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CINOFILIA, qualche Tabù da sfatare…

di Federico Vinattieri

Cuccioli di Australian Shepherd cane
Cuccioli di Australian Shepherd – Rainbowking’s Kennel

Premetto che, per quanto mi riguarda, scrivere questo genere di articoli lo ritengo quasi un dovere nei confronti di coloro che, giustamente, usano internet per arricchire il proprio bagaglio culturale e talvolta tendono a far diventare dei dogmi, informazioni che sono in realtà l’esatto opposto.

Infatti, non ho potuto fare a meno di notare, leggendo spesso in rete, che tantissimi cinofili non hanno ancora ben compreso che vi è un divario enorme tra due concetti riassumibili in due frasi ben distinte, ossia il “non si deve fare” e il “si può fare“… ancora più similari sembrano esser diventate le espressioni “non si deve fare” e “non si vuole fare“.

Qual è questa sostanziale differenza?
Beh, i più ci arrivano anche senza spiegazione: nel primo concetto vi è un divieto categorico, nel secondo un libero arbitrio, un intento volontario e facoltativo.
In cinofilia, più di ogni altro settore, questi due correnti di pensiero sono talvolta confuse, e grazie sempre alla più grande fonte di nozioni nocive odierne, ossia i social, questa confusione si è elevata all’ennesima potenza.
Dilaga in rete la disinformazione.

Cuccioli di Saarlooswolfhond - Allevamento di Fossombrone
Cuccioli di Saarlooswolfhond – Allevamento di Fossombrone

Con questo mio articolo, ho pensato sia arrivato il momento di fare un po’ di chiarezza e di sfatare una volta per tutte alcuni “falsi miti” e credenze popolari messe in circolo dal passaparola virale dai “neo-cinofili facebookkiani“, temibile popolo virtuale barbarico, che saccheggia ogni credenza fondata sull’esperienza e la tramuta in stravagante assioma, lasciando al neofita solo una strada percorribile: quella sbagliata.

Cercherò di identificare alcune di queste bufale cinofile e ne fornirò una valida spiegazione, mettendo in luce le false nozioni, facendo capire che esistono sì determinati “mai fare”, ma datosi che viviamo in uno stato di libertà e democrazia, esistono anche svariati “posso farlo e come!“, pur rispettando perfettamente ciò che ci viene indicato nei regolamenti della nostra Ente Nazionale della cinofilia italiana.

Vediamo ora, uno ad uno, quali sono i più quotati falsi tabù sulla cinofilia da sfatare… i “Top Ten” per dirla alla maniera moderna:

– Falso Tabù n° 1: Mai allevare più di una razza.

Mai stato d’accordo nell’additare l’allevatore multi-razza come un poco di buono, o come un allevatore dedito alla scellerata vendita dei cuccioli. Allevare più razze non è sempre sinonimo di “commercio”… anzi, in tanti casi è l’antitesi.
Io stesso ho allevato, e tutt’ora allevo, più di una razza, ma la mia produzione si limita a pochissime nascite all’anno, talvolta ogni 2 anni.
Non è pertanto una questione di quante razze si allevano, il quesito da porsi è COME vengono allevate e qual è la produzione effettiva dell’allevamento.
Che una grande produzione di cuccioli comporti una inevitabile depressione della qualità e dell’attenzione che un allevatore può dedicare loro, questo è matematico, ma da qui ad affermare che allevare più di una razza comporti in automatico l’inserimento nella categoria dei “cagnari“, questo a mio parere è inaccettabile.
Allevare più razze è assolutamente lecito e non vi è nessun impedimento in merito, basta avere coscienza sui propri limiti e non oltrepassare mai quel confine che differenzia un vero allevatore da un produttore seriale di cuccioli.

– Falso Tabù n° 2: Mai accoppiare in consanguineità.

