l’intento di chiarire le cause di tali positività. Il progetto ha inteso verificare tra l’altro, la potenziale presenza di fosfiti nei mezzi tecnici ammessi in agricoltura biologica attualmente sul mercato e, usualmente applicati dai produttori biologici sia in protezione che in fertilizzazione, quali concimi fosfatici, concimi organici a base di alghe, concimi a base di microelementi, nonché prodotti per la protezione a base di rame.

Il campionamento e la successiva determinazione del contenuto in acido fosforoso e di acido etilfosfonico nei mezzi tecnici considerati è stata effettuata da un laboratorio accreditato per il metodo di analisi considerato (Metodo CVUA EU-RL-SRM QuPPe Vers. 8.1, Method 1.3 – 2015; L.Q. acido fosforoso: 0,1 mg/Kg; L.Q. acido etilfosfonico: 0,01 mg/Kg).

Il progetto di ricerca, terminato nel 2018, ha evidenziato come buona dei prodotti rameici autorizzati dal Ministero della Sanità per l’agricoltura biologica contenessero al loro interno fosfiti se non addirittura acido etilfosfonico. Quest’ultimo, comunque mai riscontrato nelle matrici campionate in fase di progetto, seppur oggetto di trattamenti con tali mezzi tecnici.

Lo studio ha messo in evidenza che, essendo il rame il principale anticrittogamico utilizzato in agricoltura biologica, si sia generata una presenza diffusa di fosfiti, contaminazione che risulta comunque inferiore di decine di volte rispetto al “Limite Massimo di Residuo” (LMR) ammesso dalla normativa. L’acido fosforoso (metabolita ultimo del fosfito di potassio o dell’acido etilfosfonico) è al tempo stesso anche un nutriente per la pianta, per cui, contrariamente ad altri fitofarmaci, viene accumulato negli organi di riserva, quali radici e legno, per poi essere mobilizzato verso foglie e frutti (semi in particolare). Nelle piante da frutto l’acido fosforoso è quindi accumulato negli organi di riserva per poi essere utilizzato negli anni successivi, man mano che la pianta cresce e fruttifica.
Gli studi hanno evidenziato come:

– il legno rappresenta un organo di riserva, quindi la degradazione non può essere lineare poiché la pianta ha al suo interno un deposito al quale attingere;

  • attingendo a questo deposito può verificarsi anche un innalzamento dei valori legato alla situazione climatica, al carico di frutti o all’accrescimento vegetativo indotto da una potatura;
  • la dinamica della riduzione dell’acido fosforoso, a bassi livelli, è più influenzata dalle riserve interne della pianta piuttosto che dalla quantità di frutti e foglie eliminati ciclicamente.

In maniera del tutto indipendente dal contesto tecnico e sull’onda di un allarmismo ingiustificato, hanno iniziato a proliferare delle segnalazioni OFIS ricevute dall’Italia per prodotto biologico esportato all’estero, per contaminazione di fosfiti, che si torna a ripetere, elementi presenti naturalmente nel sistema suolo/pianta, in conseguenza anche di condizioni di natura gestionale/tecnica o ambientale.
Indipendentemente dai risultati del progetto BIOFOSF, l’ultima revisione del Regolamento Tecnico ACCREDIA (RT n. 05 del 05.11.2018, applicabile dal 1° Gennaio 2019) impone di presidiare il problema secondo le seguenti modalità:

