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Razze Caprine Italiane: il loro futuro…

il loro futuro…, inizia da un corretto confronto sulle “sfide”!

di Luigi Andrea Brambilla

Mostra di capre alpine a Croveo
Mostra di capre alpine a Croveo 2007 – VCO-Piemonte (foto Luigi A. Brambilla)

Introduzione
L’importanza, se pur ancora troppo a livello concettuale, dell’allevamento delle razze zootecniche in pericolo di estinzione, rende difficile pensare a un futuro della zootecnia senza le nostre razze autoctone. Tuttavia, nel settore caprino e nelle razze alpine in particolare, le sfide che attendono questa specie sono molteplici e impegnative.
Se momentaneamente si tralascia la sfida più ovvia, quella economica, che comunque divide sostenitori e non delle capre locali, in quanto i primi vengono indicati come  enfatizzatori del ruolo delle capre locali nell’economia zootecnica alpina del futuro, senza però chiarire come, quando e dove questo avverrà, le restanti problematiche mettono comunque e ulteriormente a dura prova le nostre razze.
Le difficoltà infatti, che caratterizzano il settore caprino delle razze locali, sono spesso affrontate con principi e metodi sperimentati sulle razze selezionate, senza aggiungere nulla se non un certo adattamento al gruppo di stalle in cui si va ad operare e non alle condizioni complessive della razza. Questo approccio culturale, cioè trasferire conoscenze a chi è venuto dopo, in questo caso solo in termini di interesse istituzionale, e che è stato modello per parecchi anni, andrebbe sgretolato/demolito.  Andrebbe oggi costruito un nuovo modello di pensiero. Il settore delle capre locali alpine e le problematiche annesse, andrebbe infatti considerato come un qualcosa di unico, di nuovo e a sé. In questo modo e in maniera realistica, il loro futuro e le loro sfide, starebbero finalmente nella capacità di “inventarsi” qualcosa di nuovo, di attendibile e applicabile nella realtà.

Indici di Salvaguardia, Indicatori di Potenzialità
Fra i differenti strumenti che l’Ue ha messo a punto in tutti questi anni per tenere sotto controllo l’andamento dell’agricoltura nei diversi paesi e i rispettivi effetti delle Politiche Agricole Comunitarie, il più importante, ma anche il più discusso, è sicuramente quello degli indici. Essi sono delle elaborazioni di dati di campo, più o meno complesse, in grado di costituire uno strumento di analisi dello stato reale e delle sue evoluzioni nei diversi settori agricoli.
Nel caso delle razze caprine alpine locali è incontrovertibile la totale assenza di informazioni capillari e confrontabili. Cioè in grado di definire in ogni momento lo stato reale, la sua evoluzione e il rapporto fra le razze e le relative realtà economiche. Una sorta di osservatorio permanente, in questo caso mancante.
Ecco perché la prima sfida, nel prossimo futuro, potrà essere il tentativo di studiare e teorizzare l’applicazione di appositi indici. È infatti il tentativo di ideare un sistema snello e a costi ridotti che migliori l’attuale sistema di monitoraggio dello stato di salvaguardia che risulta molto superficiale e lasciato alla libera iniziativa locale, se non del tutto assente.
Anche se è un campo ancora inesplorato, è proponibile, per ora in linea teorica/concettuale, pensare all’ideazione di adeguati “Indici di Salvaguardia” (IS).
In tabella se ne propongono alcuni al fine di porre le basi per un lavoro futuro che evolva nel reale calcolo di indici che siano indicatori oggettivi, trasparenti e di agevole uso.

In tabella si propone, concettualmente, una suddivisione per gruppi, degli Indici di Salvaguardia.

