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I solfiti in enologia

di Marco Sollazzo

TerrAmica

Il diossido di zolfo (SO2), meglio noto con il nome di solforosa, è un prodotto impiegato dalla maggior parte delle aziende vitivinicole nella produzione dei vini. È comunemente impiegato sotto forma di metabisolfito del potassio K2S2O5 che in acqua produce anidride solforosa.
La solforosa è principalmente utilizzata per la sua proprietà antiossidante, cioè è in grado di legarsi all’ossigeno attraverso la seguente reazione:

SO2 + ½ O2-> SO3

Se non fosse aggiunta la solforosa nel vino, l’ossigeno presente reagirebbe con altre molecole, quali:
a) polifenoli, principalmente antociani disostituiti (perdita di colore);
b) molecole aromatiche, tioli in particolare (perdita di aroma);
c) etanolo, acetaldeide, molecole secondarie con formazione di acido acetico ed altri composti indesiderati.
Il diossido di zolfo è in grado di svolgere altre importanti funzioni:
– azione antisettica: è particolarmente adatto per selezionare l’ecologia microbica del mosto e del vino. Lieviti e batteri sono sensibili all’azione della solforosa, perciò all’aumentare della dose di solforosa si può inibire l’attività di una o più specie di microrganismi che influiscono negativamente sulla qualità del vino;
– azione antiossidasica: la solforosa è in grado di inibire l’azione di alcuni enzimi ossidativi evitando la perdita di colore e la formazione di spunto acetico;
– azione solubilizzante: questa proprietà della solforosa, seppur minima, può portare alla cessione di alcuni composti nel mosto durante la macerazione. La solforosa in acqua si comporta da acido, di conseguenza favorisce l’estrazione di alcuni composti, ad esempio dei polifenoli.

Solforosa nel vino

Al pH del vino, la solforosa si trova in equilibrio sotto diverse forme. Solo la solforosa molecolare, una piccolissima percentuale della solforosa libera (e totale), svolge un’azione antiossidante e antimicrobica; le altre forme risultano non utili ad esplicare queste attività (fig.1).

Diverse forme di solforosa presente nel vino
Fig.1 – Diverse forme di solforosa presente nel vino

L’anidride solforosa libera si trova in concentrazione più alta a pH bassi; perciò a parità di dose aggiunta, nei vini a basso pH, la sua azione sarà maggiormente efficace. E’ stato dimostrato che anche una gradazione alcolica e una temperatura più alta, nei limiti del processo tecnologico, possono spostare l’equilibrio della solforosa verso la forma fisiologicamente attiva.
E’ quindi importante evitare aggiunte di anidride solforosa in particolari momenti tecnologici della produzione del vino (ad esempio quando il mosto è in fermentazione), perché oltre a svolgere un’azione antisettica, ha la capacità di legarsi a composti intermedi di fermentazione (tab.1), causando una diminuzione della sua efficacia e riducendo la resa percentuale in etanolo.

Alcuni composti che possono combinarsi con la solforosa
Tab.1 – Alcuni composti che possono combinarsi con la solforosa

È inoltre noto che Saccharomyces cerevisiae, il lievito principe della fermentazione alcolica, produce solfiti come sottoprodotto del suo metabolismo. La quantità di solfiti prodotta dal lievito è variabile (la stima varia da pochi milligrammi fino a oltre 50mg per litro).
Proprio per tutte le considerazioni fatte, l’uso razionale e intelligente dell’anidride solforosa in enologia deve essere valutato da una figura professionale specifica, con analisi alla mano per decidere al meglio la quantità e i momenti tecnologici ottimali di aggiunta; questi permetteranno di avere la massima dose attiva nel vino e di non superare la dose massima ammessa dalla legge. Come se non bastasse, il suo uso eccessivo, può compromettere la qualità del vino con la produzione di aromi sgradevoli.

Quando aggiungere la solforosa e quanta?

Se dovessimo considerare la solforosa per la sua proprietà antiossidante, tale additivo andrebbe aggiunto dove il contatto di ossigeno può rappresentare un serio problema per la qualità del vino. Le fasi tecnologiche più critiche sono: il periodo che intercorre tra la raccolta e la pigiatura delle uve, il momento di svinatura, i travasi, le relative filtrazioni e l’imbottigliamento. Non è possibile indicare delle dosi medie, proprio per l’estrema variabilità dei prodotti, per l’aspetto salutistico e per il tipo di lavorazione che si vuole seguire.

