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di Francesco Marino


L’utilizzo di piante nella depurazione di acque di scarico di origine domestica prende il nome di fitodepurazione. I sistemi di fitodepurazione ricostituiscono artificialmente un habitat simile a quello naturale di stagni e paludi; in cui si sviluppano particolari piante che favoriscono lo sviluppo di microrganismi preposti alla depurazione. L’impianto di fitodepurazione infatti è costituito da un bacino impermeabilizzato riempito da materiale ghiaioso e vegetato da piante. La depurazione avviene mediante l’azione combinata di substrato ghiaioso, piante, refluo e microrganismi presenti. Essa può essere realizzata attraverso molteplici sistemi, che differiscono per ambienti territoriali, caratteristiche progettuali, condizioni del substrato, tipo e gestione della vegetazione. Lo scopo è quello di ottenere la stabilizzazione della sostanza organica e la rimozione dei nutrienti per condurre il refluo depurato verso riutilizzazioni secondarie come irrigazione dei campi o usi civili.
Si tratta, in ogni caso di un insieme di soluzioni d’ avanguardia per il trattamento delle acque, che presentano un basso fabbisogno tecnologico e una facile manutenzione che può essere eseguita da personale non specializzato. Inoltre un impianto di fitodepurazione rispetto ad un depuratore tradizionale ( fanghi attivi e sistemi ad ossidazione totale) consente di consumare 80% in meno di energia elettrica, poiché non sono necessarie soffianti per l’ ossigenazione; il trattamento inoltre si esaurisce in un unico processo e non necessita di clorazioni e trattamenti chimico-fisici di finissaggio qualora venga utilizzato come depurazione secondaria.
Nelle aree rurali per esempio, le abitazioni non collegate a pubbliche fognature, hanno nella maggioranza dei casi sistemi a dispersione dopo una prima fase di trattamento con fossa Imhoff; in questo modo le acque reflue sono sprecate quando potrebbero essere invece convogliate in un bacino di fitodepurazione detto lagunaggio ed essere riutilizzate per l’ irrigazione.


Vantaggi offerti dalla fitodepurazione possono essere così riassunti:


  • Assenza di cattivi odori
  • Risparmio nei costi di realizzazione
  • Minimo costo di gestione e manutenzione
  • Possibilità di riutilizzo delle acque di scarico (irrigazione)
  • Assenza di parti elettromeccaniche
  • Lunga durata

L’impianto di fitodepurazione


I sistemi di fitodepurazione maggiormente utilizzati sono quelli a flusso sub-superficiale o sommerso (SFS: Subsurface Flow Sistem), questi stanno incontrando sempre più interesse rispetto ai sistemi a flusso superficiale o libero (FWS – Free Water Surface); in virtù dell’aumento delle rese depurative a parità di superficie occupata. In essi la superficie dell’acqua non è mai esposta al contatto diretto con l’atmosfera, si distinguono in: orizzontali e verticali
Negli impianti di depurazione orizzontali l’acqua si depura in una o più vasche dalla profondità di 70-80 cm contenenti materiale inerte su cui si sviluppano le radici delle piante. Il flusso dell’acqua rimane costante al di sotto della superficie del medium e scorre in senso orizzontale grazie ad una leggera pendenza del fondo del letto. Negli impianti verticali il refluo da trattare è immesso con carico alternato discontinuo e percola verticalmente in un filtro di materiali inerti profondo in genere 1 m in cui si sviluppano le radici delle piante.


Schema impianto di depurazione


Generalmente per ottimizzare i rendimenti di depurazione e per limitare l’impegno di superficie, gli impianti necessitano di pre-trattamenti; che operino una sedimentazione primaria:


  • degrassatore per le acque di cucina e saponose
  • fossa Imhoff per le acque nere.