 Tipo

 Caratteristiche di principio

 Indici di Erosione  Dovranno dare precise indicazioni sullo stato di erosione genetica in base, per esempio, alla presenza nel gregge di altre razze oltre a quella da salvaguardare. O se indicatori di erosione territoriale, dovranno dare informazioni sul reale pericolo per la presenza di consolidate realtà allevatoriali di razze potenzialmente competitive rispetto a quella/e locale/i.
Erosione genetica=uso sistematico di riproduttori di razze differenti da quella sotto tutela.
 Indici di Inquinamento  Dovranno riportare indicazioni del livello, e quindi di pericolo, di utilizzo (convenzionalmente sporadico) di riproduttori estranei alla razza locale.
 Indici Allevatoriali  Attraverso l’osservazione del gregge dovranno dare l’indicazione del livello di attenzione dell’allevatore alla salvaguardia.
 Indici Amministrativi  È’ opportuno che abbiano la finalità di dare la misura dell’interesse delle amministrazioni locali verso la salvaguardia delle razze caprine da tutelare. (es. n. e qualità delle iniziative locali).
 Indici Tecnici  Anche in questo caso dovranno permettere la verifica della dimensione dell’attenzione delle strutture tecniche locali verso le azioni di salvaguardia, e del loro recepimento da parte degli allevatori.
 Indici sullo stato  Consistono nell’ideare parametri (dati) che una volta raccolti in modo continuativo diano la possibilità di monitorare lo stato di tutela della razza rispetto alle politiche di salvaguardia messe in atto. Indici non solo basati sulla numerosità degli animali o delle stalle.

Lo scopo quindi degli IS e quello di costituire uno strumento di interpretazione dello stato di tutela della singola razza o di tutte quelle all’interno di specifiche aree locali, fino ad una aggregazione all’interno dello spazio alpino. Gli scopi possono essere molteplici, compreso quello di attuare concordate modifiche agli interventi di tutela o, idearne dei nuovi. Nessun intervento di “polizia” di salvaguardia!, ricordiamo che un argomento di grande attualità  nell’ambito della Politica Agricola Comune, è l’health check, inteso appunto come strumento di valutazione sullo stato di salute della politica agricola. Anche le razze locali caprine alpine avrebbero bisogno di un vero e proprio controllo di salute permanente.

Sempre parlando di iniziative da attuare in favore della salvaguardia, qualora il territorio fosse ancora inesplorato da questo punto di vista, la raccolta di dati per il calcolo degli IS risulterebbe difficoltosa/dispendiosa e sicuramente poco utile. A questo proposito quindi, potrebbe essere conveniente effettuare studi preventivi con degli appositi “Indicatori di Potenzialità di Salvaguardia”. L’obbiettivo potrebbe essere la raccolta di tutte quelle informazioni di base che permetterebbe di conoscere le possibilità di azioni di salvaguardia in un specifico territorio (punti di forza/debolezza), rendendo più efficiente ed efficace qualsiasi intervento programmato. A maggior ragione, in un’azione preventiva-esplorativa (budget ridotti), gli indicatori dovranno essere ideati per la raccolta di informazioni a costo praticamente zero.