Per quanto riguarda i prodotti ortofrutticoli biologici la rilevazione del solo acido fosfonico >0,01 mg/kg, in assenza di contemporanea rilevazione di acido etilfosfonico, non è condizione sufficiente per escludere l’utilizzo di mezzi tecnici non ammessi o di mezzi tecnici ammessi, ma irregolari per la presenza non dichiarata di acido etilfosfonico e/o prodotti a base di fosfito, e deve indurre a procedere ad ulteriori approfondimenti in termini di valutazione delle potenziali origini legate alla positività rilevata. Quale strumento d’indagine, si suggerisce di acquisire l’elenco dei mezzi tecnici ed i lotti di produzione utilizzati dall’agricoltore per la fertilizzazione e la protezione nell’anno corrente e per le colture pluriennali anche negli anni precedenti, segnalandoli alle autorità responsabili del controllo per le successive verifiche di competenza. La decertificazione si applica, se del caso, al prodotto realizzato o ottenuto dall’operatore: della medesima non si dovrà tenere conto ai fini della reiterazione, qualora si verifichi che l’irregolarità è determinata da eventi non direttamente imputabili alla volontà dell’operatore. Per quanto riguarda i prodotti biologici trasformati, non sussistono attualmente evidenze scientifiche che permettano di escludere il “falso positivo”. Per tali prodotti, tuttavia, l’Organismo di Controllo è tenuto ad avviare un’indagine volta ad accertare il possibile impiego di mezzi tecnici contenenti fosfito o di derivati dell’acido etilfosfonico, anche da parte di eventuali fornitori della materia prima.

La gestione della contaminazione, come dettagliata nel documento, va quindi ad interagire con il D.M. 309 del 13 Gennaio 2011 sulle contaminazioni accidentali e tecnicamente inevitabili di prodotti fitosanitari in agricoltura biologica, che prevede “con riferimento ai prodotti fitosanitari non presenti nell’allegato II del Reg. (CE) n.889/2008 ma il cui uso è autorizzato in agricoltura convenzionale, è opportuno considerare 0,01 mg/kg quale limite inferiore, inteso come “soglia numerica” al di sopra della quale non è concedibile la certificazione di prodotto biologico, anche in caso di contaminazione accidentale e tecnicamente inevitabile, a meno che non siano previsti limiti inferiori dalla legislazione applicabile per particolari categorie di prodotto.”

Le criticità all’orizzonte

Le stime sulle positività da acido fosforoso superiori allo 0,01 mg/kg su referenze bio riportate da importanti realtà di rappresentanza del settore quali AGRINSIEME, AIAB e Bioland Südtirol, segnalano oltre il 40% di prodotto frutticolo biologico potenzialmente a rischio decertificazione. Sul prodotto trasformato la percentuale sarebbe ancora più alta.

Il MIPAAF si è visto recentemente rigettare in sede di Conferenza Stato-Regioni una proposta in deroga al D.M. 309 di limite pari a 0,1 mg/kg su prodotto bio non trasformato, in quanto gran parte delle Regioni hanno ritenuto tale soglia non soddisfacente e non presidiabile per gli operatori biologici italiani. E’ stato sostanzialmente richiesto un limite più alto.

Va ricordato che la certificazione biologica è di processo e non di prodotto, citando il primo considerando del recente regolamento 2018/848/UE: La produzione biologica è un sistema globale di gestione dell’azienda agricola e di produzione alimentare basato sull’interazione tra le migliori prassi in materia di ambiente ed azione per il clima, un alto livello di biodiversità, la salvaguardia delle risorse naturali e l’applicazione di criteri rigorosi in materia di benessere degli animali e norme rigorose di produzione confacenti alle preferenze di un numero crescente di consumatori per prodotti ottenuti con sostanze e procedimenti naturali. La produzione biologica esplica pertanto una duplice funzione sociale, provvedendo, da un lato, a un mercato specifico che risponde alla domanda di prodotti biologici da parte dei consumatori e, dall’altro, fornendo al pubblico beni che contribuiscono alla tutela dell’ambiente, al benessere degli animali e allo sviluppo rurale.

