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Un angelo messaggero dai boschi alla nostra cucina

di Ezio Casali

L’Angelica (dal greco ἄγγελος , angelo, messaggero, corriere) deve probabilmente il suo nome al gradevole profumo emanato dalla pianta: nel medioevo questa pianta veniva chiamata “herba angelica” in quanto si credeva proteggesse dal diavolo ed avesse la capacità di curare da tutti mali.
Le specie più interessanti sono fondamentalmente due:
– A. archangelica (A. officinalis); coltivata per le sue proprietà aromatiche (i semi e/o l’olio essenziale vengono utilizzati in liquoristica e per aromatizzare prodotti alimentari quali budini, caramelle, gelati, ecc., ma anche saponi dentifrici ed altri cosmetici) si può raramente trovare allo stato spontaneo solo se rinselvatichita;
– A. sylvestris; si può ritrovare praticamente in tutta Italia fino ai 1.600 metri di altitudine. Predilige luoghi poco assolati ed umidi, ed è quindi più facile ritrovarla lungo i fossi, ai margini dei boschi e dove, in genere, vi sia presenza di acqua.
E’ una pianta erbacea perenne, dotata di un fusto molto robusto, cavo, di colore rossastro-violetto che può raggiungere anche i due metri di altezza ed alla cui sommità in fioritura si aprono delle grandi ombrelle formate dalle infiorescenze.
La fioritura avviene tra maggio ed agosto secondo la latitudine e l’altitudine ed i fiori, formati da 5 petali bianco-rosati, sono molto piccoli e si riuniscono in ombrellette, le quali a loro volta, in numero di 30 – 50 vanno a formare le grandi ombrelle prima citate.

Angelica sylvestris
Fusto e infiorescenze di Angelica sylvestris (Fonte: Wikimedia Commons)

Le foglie sono molto grandi (quelle basali possono raggiungere anche i 60 cm) e presentano lamina tripennata; quelle inferiori sono picciolate, mentre quelle più vicine all’apice sono praticamente sessili (cioè senza picciolo).

Angelica sylvestris
Foglie di Angelica sylvestris ed esempio di disposizione delle foglie tripennate (modificato da Wikimedia Commons)

Uno dei pericoli ai quali va posta attenzione quando si esce alla ricerca di piante spontanee da utilizzare a scopo alimentare è quello di non confondere specie simili tra loro: nel caso dell’Angelica sylvestris questa potrebbe essere scambiata con la cicuta, una pianta simile che però è molto pericolosa ed anch’essa presente praticamente su tutto il territorio italiano nello stesso areale dell’Angelica. In questo caso il riconoscimento è facilitato dal fatto che la cicuta, quando viene spezzata, emana un forte odore di urina di gatto e che, se viene masticata, si avverte sulla lingua una sgradevole sensazione di bruciore che ci allerta e ci rende consapevoli del pericolo.

Angelica sylvestris, Conium maculatum
Un esempio di piante che potrebbero essere confuse tra loro: a sinistra angelica (Angelica sylvestris) e a destra cicuta (Conium maculatum). Sono entrambe due Apiacee (o Ombrellifere). (Fonte: Wikimedia Commons)

Per l’utilizzo gastronomico si possono raccogliere i piccioli fogliari ed i teneri apici dei rami e dei fusti, che vanno raccolti preferibilmente nel periodo aprile – maggio (in certi casi si possono trovare parti ancora edibili anche a giugno, ma più si avanza con la stagione e più diventa difficile trovare parti di pianta sufficientemente teneri ed appetitosi).
Le parti verdi e tenere possono essere lessate ed utilizzate come verdura di contorno, nonché utilizzate nella cottura di pesci e crostacei; le parti verdi particolarmente tenere possono anche essere utilizzate crude per la preparazione di insalate miste.
Un altro interessante uso è quello di utilizzare un trito di foglie e piccioli teneri nell’impasto dei biscotti, ai quali conferisce un caratteristico aroma (magari associato a quello della vanillina).
Nei paesi del Nord Europa l’Angelica è molto utilizzata nella preparazione di dolci e particolarmente apprezzata è l’Angeliza candita, che può essere preparata seguendo questa ricetta:
si prendono dei piccioli fogliari, che vanno accuratamente puliti e lavati. Si distribuiscono quindi in strato unico in una casseruola e si ricoprono con acqua e zucchero: si fa bollire il tutto a fuoco lento per circa 10 minuti e si fa riposare per 24 ore. Il giorno dopo si aggiunge ancora acqua e zucchero a ricoprire i i piccioli, si fa bollire lentamente ancora per circa un quarto d’ora e si lascia riposare ancora 24 ore. Il terzo giorno i piccioli vanno tolti dalla casseruola, lo sciroppo zuccherino va fatto bollire per circa 5 minuti per renderlo più denso ed al termine della bollitura i piccioli vanno rimessi nello sciroppo e lasciati riposare un altro giorno ancora. Il quarto giorno si fa bollire tutto l’insieme (sempre a fuoco basso) fino a quando lo sciroppo non è stato quasi del tutto assorbito; a questo punto si tolgono i piccioli dalla casseruola e si fanno asciugare su una superficie cosparsa di zucchero (attenzione a farli asciugare rigorosamente separati uno dall’altro). Una volta ben asciutti si rigirano nello zucchero e possono essere tranquillamente conservati in un vasetto di vetro, meglio se scuro (ricordiamo che la conservazione delle erbe, spontanee od officinali, è sempre consigliabile avvenga in assenza di luce, la quale accelera i fenomeni di scadimento qualitativo delle stesse).

Ezio Casali, iscritto all’Albo Provinciale degli Agrotecnici e degli Agrotecnici laureati di Cremona, insegna presso l’Istituto Tecnico Agrario Statale “Stanga” di Cremona. Si occupa di autocontrollo, soprattutto negli agriturismi, e di agricoltura multifunzionale. Curriculum vitae >>>

 

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