Indici di miglioramento
Altro tipo di problematica ma ancora più impegnativa della precedente, potrebbe essere quella di pensare a degli indici con finalità di “miglioramento” della razza. Per esempio: degli “Indici di Miglioramento in Condizioni di Salvaguardia” (IMCS). La condizione di salvaguardia obbliga all’ideazione di indici specifici con finalità differenti a secondo del grado di tutela raggiunto dalla razza in cui si va ad operare.
Mentre gli IS, devono avere l’obbiettivo di essere principalmente uno strumento di monitoraggio, anche se utilizzabili per la messa in campo o l’aggiustamento di scelte strategico politico-amministrative di tutela, gli IMCS dovranno invece essere loro stessi strumento di azione. In questo specifico caso, infatti, andranno studiati tutti quei caratteri che si intenderà migliorare nelle razze caprine locali. Andrà ideato un corretto e corrispondente sistema di valutazione attraverso indici di verifica che possano essere aggregabili per il calcolo del l’IMCS.
Prima di addentrarci in questo campo dalle molteplici implicazioni, è doverosa un premessa. Quando si parla di razze caprine alpine locali il concetto di attitudine produttiva deve essere inequivocabilmente legato alla produzione di latte anche, e soprattutto, nelle condizioni di allevamento pastorale. Non si deve infatti confondere l’orientamento produttivo aziendale con l’attitudine della razza. Il primo è legato infatti alle scelte degli allevatori che, in condizioni particolari, oggi molto frequenti sull’Arco Alpino, decidono di utilizzare le capre  per la sola produzione di carne da capretto e di carne da animali a fine carriera. L’attitudine invece è una precisa predisposizione morfo-funzionale a produrre latte o carne in specifiche condizioni ambientali. La capra alpina è così costituzionalmente e per definizione da latte, e non da carne in senso stretto.
Se si vuole approfondire le tipologie all’interno della gestione dell’allevamento (orientamento produttivo), queste possono essere di due categorie di prevalenza. La prima: –prevalenza latte, quando il reddito ottenibile dalla carne di capretto e di capre a fine carriera è trascurabile per importanza economica. La seconda: –prevalenza carne, è invece la produzione di latte ad essere trascurabile. Questo può avvenire per diversi motivi: -ridotto numero di animali munti rispetto al totale del gregge, -per uso del latte non direttamente indirizzato alla creazione di reddito (alimentazione per ingrasso vitelli), -per il ridotto periodo di munta (messa in asciutta anticipata degli animali).
Sull’Arco Alpino va comunque rilevato che esiste la presenza di razze caprine o linee morfologiche, per esempio nell’ambito dell’Alpina Comune, che spesso sono associate a un tipo funzionale per la produzione da carne. Va altresì detto però, che frequentemente questi gruppi di animali sono il risultato di scelte e credenze allevatoriali empiriche, per la ricerca di animali a ridottissima produzione di latte (spesso insufficiente anche per l’alimentazione del capretto) e che consenta una messa in asciutta anticipata, rapida e senza complicazioni. Le scelte in questo senso tal volta però sono accompagnate dalla maggior espressione di caratteri mascolini poco attinenti con una corretta scelta degli animali. Non dimentichiamo che le caratteristiche di pregio di questi soggetti, molto spesso decantate dagli allevatori come influenti sulla maggior produzione di carne e rusticità, andrebbero comunque verificate scientificamente. Se questo però, nel caso della predisposizione a produrre carne, sarebbe semplice da attuare attraverso uno studio di confronto fra rese alla macellazione, tralasciamo gli indici di conversione che sono comunque importanti se proprio vogliamo parlare di razze da carne, per confrontare invece la rusticità fra queste linee morfologiche e quelle normalmente riscontrabili nelle le razze ad attitudine latte in contesti pastorali,  la cosa si complica. La rusticità, come verrà esposto di seguito, è infatti ancora da definire in termini di valutazione morfo-funzionale, pur risultando un fattore di fondamentale importanza in questi sistemi allevatoriali. 
Così, e alla luce degli attuali e differenti strumenti di “miglioramento” delle razze caprina nelle razze locali, e non solo Nazionali, possono essere proposti tre ordini di caratteri apprezzabili nelle capre alpine. –Caratteri morfologici estetici di razza (CME); –Caratteri morfologici costituzionali; (CMC);  –Caratteri morfologici funzionali (CMF).
Caratteri Morfologici Estetici di Razza CME: sono tutti quei caratteri facilmente identificabili (qualitativi-visibili) che individuano una razza (caratteri di popolazione) e che servono a valutare l’appartenenza del singolo soggetto alla razza stessa attraverso la corrispondenza allo standard. L’incognita è che il più delle volte gli standard contengono caratteri morfologici estetici desiderabili di cui non si conosce la trasmissibilità. Questo crea facili errori che si concretizzano con il tentativo, spesso inutile, di fissare questi caratteri nelle generazioni successive e con spesso l’aggravante di indicarli come discriminanti per l’appartenenza alla razza. Non meno importante è l’assoluta disomogeneità descrittiva degli stessi standard che alcune volte rasenta l’incompletezza e l’imprecisione.
Più complicata è l’identificazione dei CME di distinzione per quelle popolazioni a individuazione territoriale soprattutto se policromatiche. In questo caso specifico sarà indispensabile aprire una seria discussione. Va infatti verificato se sia concettualmente corretto riproporre oggi, nei termini del passato, l’individuazione territoriale come discriminante di appartenenza ad una razza.
Oggi infatti, non esiste più la condizione principale di isolamento territoriale (spiegazione attuale di deriva genetica). Pertanto il termine “individuazione territoriale” potrebbe essere integrato con un concetto moderno di “legame territoriale” o “legame al territorio”, al quale però è necessario attribuire un significato di salvaguardia ben preciso e obbiettivo. Per esempio attraverso un corretto approccio ai CME e agli scambi di animali fra territori confinanti.
Di non minor importanza, inoltre, è la necessità di approfondire il concetto di isolamento territoriale come origine di una razza caprina, spesso utilizzato per oggettivarne il riconoscimento.  Infatti non si può non tenere conto della teoria revisionista sull’antropologia alpina ormai consolidata da 20/30 anni. Questa, oggi, interpreta la storia della comunità delle alpi non più come strettamente chiuse, come facevano gli antropologi del passato, ma anzi aperta per la presenza di frequenti migrazioni stagionali temporanee. In questo modo una apertura non solo economica, ma anche culturale e con tutta probabilità in grado di influenzare i saperi agro-pastorali compreso, è ipotizzabile, lo scambio di animali delle piccole specie.