I due flussi in uscita dai pre-trattamenti defluiranno dal pozzetto di ingresso all’area fitodepurante. Le acque filtrate vengono raccolte, da un sistema di tubi, posto sul fondo delle vasche, che le conduce ad un pozzetto di controllo e pompate in un deposito per il riutilizzo.
L’area fitodepurante è realizzata mediante uno scavo di 70-80 cm di altezza, la superficie invece è in funzione degli Ab/Eq. L’impegno di superficie da destinare a bacini di fitodepurazione è solitamente valutato in circa 3-4 mq/Ab./Eq. Tali tipi di trattamento sono adatti ai reflui organici di piccole e medio comunità (da 10 a 2000 e più Ab/Eq). Le vasche, o meglio gli stagni palustri, devono essere impermeabili, per far ciò è possibile usare del film in polietilene, sul fondo è disposto materiale filtrante a granulometria costante, generalmente si utilizza ghiaia non frantumata e sabbia lavata o altri materiali equivalenti.


Sistema a flusso orizzontale


Caratteristiche della vegetazione


L’impianto di fitodepurazione è un bacino umido nel quale sono ricostituiti artificialmente degli habitat naturali dove hanno modo di svilupparsi piante che: a seconda della specie e delle caratteristiche permettono di rimuovere gli inquinanti attraverso gli stessi processi biologici e chimico-fisici, che avvengono in natura; tra i quali riveste un ruolo predominante la cooperazione tra le piante ed i microrganismi che trovano sulle piante stesse o vicine ad esse un habitat adatto al loro sviluppo. Si impiegano perciò piante che hanno un elevata capacità di assorbire alcune sostanze nocive all’ambiente e di favorire lo sviluppo nel terreno di microrganismi che concorrono ai processi depurativi distruggendo molti inquinanti organici.
I meccanismi attraverso i quali i laghetti palustri riducono il carico inquinante sono fondamentalmente tre e sono riconducibili; alla filtrazione, all’attività microbica (denitrificazione) e all’assorbimento dei nutrienti. La rimozione dei nutrienti e la conseguente immobilizzazione nella biomassa vegetale viva è per il sistema una perdita solo temporanea, poiché l’azoto accumulato nei tessuti vegetali può essere nuovamente liberato in acqua in seguito a decomposizione della lettiera. La capacità depurativa è dovuta alla presenza di ossigeno nel terreno, al potere depurativo della biomassa adesa alle radici delle piante (digestione aerobica della sostanza organica e nitrificazione dell’azoto ammoniacale) ed all’assimilazione di sostanze organiche e di nutrienti (l’azoto nitrico prodotto dai batteri nitrificanti) da parte della piante.
La scelta delle piante dovrà tener conto delle caratteristiche del refluo, delle condizioni climatiche e della qualità richiesta dell’ effluente. Tenendo conto di ciò, e ricordando le numerosi specie potenzialmente utilizzabili, è opportuno scegliere specie:


  • autoctone, perché sono adatte al clima in cui si opera;
  • capaci di vivere in condizioni di saturazione del terreno e di avvantaggiarsi di acque eutrofiche;
  • che presentino, a maturità, un adeguato sviluppo ipogeo per assorbire l’ acqua e apportare ossigeno;
  • devono essere preferibilmente erbacee, in quanto colonizzano più velocemente e uniformemente l’ ambiente, che normalmente ha dimensioni limitate.

Fra le erbacee puntare decisamente su quelle dotati di organismi perennanti; dovranno avere requisiti di adattabilità, resistenza e competitività, affinché sappiano sopravvivere nelle condizioni particolari di “coltura”, non siano soggette a malattie o attacchi parassitari e sappiano mantenere nel tempo l’associazione floristica desiderata.
Tra le piante maggiormente indicate per la fitodepurazione si ricorda la Canna palustre
(Phragmites australis), che con la molteplicità di biotipi è una tra le più indicate nel nostro territorio. E’ una graminacea rizomatosa, con culmo eretto, cavo e nodoso, con diametro di circa un cm, altezza media sui 2 – 3 m. I culmi molto fitti (50 – 200 per mq) e l’ imponente apparato radicale, conferiscono a questa specie una grande potenzialità competitiva verso altri vegetali e una notevole capacità produttiva di biomassa. Essendo una pianta alofita, presenta una notevole resistenza alla salinità e vive “ soprattutto” in acque eutrofizzate dalla quale estrae i fitonutrienti e altri inquinanti. Alla fine della stagione vegetativa, le canne possono essere tagliate, raccolte in mazzi ( 25-35 t/ha di sostanza secca), essiccate , defogliante e destinate a vari usi. Uno dei più frequenti è la produzione di arelle “ graticci ”. Oggi le arelle sono utilizzate come frangivento in agricoltura, un tempo servivano anche per sostenere gli intonaci nei soffitti delle case.