Argomento che ho trattato più volte nei miei articoli in passato. Resta poco da aggiungere a quanto già scrissi…
Inutile ribadire che la consanguineità non solo può essere attuata, ma in molti casi è da ritenersi essenziale per fissare determinati caratteri.
In un serio programma di selezione, vi è sempre un punto nel quale questa pratica diventerà inevitabile. Se si ha la cognizione dei caratteri peculiari della razza da ricercare, presto o tardi ci si imbatterà nell’esigenza di fissare uno o più di questi connotati… e qual è l’unico sistema, nonché il più rapido, per non lasciarsi sfuggire questi attributi? Ovviamente è l’accoppiamento in consanguineità.
Non smetterò mai di affermare che la consanguineità è l’unica vera arma a disposizione dell’allevatore, la quale, come ogni arma, va saputa usare e dosare.
Accoppiare soggetti consanguinei comporta problematiche solo se vi sono già delle tare genetiche occulte, ma se in entrambi i soggetti non vengono rilevate problematiche ereditarie, la consanguineità non ne produrrà certo delle nuove.
Indicare questa pratica come un tabù da evitare ad ogni costo è, per quanto mi riguarda, la prova più emblematica che la cultura cinofila sui social network è assai pericolosa, nonché forviante.
Un neofita ha il sacrosanto diritto di sapere che la consanguineità non è assolutamente la “bestia nera” descritta da molti utenti, bensì un aiuto assai prezioso, oserei dire quasi indispensabile per chi è alla ricerca del modello ideale riscontrabile nello standard, e che è necessario utilizzarla senza eccedere e con la dovuta cautela.
La consanguineità in un allevamento è paragonabile ad un candelotto di dinamite, bisogna avere un po’ di esperienza per utilizzarla, ma quando si impara ad usarla, serve ad abbattere dei muri che altrimenti non potrebbero essere superati.
Ad ogni modo, chiunque voglia approfondire questo specifico argomento può andarsi a rileggere il mio articolo intitolato: “Consanguineità, la parola magica per un allevamento“, che trovate facilmente in rete.

– Falso Tabù n° 3: Mai accoppiare un maschio troppo giovane.

Altro falso tabù assai diffuso e assai discusso.
Quando anni fa iniziò a girare questa voce, mi avvalsi del parere e dell’esperienza di molti amici medici veterinari, per richiedere loro se vi fossero realmente controindicazioni nell’utilizzare stalloni di giovane età, e la risposta è sempre stata la stessa: “assolutamente no”.
Dipende dalla razza ovviamente, ma vi sono anche soggetti molto precoci che dai circa 10 mesi in poi sono già in grado di accoppiarsi, e non si fanno certo pregare per farlo, anzi, il problema semmai è placare la loro voglia.
Non bisogna però far confusione… se si parla di “fattrici”, quindi di femmine, la questione non è in discussione, poiché accoppiare una femmina troppo giovane comporta non pochi squilibri nel suo sviluppo ed è proprio per questo motivo che l’Ente nazionale ha divulgato una specifica norma al riguardo; ma se si parla di “stalloni”, quindi di maschi, il problema non sussiste!
Non esistono studi scientifici che abbiano mai provato che utilizzare un maschio giovane in fecondazioni, soprattutto se naturali, possa comportare effetti collaterali al maschio stesso, né fisici, né psicologici.
Le Enti Nazionali di alcuni Paesi, tra cui ad esempio i Paesi Bassi, hanno imposto il requisito minimo di 2 anni per poter far accoppiare un maschio, ma queste sono scelte più fondate sull’etica che su aspetti anatomici e clinici.
Non esiste alcuna indicazione clinica per cui far accoppiare un soggetto maschio troppo giovane comporti dannosità al soggetto stesso, ed è proprio per questa motivazione che la nostra E.N.C.I. non ha mai annunciato limitazioni in merito.
Inutile quindi insistere nel voler affermare che i maschi devono attendere una certa età per poter montare. Quando un maschio mostra interesse verso una femmina in estro, significa che non ha nessuna difficoltà nel fecondarla.
Certamente non si può pretendere che tutti i maschi giovani, alla loro prima esperienza, riescano subito a fecondare, poiché dovranno comprendere la dinamica dell’accoppiamento, e per questo non si dovrà mai forzare questo loro impulso naturale, che verrà compreso con la giusta tempistica dettata dal loro istinto. Bisogna quindi avere pazienza alla prima esperienza di un maschio, ma per la maggioranza delle razze, anche in precoce età, i maschi possono arrivare a montare la femmina senza difficoltà alcuna.
Più volte mi son trovato in passato ad assistere a maschietti giovani che scalpitavano per voler andare ad accoppiare una femmina in calore, ed ero costretto ad allontanarli e chiuderli a distanza.
Una ventina di anni fa, un mio maschio di soli 9 mesi, ceduto in Spagna, volle accoppiarsi con una femmina in estro e non ebbe nessuna complessità nel procedere.
In conclusione, non vedo nessun impedimento nel concedere una femmina ad un maschio giovane, se quest’ultimo è in grado di accoppiarla, se quell’accoppiamento è compatibile, e se è nell’interesse dell’allevatore.