Caratteri Morfologici Costituzionali CMC: sono l’insieme di quei caratteri anch’essi apprezzabili dall’osservazione diretta dell’animale e che lo identificano secondo la sua attitudine ad interagire con l’ambiente in cui viene/deve essere allevato (es. appiombi, linea dorsale, corretta proporzione fra anteriore e posteriore, e così via). In altre parole tutti i caratteri identificativi dell’attitudine produttiva. Infatti, anche in questo caso vi possono essere animali più o meno corrispondenti allo standard attitudinale tipico di quella razza. Ricordiamo, che più razze possono avere il medesimo ideale di attitudine costituzionale a cui tendere e quindi possedere dei modelli di struttura simili. La valutazione in questo caso si basa sull’osservazione delle differenti regioni del corpo e la stima della giusta proporzionalità fra di esse in modo da supportare la funzionalità produttiva.
La ricerca di una corretta proporzionalità fra i CMC, in modo da tendere ad una interazione positiva con l’ambiente di allevamento, influenza necessariamente anche la <<Resistenza Costituzionale>>.
Questo recente concetto allevatoriale, o di miglioramento, stimola a proporre una nuova serie di caratteri identificabili come: Caratteri della Resistenza Costituzionale (CRC). Essi, oltre comprendere il carattere -resistenza alle malattie (molto dibattuto nel biologico), si compone dei caratteri che influenzano -rusticità e -frugalità. Qualora non utilizzassimo questi due aggettivi come sinonimi, in maniera del tutto grammaticalmente lecita, possiamo identificare nella frugalità una certa capacità di adattamento delle capre locali alle disponibilità foraggere. Espressione, questa, anche delle ridotte esigenze alimentari in certe condizioni allevatoriali e di una più o meno spiccata capacità comportamentale nella ricerca del pascolo. Mentre alla rusticità possiamo abbinare tutto ciò che rende l’animale più adatto alle condizioni ambientali generali (clima/orografia-morfologia del territorio).
La giusta espressione dei caratteri CMC e CRC si relaziona positivamente con l’espressione dei Caratteri Morfologici Funzionali, di seguito esposti.
Caratteri Morfologici Funzionali (CMF): sono tutti quei caratteri, quali-quantitativi, identificativi dell’indirizzo produttivo della razza (attitudine funzionale vera e propria) o dell’orientamento produttivo allevatoriale di razza. Questa sottile differenza serve a spiegare che, come già riportato, mentre le razze caprine alpine sono da latte tutte indistintamente (indirizzo produttivo della razza), il loro utilizzo può avvenire invece in via esclusiva per la sola carne, per esempio: da capretto/caprettone o da animali a fine carriera (orientamento produttivo allevatoriale). In quest’ultimo caso (prevalenza carne), i caratteri valutabili dovrebbero essere quelli di una corretta conformazione delle singole regioni zoognostiche. Non va comunque dimenticato che è indispensabile una correttezza di armonia fra scelte di miglioramento dei caratteri di indirizzo/attitudine e di orientamento (evitare degenerazioni allevatoriali). In parole povere le razze caprine alpine non possono diventare delle razze da carne vere e proprie (es. razza caprina Boer), o comunque questa possibilità è ancora tutta da valutare sotto l’aspetto fisiologico, morfo-funzionale ed economico. Non dimentichiamo infatti, che in condizioni pastorali, la produzione di carne da capretto è molto influenzata dalla capacità materna di consentire un giusto e vantaggioso incremento in peso giornaliero dei capretti stessi e questo è condizionato forse più dalla generosità materna di produrre latte che altro. La produzione di carne a fine carriera invece è più legata ad una forma di rusticità, come espressione della capacità di mantenere un certo grado di sviluppo muscolare (carnosità) anche dopo diverse lattazioni, che non ad una attitudine/specializzazione vera e propria di produrre carne. Discorso a parte potrebbe esser fatto per la categoria caprettone (giovani maschi castrati a fine alpeggio). In questo caso però, le potenzialità economiche di allevamento non giustificherebbero dei ragionamenti indirizzati alla ideazione di un sistema di valutazione che influenzi le scelte allevataoriali per incrementare in maniera evidente la produzione di carne del singolo soggetto (deviazione da razza da latte a razza da carne vera e propria).
Per quanto riguarda i CMF legati all’attitudine verso la produzione di latte il più importante e più considerato è la morfologia della mammella.
In definitiva non dimentichiamo che qualsiasi essi siano (es. tutti i caratteri direttamente o indirettamente connessi con la mammella), sono sempre e comunque fenoticipi.
Così, la sfida alla quale il mondo scientifico e tecnico è oggi chiamato a rispondere, è quella di riuscire a ideare degli indici (alcune proposte sono appunto IS e IMCS), attendibili, semplici e a ridotti costi di applicazione (calcolo), e che soddisfino gli obbiettivi di salvaguardia delle razze caprine alpine. Nel caso specifico di quelli proposti come “Indici di Miglioramento in Condizioni di Salvaguardia”, è indispensabile che tengano conto, a secondo del livello di tutela, del giusto rapporto fra tutti gli ordini dei carattere senza l’esasperazione di uno sugli altri. Il rischio infatti è quello di inseguire formalismi estetici (prevalente importanza dei CME), trascurando i più importanti modelli costituzionali (CMC -attitudine-), oppure perseguire irresponsabilmente il miglioramento genetico con l’unicità di scelta basata sui CMF da inserire unitamente ai Controlli funzionali in piani di valutazione e selezione genetica. Uno stile, questo, sul tipo razze cosmopolite, ma che spesso è inapplicabile in razze a limitata diffusione.
A fronte di questo tentativo di vedere le razze caprine locali con occhio diverso e originale, è sperabile che ciò sia di stimolo al cambiamento dell’attuale approccio, potremmo dire culturale, alle problematiche già citate. Il fine pratico sarà così l’apertura di un difficile, ma interessante dibattito per la proposizione di una corretta revisione, o nuova ideazione, dell’attuale sistema di Valutazione Morfologica delle razze caprine locali iscritte al Registro Anagrafico.

