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I reati penali in agricoltura

di Michele Piccioni

caporalato lavoro nero agricolturaIn ambito agricolo come del resto in altri settori, il legislatore ha previsto ipotesi di reato al fine di punire e reprimere condotte e/o comportamenti che hanno ripercussioni di tipo criminoso, economico con possibili conseguenze in materia d’ordine pubblico.
In materia di reati che hanno rilevanza nel settore agricolo dobbiamo prendere in considerazione le seguenti fattispecie:

Il reato di caporalato: Alla base del capolarato vi è uno sfruttamento dell’uomo che è chiamato a svolgere un’attività lavorativa in prevalenza nel settore agricolo ed in quello edilizio in cambio di una retribuzione oraria che non supera i 2 o 3 euro. Al lavoratore non è riconosciuta nessuna forma di tutela sanitaria e previdenziale, possiamo definire tale situazione come una forma di schiavitù moderna. Si tratta di un fenomeno che in Italia trova una larga diffusione soprattutto nel Sud. Alla base del fenomeno spicca la figura del caporale, cioè di colui che provvede a reclutare la manodopera a basso costo e a tenere i contatti con tutte le aziende agricole interessate. Il compenso che il caporale percepisce nello svolgimento della propria attività e sicuramente diverso da quello che viene riconosciuto al singolo lavoratore. Di recente la materia è stato oggetto di un intervento legislativo e attualmente l’articolo 603 bis del codice penale disciplina tale ipotesi di reato. Il codice non la definisce in termini di capolarato ma come forma di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro che rientra tra i delitti contro la libertà individuale.

Si riporta integralmente la disciplina prevista in materia dal codice penale:

  1. Articolo 603 bis codice penale – Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque svolga un’attività organizzata di intermediazione, reclutando manodopera o organizzandone l’attività lavorativa caratterizzata da sfruttamento, mediante violenza, minaccia, o intimidazione, approfittando dello stato di bisogno o di necessità dei lavoratori, è punito con la reclusione da cinque a otto anni e con la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato.
Ai fini del primo comma, costituisce indice di sfruttamento la sussistenza di una o più delle seguenti circostanze:

  • la sistematica retribuzione dei lavoratori in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato;
  • la sistematica violazione delle normativa relativa all’orario di lavoro, al riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria e alle ferie;
  • la sussistenza di violazioni della normativa in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro, tale da esporre il lavoratore a pericolo per la salute, la sicurezza o l’incolumità personale;
  • la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative particolarmente degradanti.

Costituiscono aggravante specifica e comportano l’aumento della pena da un terzo alla metà:
1) il fatto che il numero di lavoratori reclutati sia superiore a tre;
2) il fatto che uno o più soggetti reclutati siano minori in età non lavorativa;
3) aver commesso il fatto esponendo i lavoratori intermediari a situazioni di grave pericolo, avuto riguardo alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro.

Attualmente in Parlamento è in discussione un progetto di legge in materia che prevede la possibilità di confiscare i beni di tutte le aziende agricole che si avvalgono di tale forma di sfruttamento.

  1. Articolo 636 del codice penaleIl reato di introduzione o abbandono di animali nel fondo altrui e pascolo abusivo:

Tale ipotesi di reato è contenuto nel Libro II – Dei delitti contro il patrimonio Titolo XIII – Dei delitti contro il patrimonio mediante violenza alle cose o alle persone all’articolo 636 del codice penale.

Introduzione o abbandono di animali nel fondo altrui e pascolo abusivo: Chiunque introduce o abbandona animali in gregge o in mandria nel fondo altrui è punito con la multa da euro 10 a euro 103. Se l’introduzione o l’abbandono di animali, anche non raccolti in gregge o in mandria, avviene per farli pascolare nel fondo altrui, la pena è della reclusione fino a un anno o della multa da euro 20 a euro 206. Qualora il pascolo avvenga, ovvero dalla introduzione o dall’abbandono degli animali il fondo sia stato danneggiato, il colpevole è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa da euro 51 a euro 516. Il delitto è punibile a querela della persona offesa.