– Falso Tabù n° 4: Mai accoppiare femmine in età avanzata.

Mentre nel tabù precedente abbiamo visto che non vi era nessuna ragione clinica per cui non poter far accoppiare un maschio giovane, vi sono invece diverse motivazioni per cui è sconsigliabile far partorire una femmina in età troppo avanzata, e queste ragioni non si basano sull’etica, bensì sulla natura, sull’anatomia, su aspetti fisiologici quindi, poiché una femmina anziana subisce un certo stress nella gestazione e nel parto, che può comportare svariati squilibri e complicazioni. Detto ciò, vige l’obbligo di valutare caso per caso, soggetto per soggetto.
Vi sono infinite variabili: razza, taglia, età, familiarità, forma fisica, numero parti, condizioni ambientali, ecc. ecc..
Mai fare di tutt’erba un fascio. La questione va quindi valutata attentamente sia dall’allevatore che dall’esperienza di un medico veterinario.
Ma vi è anche qui un tabù da sfatare: non è vero che non si può accoppiare una fattrice dopo i 7 anni, e questo non lo dico certo io, ce lo dice sempre la nostra Ente nazionale (art. 11 del Codice etico dell’allevatore di cani).
Accoppiare una femmina dopo i 7 anni è possibile quindi? Certamente!! Basta che la fattrice venga visitata da un veterinario previa accoppiamento e venga dichiarata IDONEA.
Il veterinario deve redigere una certificazione che l’allevatore dovrà poi allegare alla denuncia di cucciolata. Tutto qui.
Io stesso ho avuto diverse fattrici che, anche in età avanzata, non parevano mostrare nessun segno di invecchiamento, e si presentavano ancora perfettamente in grado di sostenere una gravidanza; per questo motivo sono state poi ritenute idonee e hanno affrontato il parto senza alcun genere di problematica.
Vi sono razze che hanno una longevità elevata e una rusticità che sembrano nel fiore degli anni anche da anziani, e quindi in questi casi non vi è alcuna controindicazione nel portare avanti una eventuale cucciolata.
Comunque è sempre il buon senso a dover prevalere in certe valutazioni… ovvio che una fattrice, arrivata ad una veneranda età, ha tutto il diritto di riposarsi e di godersi il pensionamento.

– Falso Tabù n° 5: Mai praticare l’inseminazione artificiale.

In tutta sincerità non ho mai capito questa stranissima avversione nei confronti dell’inseminazione artificiale, che ritengo essere una tecnica utilissima, del tutto sicura, che può apportare svariati vantaggi, soprattutto nelle razze in cui la monta naturale non è così semplice da svolgere.
Più volte ho letto che tale pratica è da evitare, ma guarda caso, non vi era mai indicata la motivazione per cui tale modalità di fecondazione andava estromessa dal proprio allevamento.
Ovvio che una monta naturale deve sempre avere la precedenza e che un allevatore serio deve cercare di attenersi il più possibile ai normali processi fisiologici dei propri animali, ma vi sono altrettante valide motivazioni per ricorrere all’artificiale. La stessa Ente nazionale sconsiglia l’artificiale, ma da evitare solo – cito testualmente quanto riportato nell’art. 14 del Codice etico – per quei soggetti in grado di accoppiarsi naturalmente.
Quindi per soggetti che non sono in grado di riprodursi naturalmente è possibile mettere in atto l’artificiale.
Per gran parte dei molossi ad esempio, l’inseminazione artificiale è oramai all’ordine del giorno.
Nel Mastino Napoletano, per fare un esempio a me familiare, statisticamente una monta su tre è svolta con inseminazione artificiale; in altre razze, come ad esempio nel Bulldog Inglese, queste percentuali sono ancora più elevate.
Questo è dato dall’anatomia stessa dell’animale, dalla selezione estremizzata, che è andata a snaturare quello che è uno dei comportamenti più naturali di tutti, un istinto che in alcune razze si sta perdendo.
La fecondazione artificiale è utilissima quindi in molte razze, ma capita di utilizzarla anche in razze molto più vigorose, che non ne avrebbero necessità in condizioni normali, ma che talvolta risulta essenziale in determinati casi.