La fonte di contaminazione da fosfiti, come ormai appurato, deriva dall’utilizzo di mezzi tecnici ammessi in agricoltura biologica (difesa e nutrizione delle piante). I produttori di mezzi tecnici possono adottare delle “Buone prassi operative” ma non hanno obbligo normativo che preveda la separazione delle lavorazioni dei mezzi tecnici, con conseguente rischio di contaminazione. La seconda fonte di rischio è rappresentata sia dalla specificità della molecola (che tende a immagazzinarsi nei tessuti vegetali) sia dalla sua produzione (legata alle pratiche agronomiche, occorre ripeterlo, ammesse e rispettose delle regole).

Il problema fosfiti in bio allo stato attuale è decisamente una criticità il cui presidio comporta un significativo onere per le aziende agricole che potrebbero non essere in grado di sopportare l’onere, qualora la situazione non evolva.

Conclusioni e ipotesi di soluzione

Va fatta chiarezza su quali prodotti per la concimazione e per la difesa possano essere utilizzati dagli agricoltori biologici: il controllo sui mezzi tecnici in Italia è affidato alle Autorità Competenti che evidentemente dovranno trovare una modalità per fornire certezza ai fruitori finali di tali input.
Occorre poi approfondire la problematica sul piano scientifico al fine di definire i tempi di “decontaminazione” delle colture e per definire una metodica analitica in grado di distinguere l’acido fosforoso proveniente da Fosetil alluminio rispetto a quello proveniente da fonti non ammesse nella produzione biologica.
Sarebbe opportuno intervenire in ambito legislativo (DM 309/2011), prendendo come riferimento, per i prodotti biologici primari, in caso di accertata correttezza tecnica dell’operatore, il limite previsto dal Reg. (UE) 2019-552 che modifica il Reg. (CE) 396-2005 (2 mg/kg).
Considerare come contaminazione la presenza di Fosetil alluminio o la somma fosetil, acido fosfonico e dei loro sali.

A breve il MIPAAF proporrà nuovi limiti di soglia, è auspicabile una riflessione in merito che tenga presente delle molteplici implicazioni e cause del fenomeno.

Bibliografia

RT – 16 ACCREDIA Rev. 04 del 12-07-2016. Prescrizioni per l’accreditamento degli Organismi che rilasciano dichiarazioni di conformità di processi e prodotti agricoli e derrate alimentari biologici ai sensi del Regolamento CE n. 834/2007 e sue successive integrazioni e modifiche

RT – 16 ACCREDIA Rev. 05 del 05-11-2018. Prescrizioni per l’accreditamento degli Organismi che rilasciano dichiarazioni di conformità di processi e prodotti agricoli e derrate alimentari biologici ai sensi del Regolamento CE n. 834/2007 e sue successive integrazioni e modifiche

D.M. MIPAAF n.309 del 13 Gennaio 2011. Contaminazioni accidentali e tecnicamente inevitabili di prodotti fitosanitari in agricoltura biologica.

Reg. 2018/848/UE. Relativo alla produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici.

Reg. (CE) 834/07 e s.m.i. Relativo alla produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici

Proposta di revisione limiti fosfiti in agricoltura Biologica – AIAB, 2019

Nota MIPAAF n. 37391 del 10-05-2017

Strumenti per la risoluzione dell’emergenza “fosfiti” nei prodotti ortofrutticoli biologici, BIOFOSF – CREA, 2019

Nota tecnica – Rilievi ed approfondimenti sul tema dei fosfiti – AGRINSIEME, 2019

Donato Ferrucci, Dottore agronomo libero professionista, riveste attualmente l’incarico di Responsabile di Bioagricert Lazio e di Cultore della materia presso la cattedra di Gestione e Comunicazione d’Impresa” – Facoltà di Scienze della Comunicazione, Università degli Studi della Tuscia. E-mail: donatoferrucci@alice.it

Fabio Ferraldeschi, consulente per la qualità delle aziende agroalimentari, riveste attualmente l’incarico di Responsabile Nazionale Ufficio Marchio AIAB – Associazione Nazionale Agricoltura Biologica. Specializzato nella realizzazione e nello sviluppo di disciplinari volontari nel settore food e no food.