  1. Articolo 316 ter codice penale – indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato.

Salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall’articolo 640 bis, chiunque mediante l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l’omissione di informazioni dovute, consegue indebitamente, per sé o per altri, contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità Europee è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. Quando la somma indebitamente percepita è pari o inferiore a tremila novecentonovantanove euro e novantasei centesimi si applica soltanto la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro da cinquemilacentosessantaquattro euro a venticinquemilaottocentoventidue euro. Tale sanzione non può comunque superare il triplo del beneficio conseguito.

In questa fattispecie di reato la condotta tipica si può concretizzare in due diverse ipotesi:
– utilizzo o presentazione di dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere;
– omissione di informazioni dovute.

Tutte e due le condotte vanno ad integrare nel primo caso il falso o mendacio e nella seconda ipotesi il silenzio antidoveroso, hanno rilevanza penale in quanto determinano erogazioni di contributi che in condizioni diverse non sarebbero state erogate.

  1. Reato di bruciatura di rami e ramaglie.

Bruciare rami e resti di potature di ulivi o da alberi da frutti è stata un’attività svolta dall’uomo fin dalle origini dell’agricoltura e fino a qualche anno fà non era soggetta a nessun tipo di vincolo.

Le cose sono cambiate con l’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 152 del 2006 definito anche come Codice Ambientale, in particolare l’articolo 184 definisce urbani i rifiuti di origine vegetale provenienti da arre verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali e speciali i rifiuti provenienti da attività agricole e agro-industriali ai sensi dell’articolo 2135 del codice civile che si riporta integralmente: È imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse. Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine. Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge.
In definitiva siamo in presenza di rifiuti i quali a seconda della loro natura urbani o speciali devono essere smaltiti secondo le disposizioni di legge e secondo la loro classificazione.
Successivamente il legislatore è intervenuto prima con la previsione di un nuovo articolo nel Codice Ambientale e precisamente l’articolo 184 bis e successivamente ha modificato il testo dell’articolo 185, con tale modifica è stato escluso dalla procedura di smaltimento il seguente materiale:

  • paglia;
  • sfalci e potature;
  • materiale agricolo e/o forestale naturale non pericoloso usato in agricoltura;
  • materiale agricolo e/o forestale naturale non pericoloso usato in selvicoltura;
  • materiale agricolo e/o forestale naturale non pericoloso usato per la produzione di energia – biomasse.

Mentre la paglia e la ramaglia vengono considerati alla stregua di rifiuti e di conseguenza devono essere soggetti a processi di smaltimento.
La situazione è stato modifica e ulteriormente aggravata con la Legge n. 6 del 2014 con la quale si è previsto il reato di combustione illecita di rifiuti che prevede la reclusione da un minimo di due a cinque anni per le persone che appiccano il fuoco a rifiuti abbandonati ovvero depositati in maniera incontrollata in aree non autorizzate.
Da ultimo sempre in relazione alla combustione all’aperto di materiale vegetale, gli enti locali come Regioni e Comuni hanno adottato diverse soluzioni:

  • possibilità di bruciare all’aperto materiali vegetali;
  • divieto categorico di bruciare materiale vegetale;
  • possibilità di bruciare materiale vegetale solo dopo il rilascio di un’autorizzazione da parte del Sindaco a seguito di domanda in carta semplice della persona interessata.
  1. Reato di danneggiamento di alberi monumentali.

Il legislatore italiano grazie alla legge n. 10 del 2013 ha per la prima volta introdotto nell’ordinamento giuridico italiano la definizione di albero monumentale, per tale definizione sono necessari i seguenti requisiti:

  1. l’albero deve essere ad alto fusto o far parte di formazioni boschive naturali o creati dall’uomo;
  2. l’albero e/o gli alberi devono essere secolare tipico in termini di rari esempi di maestosità e longevità per: – età, dimensioni, per pregio naturalistico, per rarità dal punto di vista botanico o per la peculiarità della specie, o hanno rilevanza in relazione ad eventi e/o memorie storiche;
  3. le filari e le alberate devono avere pregio paesaggistico, monumentale, storico e culturale;
  4. alberi ad alto fusto inseriti in particolari complessi architettonici di importanza storica e culturale (ville, monasteri, orti botanici e residenze storiche private);