Il più eclatante è il caso in cui lo stallone si trova lontano, a molti chilometri di distanza. Quando si decide di accoppiare con un maschio estero o comunque con un soggetto locato in un allevamento a grande distanza, l’inseminazione artificiale può essere utilissima, poiché se la femmina non vuole concedersi o se il maschio non riesce ad accoppiarla, allora si potrà intervenire con l’inseminazione, con il vantaggio quindi di non perdere il calore e di non fare un viaggio a vuoto. Stessa cosa vale anche se più semplicemente si utilizza lo stallone di casa, che magari non riesce per variabili non ben identificate, a svolgere la monta, si potrà procedere ad un prelievo di liquido seminale e alla conseguente fecondazione.
Potrei elencarvi altri cento casi in cui questa pratica risulta indispensabile, e ribadisco che non si tratta di una forzatura, bensì di un metodo alternativo di fecondazione.

Sfatiamo anche il mito ricorrente che debba per forza essere un medico veterinario a svolgere l’inseminazione artificiale… è ovviamente da preferirsi, perché chi meglio di un veterinario può conoscere la dinamica… Ma ciò non toglie che anche un allevatore può imparare e può riuscire ad eseguirla con metodo e con successo… io stesso ho svolto, nel corso della mia carriera di allevatore, almeno una quarantina di volte l’inseminazione artificiale, devo dire con risultati più che soddisfacenti.
Questa pratica quindi non è un intervento, non è una operazione chirurgica, non è una tecnica di medicina, è soltanto un metodo di fecondazione che l’allevatore può benissimo apprendere e svolgere anche senza l’ausilio di un veterinario. Chi ha svolto l’inseminazione artificiale nel proprio allevamento non è quindi un biasimevole allevatore, ma semplicemente una persona che conosce ed utilizza anche questa metodologia per allevare, tutto qui.

– Falso Tabù n° 6: Mai allevare in appartamento.

Opinabile. Dipende dalla razza, dipende dalla disponibilità di tempo, dipende dalla quantità dei riproduttori.
Quasi tutti hanno razze di piccola taglia, cani da compagnia, o comunque piccoli terrier. Ovvio che sarebbe quasi impossibile allevare i Mastiff o gli Alani in appartamento, per ovvie ragioni, ma per alcune razze di ridotte dimensioni, non vedo grosse problematiche.
Per un breve periodo io ho abitato in un appartamento, e all’epoca feci alcune cucciolate di Bouledogue francesi, senza nessuna difficoltà e senza che i cani fossero in alcun modo traumatizzati da questa condizione, anzi, ne erano più che felici.
Riflettendo mi vengono a mente almeno una trentina di allevatori che hanno sempre allevato i loro cani di piccola taglia nel proprio appartamento, arrivando a grandi traguardi selettivi e a grandissimi successi espositivi.

– Falso Tabù n° 7: Mai cedere il cucciolo prima dei 3 mesi di età.

Falso tabù a metà. Perché dico questo? In teoria la smentita di questo luogo comune arriva direttamente dalla nostra E.N.C.I.
All’articolo 21 del Codice etico dell’allevatore di cani, redatto appunto dall’Ente Nazionale della Cinofilia Italiana, si legge: “Non consegnare cuccioli prima dei 60 giorni di vita”.
Quindi non esiste impedimenti per cedere soggetti dopo i 3 mesi, ma esiste un obbligo di cederli dopo i 60 giorni… Ma è indicato 60 giorni, non 90 giorni.
Ma si sa, in Italia ci si deve attenere non solo ai regolamenti delle Enti ministeriali, ma anche alle normative dettate dalle aziende sanitarie. Questo obbligo dei 60 giorni, purtroppo non vige in tutte le Regioni d’Italia… infatti, ad esempio, nella Regione Lombardia esiste una normativa al riguardo, che indica di dover cedere i cuccioli di cani e gatti, non prima dei 90 giorni.