Canna palustre
Canna palustre


Possono essere adoperate altre piante quali:


Mazza sorda (Typha latifoglia L.) – E’ una pianta erbacea perenne e rizomatosa, con foglie allungate. Cresce rapidamente e tollera anche pH bassissimi ed è particolarmente resistente ai metalli. Le foglie possono essere destinate alla produzione di stuoie, il fusto interno si intreccia per l’ottenimento di sporte e borse rustiche, mentre le infiorescenze sono richieste dai fioristi. Giungo di palude (Schoenoplectus lacustris L.) – Pianta con rizoma grosso, ad andamento orizzontale, il fusto è cilindrico, alto anche 3 m, con diametro fino a 15 mm, viene usato per lavori artigianali come gli altri giunchi.
Si adatta ad un pH compreso fra 4 e 9, tollera una salinità fino a 20 ppm. Ai criteri di scelta precedenti, si può aggiungere l’ attenzione verso piante che, oltre ad assolvere le funzioni tipiche di fitodepurazione, siano anche ornamentali, in modo tale da presentare il sito di depurazione come una gradevole macchia di colore.
Calla (Calla palustris L.) – Pianta erbacea vivace di 20 – 70 cm, con lungo fusto rizomatoso strisciante, foglie verde scuro. Fiori di colore bianco. Fiorisce da maggio a luglio.
Fior di cardinale (Lobelia cardinalis L.) – Pianta eretta, alta 3 – 10 dm. Foglie con brevissimo picciolo, verdi brillanti. Fiori rosso scarlatto. Fiorisce da luglio a settembre.
Giglio acquatico (Iris pseudacornus L.) – Pianta a fusto eretto di 5 – 10 dm un po’ compresso, ramoso in alto. Foglie subeguali al fusto, acuminate, verdi. Vive spontaneamente lungo i canali, fossi e paludi. La fioritura, di un bel colore giallo intenso, inizia in aprile per durare fino a giugno inoltrato.


La fitodepurazione potrebbe costituire un valido sistema per riutilizzare l’acqua. L’acqua è una risorsa limitata per la quale esiste una crescente conflittualità d’ uso fra diverse domande (agricoltura, industria, fabbisogni alimentari, etc.), in molte aree del pianeta, l’utilizzazione dell’ acqua costituisce un fattore limitante, con gravi conseguenze sull’attività umane e produttive. In particolare, nel nostro paese, il recente monitoraggio dei corpi idrici ha messo in evidenza che il 70% delle acque superficiali versa in condizioni critiche, i reflui biologici provenienti dalle abitazioni con pubbliche fognature ed immesse in falda mediante pozzi assorbenti o direttamente in corsi d’ acqua, rappresentano una fonte di forte inquinamento. Quasi sempre l’adozione di vasche Imhoff o di impianti ad ossidazione totale (fanghi attivi), non garantiscono un effluente sufficientemente depurato; nel primo caso per insufficienza di trattamento, nel secondo, per difficoltà gestionali. D’altra parte l’acqua idropotabile, cioè quella di qualità migliore e’ utilizzata correntemente per tutte quelle operazioni in cui sarebbe possibile anche l’utilizzo di acque di qualità inferiore “es. uso acqua W.C.”. La fitodepurazione, in questo contesto, può essere una delle più efficace risposte che l’ uomo può dare a queste problematiche.


Francesco Marino, laureato in Scienze Agrarie ad indirizzo Zootecnico presso l’Università di Firenze e iscritto all’ordine dei Dottori Agronomi di Firenze, è Presidente dell’Associazione “Agronomi per la Terra”. Curriculum vitae >>>


 







Convegno: Le scienze Agrarie tra OGM e Agricoltura alternative
19 Aprile 2013 ore 9.00


Auditorium Santa Apollonia
Via San Gallo, 25 Firenze
Informazioni sul convegno >>>

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