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Le piante grasse: conoscerle per coltivarle (3^ parte)

di Paolo Pecchioli

Il trapianto
Ottenute le nuove piante, è utile descrivere una operazione necessaria per consentire la vita e lo sviluppo delle piante grasse in vaso:  il trapianto. Per prima cosa  accenniamo ai recipienti di coltura ovvero ai vasi. Esistono vasi di diversi materiali, come terracotta, cemento o plastica. I migliori sono senza dubbio quelli di terracotta perché possiedono la grande qualità della porosità. Le pareti del vaso di terracotta permettono gli interscambi gassosi con l’esterno, e questo è un grosso vantaggio perché  le radici delle piante hanno anche bisogno d’aria. Inoltre, il vaso di terracotta permette l’uscita per evaporazione dell’acqua presente in eccesso nel vaso. I vasi di plastica non possiedono questa qualità e dunque tendono a trattenere più a lungo l’umidità.
La scelta del vaso non è così semplice come si può pensare perché, da un punto di vista puramente estetico, il vaso può accrescere la bellezza della pianta, mettendone in risalto le qualità naturali come la forma, la compattezza nelle specie cespitose ecc. Ad esempio, una pianta cespitosa avrà bisogno di vasi poco profondi ma molto larghi, detti catini, in modo tale da formare nell’arco di qualche anno una specie di tappeto, che occupi tutta la superficie coltivabile del vaso (ad es. Mammillaria plumosa, bella pianta a cespi compatti ma a crescita lenta). Altre piante hanno fusti globulari o cilindrico-globulari e non hanno l’emissione di germogli dal colletto; queste piante avranno bisogno di vasi tronco-conici delle stesse dimensioni del fusto, che permettano di apprezzare il fusto stesso. Le specie a fusto colonnare richiedono vasi capienti, per evitare alla pianta rovinose cadute dovute a qualche impetuosa folata di vento.

Mammillaria in fiore
Mammillaria in fiore (foto Paolo Pecchioli)

Torniamo al trapianto. Il segnale che la pianta ha bisogno di un trapianto è la fuoriuscita dal foro di scolo del vaso delle radici della pianta stessa. Questo indica che la pianta ha colonizzato di radici tutto il vaso, e soprattutto la parte a contatto con la parete  del vaso. Accertato questo, possiamo al massimo aspettare un anno per procedere al trapianto. Infatti il trapianto è una operazione necessaria, certamente non naturale e ricca di rischi per la pianta stessa, che va compiuta soltanto quando è inevitabile. La pianta deve essere tolta dal vaso nel quale si trova. Per estrarre la pianta senza danni bisogna bagnare abbondantemente il pane di terra, dopodiché le radici scivoleranno sulle pareti del vaso, una volta che noi capovolgeremo il vaso stesso.
Una volta compiuta questa operazione si rimuove il terriccio che costituisce il pane di terra della pianta grassa  se non idoneo o se abbiamo osservato la presenza di parassiti come la cocciniglia radicale o i nematodi (una specie di vermi che producono delle galle alle radici), altrimenti si lascia intatto.
Se costretti a liberare le radici dal substrato originario ci avvarremo di strumenti molto appuntiti. Va però ricordato che generalmente le piante grasse non hanno un apparato radicale che sopporti con facilità i tagli, anzi una forte riduzione delle radici è essenzialmente dannosa e può portare la pianta a una sicura morte. Perciò il modo più semplice per liberare le radici della pianta dal pane di terra è quello d’immergerle in un secchio pieno d’acqua,  perché l’acqua, rimuovendo le particelle terrose,  ci consegna le radici pulite e integre. Nel caso che le radici fossero ammalate, il taglio è necessario ma sul recupero della pianta bisogna valutare specie per specie.
A questo punto dobbiamo collocare la pianta in un altro vaso di maggiori dimensioni. Prepariamo il vaso mettendo sul fondo ghiaia e cocci, poi si pone del substrato sul quale poi collochiamo il pane di terra contenente la pianta grassa. Tra il pane di terra della pianta e le pareti del vaso si colloca altro substrato, che verrà poi pressato con forza dalle nostre dita o con dei bastoncini di legno. Terminata l’operazione innaffiare la pianta.