Ma allora perché è stata messa in giro questa voce che il cucciolo debba restare sempre in allevamento fino ai 3 mesi? La motivazione, se ho capito bene, è data dal fatto del famigerato “imprinting”, ossia l’apprendimento che un cucciolo può assorbire stando a contatto con la madre il più possibile. Questo è sicuramente vero, ma per i lupi, allo stato naturale, e per pochissime razze che hanno conservato ancora quell’istinto arcaico, ma sono eccezioni che nel regno dell’allevamento canino, non fanno testo.
Quando si valuta una questione, bisogna sempre valutarne pro e contro, vantaggi e svantaggi.
Non vi sono grossi vantaggi nel trattenere in allevamento un cucciolo fino ai 3 mesi di età, ma al contrario, esistono svariati svantaggi nel farlo.
Innanzitutto, è proprio la madre che ha l’esigenza di staccarsi dai cuccioli, che dopo i 60 giorni, iniziano ad infastidirla, a morderle i capezzoli, a graffiarla con le loro unghiette appuntite, a non darle tregua, e ciò rende la fattrice insofferente e talvolta vogliosa di prendere le distanze dalla prole. Oltre a questo aspetto vi è l’esigenza di evitare lo sporco, pertanto la madre si vedrà costretta a ingerire le feci dei propri cuccioli, che dopo una certa età non sono più ormai derivanti dal solo latte, pertanto la continua ingestione delle deiezioni potrebbe comportare nella madre degli squilibri.
Il contatto tra cucciolo e madre è sicuramente importante, ma ai fini dell’apprendimento, i 60-70 giorni possono essere considerati più che soddisfacenti.
Oltre a quanto già detto, subentra anche il fattore spazio, il fattore tempo, il fattore cessione.
A mio parere, quando un cucciolo viene consegnato al nuovo proprietario a 60 giorni, ha maggiori possibilità di ambientarsi meglio, di affezionarsi più velocemente, di adattarsi alla nuova famiglia, alla nuova abitazione, più serenamente. Inoltre, cedere i cuccioli subito dopo aver terminato la dovuta prassi di vaccinazioni, concede all’allevatore la possibilità di ricreare le condizioni di spazio/tempo, per dedicarsi semmai alla crescita del soggetto di quella stessa cucciolata, che si è deciso di mantenere in allevamento.
Quindi in conclusione, anche questo falso mito è parzialmente da sfatare… Sì, si può cedere un cucciolo prima dei 3 mesi, quasi in tutte le Regioni del nostro Paese.

– Falso Tabù n° 8: Mai ripetere la stessa monta più di una volta.

Credo che questo sia uno dei tabù più assurdi che io abbia mai recepito in rete. Incredibile veramente che vi siano persone che hanno da obiettare anche sul fatto che un allevatore possa ripetere più volte il medesimo accoppiamento… intendo con lo stesso maschio e la stessa femmina, per più di una volta.
Penso che in questo caso ci sia poco da sfatare… il tabù è talmente assurdo che viene da ridere al sol pensiero di un allevatore che non può ripetere lo stesso accoppiamento più volte.
Ritengo di non esagerare se affermo che solo nel mio allevamento la cosa è successa almeno un centinaio di volte.
Come possa venire in mente di mettere in giro una informazione così stravagante e irrazionale, per me resterà sempre un mistero.
Se l’allevatore ritiene che da una combinazione abbia ottenuto dei buoni risultati, non vedo il perché tale combinazione non possa essere ripetuta, anche altre 4 volte se lo si ritiene necessario.
Non dimentichiamoci infatti che il limite che l’Ente nazionale italiana ha imposto a tutti gli allevatori è di non superare le 5 cucciolate con la stessa femmina (art. 16 del Codice etico dell’allevatore di cani), ciò non toglie che per queste cinque cucciolate potrebbe eventualmente anche essere impiegato lo stesso maschio… perché no?
Ritengo di aver concesso anche troppo del mio tempo nello sfatare questo tabù, logicamente e palesemente falso al cento x cento.

– Falso Tabù n° 9: Mai far riprodurre soggetti affetti da patologie genetiche.