Indici di benessere animale
Spesso per un “esasperato” desiderio di ruralità, l’allevamento caprino pastorale viene immaginato, in una visione erronea, in condizione di ottima “naturalità”. Questo non è sempre vero soprattutto nei periodi di stabulazione. Così, per adeguarsi alle più elementari e attuali regole in materia di benessere animale, sarà opportuno che la salvaguardia tenga conto in futuro dei più moderni indici di “welfare quality” (es. indici di capacità allevatoriale a soddisfacimento del benessere animale). Questi indici sono già in uso in alcune specie zootecniche, anche se per ora esclusivamente relazionati alle sole performance produttive (sistemi convenzionali). Anche per questo argomento il dibattito si arricchisce su cosa si voglia veramente intendere per benessere animale in condizioni di allevamento. Esiste quindi la necessità di studiare un nuovo sistema di indici che tenga conto del sistema di allevamento (convenzionale e tradizionale) delle capre alpine.

Le sfide delle popolazioni locali
Fin qui sono state proposte molte argomentazioni legate alle razze caprine già ufficiali (riconoscimento a livello Ministeriale). Più complesse, e ad uno stadio precedente, sono invece quelle riguardanti tutte quelle popolazioni locali caprine che ancora oggi non possiedono gli strumenti per rapportarsi inequivocabilmente e definitivamente all’Alpina Comune (Alpina Locale), o eventualmente costituire entità di salvaguardia a sé.
Attualmente è infatti importante aprire un confronto su quale senso deve avere, o si vuole dare, al distacco di una popolazione caprina alpina, ad individuazione territoriale, dalla razza Alpina Comune.  
In parole più semplici la tematica di futura discussione potrà essere: andremo a considerare l’Alpina Comune (o Locale) un prezioso bacino da cui attingere nuove razze solo dopo uno studio responsabile e con fine di salvaguardia, o un rifugio di tutto ciò che non si riesce a ufficializzare individualmente e spesso in maniera puramente speculativa?
Problematica, questa, che se verrà seriamente affrontata scriverà un importante passo della storia della salvaguardia della specie caprina in territorio alpino.
Ecco perché esiste prima di tutto la necessità che vi sia un sereno confronto di alcune popolazioni  a possibile riconoscimento ufficiale con l’impegnativo scoglio dei “costi sociali” per diventare una razza da salvaguardare. Costi questi, giustificabili solo se a monte esiste una reale necessità di tutela a favore di una biodiversità, è bene precisare, che può essere si di qualsiasi “natura”: culturale, biologica, anche economica, ma non meramente campanilistica.
A titolo esemplificativo in tabella si propone un breve elenco dei fattori che influenzano il “costo sociale” per assurgere allo status ufficiale di razza caprina alpina.