Con il Decreto Legislativo n. 63 del 2008 gli alberi monumentali a tutti gli effetti entrano a far parte del patrimonio culturale nazionale, di conseguenza su tali alberi può essere posto il vincolo paesaggistico che ne impedisce l’alterazione e/o l’abbattimento.
Da ultimo la legge n. 10 del 2013 stabilisce che in caso di abbattimento o di danneggiamento di alberi monumentali viene applicata una sanzione amministrativa da un minimo di 5.000 euro ad un massimo di 100.000 euro. Può essere applicato anche l’articolo 635 del codice penale che disciplina il reato di danneggiamento che prevede una reclusione da un minimo di sei mesi ad un massimo di tre anni.
Secondo la legge n. 10 del 2013 in Italia è il Corpo Forestale dello Stato che deve provvedere ad effettuare il censimento degli alberi monumentali, mediante l’istituzione di elenchi regionali che devono essere aggiornati da parte dei Comuni.
Sono i Comuni a dover aggiornare l’elenco, ogni volta che viene inserito un albero in tale elenco, il singolo Comune deve provvedere alla pubblicazione nel proprio albo pretorio della località in cui è stato piantato l’albero al fine di realizzare una forma di pubblicità notizia nei confronti della popolazione.

6. Articolo 508 del codice penale – Arbitraria invasione e occupazione di aziende agricole o industriali. Sabotaggio.

E’ un ipotesi di reato prevista nel Libro Secondo – Titolo Ottavo – Dei delitti contro l’economia pubblica, l’industria ed il commercio.
Per tale ipotesi di reato la legge prevede la seguente disciplina:

Chiunque, col solo scopo di impedire o turbare il normale svolgimento del lavoro, invade od occupa l’altrui azienda agricola o industriale, ovvero dispone di altrui macchine, scorte, apparecchi o strumenti destinati alla produzione agricola o industriale, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa non inferiore a centrotre euro. Soggiace alla reclusione da sei mesi a quattro anni e alla multa non inferiore a cinquecentosedici euro, qualora il fatto non costituisca un più grave reato, chi danneggia gli edifici adibiti ad azienda agricola o industriale, ovvero un’altra delle cose indicate nella disposizione precedente.
In relazione a tale fattispecie di reato vengono definite aziende agricole o industriale anche i luoghi in cui si svolgono attività senza fini di lucro, come ad esempio i cantieri-scuola. Invece si esclude che rilevino le aziende commerciali, cui la disposizioni non fa cenno, come ad esempio alberghi, negozi.
Da ultimo in relazione a tale fattispecie di reato la condotta di invasione si realizza qualora il soggetto si sia arbitrariamente introdotto con qualsiasi mezzo nell’azienda altrui, mentre quella di occupazione prevede la presa di possesso della stessa.

  1. Articolo 517 quater del codice penale – Contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari.

Tale ipotesi di reato disciplinata dal codice penale dispone quanto segue:

Chiunque contraffà o comunque altera indicazioni geografiche o denominazioni di origine di prodotti agroalimentari è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a euro 20.000.
Alla stessa pena soggiace chi, al fine di trarne profitto, introduce nel territorio dello Stato, detiene per la vendita, pone in vendita con offerta diretta ai consumatori o mette comunque in circolazione i medesimi prodotti con le indicazioni o denominazioni contraffatte.
Si applicano le disposizioni di cui agli articoli 474-bis, 474-ter, secondo comma, e 517-bis, secondo comma.
I delitti previsti dai commi primo e secondo sono punibili a condizione che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali in materia di tutela delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari

 

Michele Piccioni, laureato in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Camerino ha conseguito successivamente un Master in “Diritto Economia e Tecnologie Informatiche” e una Specializzazione in Diritto Civile. Attualmente è docente presso diverse Scuole Superiori della Provincia di Macerata. Curriculum vitae >>>

 

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