Qui si potrebbe aprire un dibattito enorme.
Dal punto di vista dell’etica, e solo dell’etica, questo tabù può anche essere fondato, ed è confermato infatti anche dall’articolo 9 del Codice etico dell’allevatore di cani dell’E.N.C.I., che specifica l’astensione dalla riproduzione di tali soggetti, sempre se la patologia sia stata rilevata o manifestata.
Dal punto di vista della genetica applicata, invece, è un falso clamoroso!
Se si valuta la questione considerando la sola genetica, eccoci alle prese quindi con un’altra bufala sdoganata da quella fonte ingannevole di informazioni identificabile nei social network. Forse si tratta del tabù che più ha attecchito nella mente dei cinofili, ma che, come vedremo, è assolutamente infondato.
Premesso che in Italia, per la stragrande maggioranza delle razze, non esiste nessun obbligo da parte dell’Ente nazionale della cinofilia italiana, di effettuare determinati controlli genetici con i famigerati test di screening; è ovvio che comunque, per fortuna, gran parte degli allevatori sistematicamente provvedono ad eseguire i principali screen genetici ai propri riproduttori, e questo non può che essere una scelta ottimale, indice di affidabilità e serietà del centro di selezione.
Non confondiamo le cose… qui non si sta parlando di “displasia all’anca” o di patologie congenite, polifattoriali, per le quali non è un singolo gene a dettarne il rischio… questo tabù è riferito alle patologie genetiche, quindi quelle facilmente identificabili tramite la ricerca del singolo gene incriminato (ad esempio Iperuricosuria, Mielopatia degenerativa, Ipertermia maligna, ecc…), che possiamo andare a ricercare con un semplice prelievo di sangue o con un tampone salivare.

Detto ciò, sappiamo bene che da un test genetico gli esiti diagnostici possono essere tre distinti: esente (omozigote negativo), portatore sano (eterozigote) o affetto (omozigote positivo).
Scartando subito tutte le dicerie e le credenze messe in circolo… soltanto due sono le regole da tenere bene a mente:

1) Se si ha un soggetto esente da una determinata patologia genetica, non vi sono problemi e lo si può accoppiare con qualunque altro soggetto, a prescindere dal risultato del test svolto sul soggetto di sesso opposto.

2) Nel caso in cui si abbia uno degli altri due risultati (quindi portatore sano o affetto), la scelta è obbligata: lo si dovrà accoppiare gioco forza con un soggetto di sesso opposto esente dalla medesima patologia.

Questo è ciò che ci dice la genetica. Tutte le affermazioni che vanno oltre i suddetti concetti, sono assolutamente irrilevanti.
C’è infatti chi sostiene, senza alcuna ragione logica a supporto, che un soggetto affetto da una determinata patologia, non può essere mai accoppiato… e si è arrivati ad affermare che andrebbe addirittura sterilizzato immediatamente, per evitarne la riproduzione. Visto che se si seguono le 2 suddette regole, non si può in alcun modo danneggiare la prole, questa convinzione allora da cosa è dettata? Ho cercato di comprenderne le motivazioni, ma sinceramente, nonostante abbia letto svariati testi di genetica applicata, non ne sono mai arrivato a capo. Forse si tratta semplicemente di una convinzione passata di tastiera in tastiera, che poi si è propagata a dismisura, ma che non ha nessuna “pezza d’appoggio” sul piano scientifico.

Accoppiare un soggetto affetto da una determinata patologia genetica con un soggetto esente dalla stessa patologia, porterà a produrre soggetti portatori sani, quindi non sintomatici della patologia del genitore affetto. Questi stessi figli, accoppiati a loro volta con soggetti esenti dalla medesima patologia, produrranno soggetti portatori sani e soggetti esenti. Quindi in sole due generazioni la patologia andrà a sparire.
I test genetici si fanno proprio per questo motivo, per avere una traccia su come procedere nel proprio programma di allevamento e di selezione.
In casi eccezionali quindi, se il soggetto affetto dalla patologia ha delle doti morfologiche eccelse o un esimio patrimonio genetico che l’allevatore riconosce come prezioso e che non dovrà quindi essere perduto, allora non esiste il motivo per cui questo esemplare non dovrebbe essere impiegato in riproduzione, pur utilizzando un soggetto di sesso opposto esente, s’intende.