Scheda: Echinopsis (Famiglia Cactaceae)

Echinopsis eyriesii di circa 20 anni
Echinopsis eyriesii di circa 20 anni (foto Paolo Pecchioli)

L’Echinopsis è senza dubbio una pianta da consigliare, per la sua abbondante fioritura, per la facilità di coltivazione e di moltiplicazione, per la sua rusticità. 
L’Echinopsis è un genere appartenente alla famiglia delle Cactacee ed è originario del sud America, più precisamente proviene da Argentina, Bolivia, Brasile, Paraguay. La pianta ha un fusto cilindrico-globoso verde opaco ed è dotata di costole prominenti sulle quali sono disposte le areole. Le areole portano spine che possono assumere colori diversi secondo le varietà, rosso sangue-rosso ruggine come nel caso di E. rhodacantha, giallo dorate come nel caso di E. rhodotricha, brune nel caso di E. multiplex, mentre E. subdenudata non ha spine. I fiori sbocciano in prossimità dell’apice della pianta, sono imbutiformi lunghi dai 20 ai 30 centimetri con una colorazione che va dal rosa al bianco, ma sono state ottenute alcune varietà che hanno fiori giallo dorati. Echinopsis rhodacantha invece ha fiori rossi. I fiori emettono un leggerissimo profumo che ci ricorda quello del limone. I fiori sbocciano nelle caldi notti d’estate e durano solo un giorno. La fioritura avviene dopo pochi anni di sviluppo.
Strettamente legata con la fioritura è l’innaffiatura; infatti la fioritura sarà più abbondante se durante l’inverno le piante verranno tenute completamente all’asciutto. In estate basta innaffiarle ogni 5 giorni. E’ comunque una pianta molto resistente anche alle innaffiature eccessive.
Queste Cactacee sono indicate anche per la loro resistenza al freddo; ricordo infatti che l’E. subdenudata sopravvive anche quando la temperatura scende fino a 5°C sotto lo zero; altre varietà resistono bene agli 0°C. Il substrato più indicato è quello sabbioso-argilloso con l’aggiunta di ghiaia, ma la pianta vegeta senza problemi anche in un substrato con una forte componente di origine organica. E’ resistente anche ai rinvasi che comportano una riduzione dell’apparato radicale. La pianta predilige una esposizione alla luce diretta del sole.
Si moltiplica facilmente perché in prossimità della base del fusto produce moltissimi germogli che, una volta staccati, attecchiscono senza problemi anche perché spesso sono già provvisti di radici.

Scheda: Echinocactus grusonii (Famiglia Cactaceae)

Echinocactus grusonii
Echinocactus grusonii
(foto Paolo Pecchioli)

L’Echinocactus grusonii è una pianta coltivata per la bellezza delle sue spine e per le grandi dimensioni che può raggiungere il fusto.
Questa pianta, originaria delle regioni centrali del Messico, è conosciuta con l’ironico nome di “sedile per la suocera”. Infatti essa si presenta come un cuscino irto di spine giallo-dorate, rigide, lunghe alcuni centimetri. Il fusto globoso, di colore verde, è quasi completamente nascosto dalle spine che rappresentano il motivo di maggiore bellezza di questa pianta.
Il fusto allo stadio giovanile si presenta “bitorzoluto” e in cima a queste protuberanze troviamo le areole con le relative spine. Dopo pochi anni di vita cominciano a delinearsi sempre più chiare le costole che sono delle protuberanze longitudinali, che dipartono dalla sommità della pianta fino al colletto.
Il fusto adulto è diviso in 20-25 costolature. I fusti possono raggiungere la langhezza di 90 cm per crescere in altezza.
I fiori sono gialli, lunghi poco più di 5 cm e sbocciano in maggio-giugno sulla sommità del fusto, ma soltanto nelle piante adulte. Infatti la fioritura avviene dopo minimo 30 anni di vita della pianta.
Le piante hanno bisogno di un’esposizione diretta ai raggi solari, anche perché le spine prodotte ad una tale esposizione sono decisamente più belle.
La temperatura minima invernale è di 0°C; da ottobre fino alla metà di marzo, alle piante non deve essere somministrata acqua. In estate le irrigazioni devono essere abbondanti.
Il substrato indicato è quello costituito da sabbia e argilla con l’aggiunta di materiale grossolano (ghiaia, pietrisco, ecc.). Va però ricordato che la pianta è abbastanza rustica ed accetta pure un substrato minerale-organico senza subire conseguenze negative.
Per quanto riguarda la moltiplicazione, l’Echinocactus grusonii è una pianta che presenta un fusto solitario senza germogli laterali alla base; dunque il modo più semplice per riprodurla è la semina che va effettuata in aprile alla temperatura di 20°C.
Il suo grande nemico è senza dubbio la cocciniglia: sia quella che ricopre il fusto di una lanuggine bianca, sia quella detta cocciniglia delle radici, che danneggia l’apparato radicale delle piante grasse in genere. Le piante cominciano a presentare decolorazioni, crescono con difficoltà e possono pure morire.

Bibliografia consigliata
Andrea Cattabriga “Piante grasse – The little golden book “ Ed. Cybele
Eraldo Susini “I miei fiori, il mio giardino” Edagricole Bologna

Paolo Pecchioli, Agrotecnico, è in possesso del diploma di qualifica di orto-floricoltore. Attualmente ricopre la mansione di Assistente tecnico presso l’Istituto Tecnico Agrario di Firenze.