Tabella 1: il costo per diventare razza caprina alpina ufficiale

 – esecuzione di una corretta informazione e formazione di salvaguardia su tutto il territorio di allevamento della razza da tutelare, e a tutti i livelli -non solo allevatoriale. Trasmettere un codice collettivo di tutela;
– corretta stesura e responsabile adesione ad uno specifico standard di razza;
– adesione ai programmi di gestione secondo i principi di salvaguardia delle popolazioni a ridotta numerosità, se presenti. Altrimenti la necessità di idearne degli appositi;
-pericolo di sottrazione di base genetica e territoriale all’Alpina Comune o Alpina Locale, con progressiva frammentazione del patrimonio caprino alpino;
– iniziale difficoltà a reperire riproduttori, non solo per scarsità numerica, ma anche per azioni individualistiche a scapito di quelle collettive con conseguente aumento immotivato dei prezzi di mercato (freno alla crescita numerica);
– florido mercato di riproduttori non corrispondenti ai canoni di bellezza dei caratteri CME CMC (frode volontaria ai danni dei neofiti), e ai canoni dei CMF (frode involontaria, considerando la possibilità di trasmissione dei caratteri alla discendenza);
– inadeguatezza dei livelli dei prezzi dei riproduttori per la totale imprevedibilità di trasmissione di caratteri qualitativi e quantitativi (frode involontaria), con conseguente disaffezione da parte di allevatori storici;
-non corrispondenza del prezzo di mercato dei riproduttori se confrontato con il “valore” morfologico (costituzionale funzionale) del soggetto. Diffusione di riproduttori peggioratori.
– esplosione di varie forme di conflittualità a scapito di un modello di salvaguardia collettivo (unico modello proponibile). Anche questo può essere motivo di disaffezione da parte di allevatori storici;
– costo per il supporto amministrativo-tecnico-scientifico per la gestione della razza in condizioni di tutela.

Conclusioni
In un momento dove gli entusiasmi verso la ruralità e i prodotti legati ad essa, possono essere minati da nuove “mode” in campo agricolo, il dibattito futuro dovrà chiarire quali siano le linee guida di salvaguardia delle capre locali in modo da oggettivare il riconoscimento di possibili popolazioni alpine, equilibrare il livello di tutela di quelle già riconosciute, rafforzare l’idoneità delle razze caprine locali all’allevamento tradizionale pastorale non solo in forma speculativa,  smantellare l’individualismo tipico dei sistemi convenzionali e rafforzare, anche economicamente, l’attuale sensibilità verso queste problematiche facendo chiarezza di mercato sulla identificazione delle diverse tipologie produttive.
Un grande aiuto può essere dato dal consolidamento di un corretto pensiero ideologico di salvaguardia. Di contro, l’assenza di una corretta “ideologia”, può creare una politica tecnico-economica del “tutto subito, qui ed ora” e di sola immagine. Cioè senza nessun limite e fine del pensare nel lungo periodo. Con il rischio così, di non essere in grado di creare le condizioni per una attività rurale stabile e in grado di reagire alla volatilità dei consumi di moda.

Luigi Andrea Brambilla, laureato in Scienze Agrarie con indirizzo zootecnico all’Università di Milano, ha maturato la sua esperienza lavorativa nel campo della tutela delle razze caprine alpine, svolgendo numerosi lavori di ricerca, coordinando differenti progetti di salvaguardia, contribuendo alla stesura di alcuni standard di razza. Attualmente è esperto di razza (Registri Anagrafici Assonapa-ROMA), per alcune razze ovi-caprine alpine. Curriculum vitae >>>

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