L’uso dell’etichetta talvolta è un metodo molto comodo per evitare una discussione seria sull’argomento.
Pur di sviare il dibattito, si preferisce attribuire scelte sbagliate all’allevatore, pur non avendo le giuste motivazioni per farlo… e naturalmente, in buona fede, in molti che assistono alla contesa, cadono nel trappolone.
Tutto il concetto sopra descritto è per far capire che non sempre un soggetto deve essere scartato se presenta dei difetti genetici, laddove è possibile, bisogna saper valutare soluzioni alternative per non perdere un potenziale genetico di livello, o connotati sopraffini, facendo contemporaneamente il possibile per debellare le patologie genetiche riscontrate.

La verità è che, se veramente si dovessero scartare dalla riproduzione tutti i soggetti affetti e/o portatori sani delle principali patologie genetiche, si assisterebbe soltanto ad una immediata depressione della variabilità genetica della razza, che, non dimentichiamolo mai, è sempre la vera grande risorsa, di valore inestimabile.

– Falso Tabù n° 10: Mai negare l’accesso al proprio allevamento.

Premesso che ognuno a casa propria, nei limiti della legalità, dell’etica, e nel rispetto delle norme, fa quello che vuole, c’è da chiarire subito che non sempre l’allevamento è una vera e propria attività, ma nella maggioranza dei casi si tratta di una passione, che può essere svolta tranquillamente dalla propria abitazione.
Leggo spesso che un allevatore serio si differenzia da un allevatore scadente, se concede a tutti di visitare il proprio allevamento. Questa affermazione è, inutile dirlo, una sciocchezza.
Anzi, vi dirò di più… io ho sempre pensato l’esatto opposto.
Per me l’allevatore che non apre a tutti il proprio centro di selezione, fa la scelta ottimale, sia per tutelare la salute dei propri cuccioli, sia per evitare perdite di tempo talvolta scontate.
L’allevamento è un’oasi in cui si svolge un lavoro di ricerca, di perfezionamento, di valutazione, di addestramento… non vi è alcun motivo per cui tali attività debbano essere rese pubbliche.
Ovvio che, quando arriva il giorno della consegna dei cuccioli ai nuovi proprietari, questi potranno venire in allevamento per vedere e valutare l’acquisto, ma si tratta comunque di persone con una determinata finalità e soprattutto su invito.
Per anni io stesso ho aperto il mio allevamento a tutti, ed erano diventate quasi di routine le visite di famiglie, che altro non volevano che farsi la “giratina” della domenica, facendo perdere tempo prezioso a chi, come il sottoscritto e come tutti gli allevatori, tempo da perdere non ne ha.
Addirittura, mi sono capitate persone che arrivavano nel mio allevamento con il proprio cane al seguito, rischiando di fungere da vettore per parassiti o altre patologie.

C’è da considerare infatti che persone sconosciute, possono portare in allevamento svariate problematiche… chi vi dice che non provengano da zone contaminate da virus o da batteri nocivi?
Io resto dell’idea che consentire a chiunque ne faccia richiesta di visitare il proprio allevamento, è un rischio inutile, quindi eludibile.
L’allevamento non è uno zoo da visitare, bensì un luogo da preservare il più possibile. Falso tabù quindi, che non deve certo essere interpretato come ago della bilancia per stabilire l’affidabilità e l’onestà di un allevatore. Questi erano solo dieci falsi tabù; solo una piccolissima parte delle tante chiacchiere insussistenti che pervadono la cinofilia, ma anche altri settori.

Spero con questi miei brevi chiarimenti, di aver portato un po’ di chiarezza e di aver permesso ai neofiti di valutare anche altre strade percorribili per il loro programma di selezione… strade aliene da qualsiasi forma di illogicità.

Una sala parto dell'allevamento Rainbowking's cani
Una sala parto dell’allevamento Rainbowking’s

Federico Vinattieri è un appassionato allevatore cinofilo, giudice F.I.A.V., ornitofilo e avicoltore (titolare Allevamento di Fossombrone – www.difossombrone.ithttp://lupi.difossombrone.ithttp://ornitologia.difossombrone.it). Curriculum vitae >>>