Limiti legislativi ed aspetto salutistico

Nonostante le importanti proprietà dell’anidride solforosa è noto che essa ha un’azione tossica sull’uomo, che ne limita l’impiego. Negli individui sani, alle dosi comunemente impiegate nell’industria alimentare, l’anidride solforosa è considerata un additivo sicuro. Tuttavia, alcuni individui sensibili possono manifestare, anche con basse dosi di solfiti, delle reazioni pseudo allergiche; questo perchè viene facilmente assorbita nel tratto superiore dell’apparato respiratorio e l’alta reattività la rende un composto estremamente irritante.
Il tenore di solforosa massima previsto dal regolamento 606/2009 della Comunità Europea è fissato a 150 mg/L nei vini rossi e 200 mg/L nei vini bianchi. Nei vini biologici questi limiti sono ridotti rispettivamente a 100 e 150mg/L. Fanno eccezione la produzione di vini spumanti, passiti e prodotti con deroghe particolari in funzione dell’annata.
I solfiti sono molecole che vengono trasformate in solfati durante il passaggio nell’apparato digerente. Il contatto dei solfiti alimentari con il pH dello stomaco genera una certa quantità di anidride solforosa che può indurre attacchi di broncospasmo nei soggetti asmatici.
Il mal di testa provocato da una dose eccessiva di solfiti sembrerebbe essere legato all’enzima solfito-ossidasi del nostro corpo. Tale enzima esplica un’azione detossificante trasformando i solfiti in solfati utilizzando quantità, seppur minime, di ossigeno: questo limiterebbe l’afflusso dell’ossigeno alla testa con conseguente sensazione di capogiro e cerchio alla testa. Non si può escludere l’azione combinata dell’alcool per tale sintomo.
Proprio per la potenziale attività pseudo allergenica dei solfiti, i produttori alimentari sono obbligati a riportare in etichetta la presenza di questa sostanza qualora venga superata la dose di 10 mg/L. In generale, si stima che i solfiti causino problemi a circa lo 0,05-1% della popolazione, con un rischio sensibilmente maggiore per gli individui asmatici (circa il 5%).
Non bisogna però pensare che solo il vino impieghi la solforosa come additivo, molti sono i prodotti alimentari dove i solfiti vengono comunemente aggiunti. Da uno studio emerge che, le dosi ritrovate in altri alimenti, sono risultate più alte rispetto a quelle impiegate nel vino (tab.2).

Solfiti a confronto nei vari preparati alimentari
Tab.2 – Solfiti a confronto nei vari preparati alimentari

Conclusioni

Proprio per il suo impatto salutistico e per le numerose variabili che entrano in gioco, è sconsigliato improvvisare aggiunte dei solfiti nell’uva, nel mosto e nel vino. E’ consigliabile rivolgersi ad una figura tecnica abilitata che possa decidere i momenti tecnologici ideali di aggiunta e, prima di fare un’altra aggiunta, consultare le analisi relative alla solforosa già presente nel vino. Sono numerosi i prodotti enologici proposti in alternativa alla solforosa, ma purtroppo, alle conoscenze attuali, nessuno di questi sembra mostrare le molteplici azioni svolte da quest’ultima. La ricerca sta in tal senso intensificando gli studi al fine di trovare un prodotto di origine naturale che possa risolvere gli inconvenienti salutistici dei solfiti e dei suoi derivati. Inoltre, tutte le operazioni colturali in vigna volte ad evitare l’insorgenza di patogeni (potatura invernale ed estiva, concimazioni, trattamenti fitosanitari, rimozione di materiale infetto, selezione delle uve, etc) e lavorazioni in cantina (utilizzo del freddo, impiego di gas inerti, lieviti selezionati, prodotti alternativi alla solforosa) possono favorire il contenimento dell’uso dell’anidride solforosa.

dalla Rivista TerrAmica – num. 2 Gennaio 2015

Marco Sollazzo, laureato in Tecnologie Alimentari ed Enologiche, Curriculum Viticoltura ed enologia presso la Facoltà di Agraria di Viterbo, ha conseguito la laurea magistrale in Scienze viticole ed enologiche interateneo presso la Facoltà di Agraria di Torino, discutendo la tesi “Valutazione delle condizioni analitiche del test di minicontatto e impiego di biopolimeri per la stabilizzazione tartarica dei vini”. Curriculum vitae >>>

 

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