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di Mauro Bertuzzi

Lo scenario

Secondo un rapporto Fao, la pesca e l’acquacoltura nel complesso, realizzano un’occupazione per circa 540 milioni di persone, stimato in circa l’otto per cento della popolazione mondiale. Questi dati sono legati al fatto che mai prima di questi tempi, si era registrato un così alto consumo di prodotti ittici e di riflesso mai prima d’ora così tante persone erano state in qualche modo coinvolte in questo settore.
A livello mondiale, il contributo dei prodotti ittici nella dieta, ha raggiunto la cifra record di quasi 17 kg a persona, fornendo ad oltre tre miliardi d’individui circa il 15% dell’apporto medio di proteine animali. Questo incremento è dovuto principalmente alla continua crescita della pesca d’allevamento che, secondo il rapporto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, Fao: “Lo stato della pesca e dell’acquacoltura nel mondo” (Sofia 2010), supererà presto la pesca di cattura nel consumo di pesce; tuttavia nonostante questa situazione, lo stato degli stock ittici mondiali non migliorerà, soprattutto perché i prodotti a base di pesce continuano ad essere le derrate più commercializzate a livello mondiale. Nel 2008 per esempio, hanno raggiunto l’ammontare record di 102 miliardi di dollari, un incremento del nove per cento rispetto all’anno precedente.
Lo studio Fao classifica il 32% degli stock ittici mondiali in eccessivamente sfruttati, il 3% in sotto-sfruttati e il 12% in moderatamente sfruttati ed in grado di produrre di più del loro livello attuale.

La necessità di una pesca sostenibile a livello mondiale

L’aumento continuo di domanda di pesce e prodotti ittici, mette in luce la necessità di una gestione sostenibile delle risorse acquatiche mediante un approccio ecosistemico della pesca che integri sia gli obiettivi delle comunità che lo stato degli stock ittici e le esigenze di mercato, diventando così un passaggio ormai obbligato per il futuro di tutto il settore.
La pesca tradizionale in mare è la forma di pesca più naturale, tuttavia la situazione attuale dei mari si è aggravata a seguito dell’industrializzazione e delle pratiche di pesca intensiva. Per questo motivo, per ridurre l’impatto ambientale di pescato, diverse organizzazioni internazionali si stanno impegnando per la promozione di una pesca ecologicamente sostenibile e per l’introduzione di limiti di pescato su base scientifica per tutte le popolazioni ittiche attraverso metodi di cattura rispettosi delle risorse e di regolamentazioni a norma di legge, creando nel contempo aree marine protette. In questo modo i consumatori possono acquistare in tutto il mondo prodotti ittici provenienti da pratiche di pesca eco-sostenibili.
Questi prodotti vengono contrassegnati con il marchio MSC: Marine Stewardship Council, organizzazione indipendente che si prefigge lo sviluppo di una pesca che rispetti l’ecosistema marino e l’equilibrio delle popolazioni ittiche.

La legislazione Europea e Italiana

Negli ultimi anni è cresciuta sempre di più l’esigenza di un quadro normativo che regoli le ispezioni ed i controlli per i prodotti ittici dal mare alla tavola (tracciabilità) e che garantisca il consumatore e gli dia la possibilità di riconoscere il pesce fresco oltre che dai consueti parametri quali il profumo gradevole, la consistenza delle carni sode ed elastiche, la pelle dai colori vivi, lo stato dell’occhio e delle branchie, anche attraverso un’etichetta che ne assicuri la provenienza e la sicurezza alimentare dell’intera filiera.
Se è stato ovviamente un fatto apprezzabile che i consumi di prodotti ittici siano cresciuti, anche per via delle ricadute economiche che si sono registrate, tuttavia si sono rese necessarie metodologie di produzione più “sostenibili”, e il riferimento – come nel caso delle produzioni terrestri – va al biologico, ma in un quadro tecnico e normativo del quale si è sentita la mancanza fino al 2009.
I produttori ittici, negli anni scorsi, si sono resi conto che era il momento di creare con i consumatori un “patto di garanzia” e di cercare nuove strade per valorizzare al meglio le proprie produzioni, per questo motivo nel 2009 è stato emanato il nuovo Regolamento Ue in materia di biologico, evento che per il settore ittico, va considerato di grande importanza. Il “pesce biologico” infatti, al 2008 già presente sul mercato, come evidenziato da diverse rilevazioni sul piano internazionale – e anche in Italia – non poteva fregiarsi di questa denominazione in quanto mancante di una legislazione specifica.
Nel 2009, con l’entrata in vigore del nuovo Regolamento Ue (834/2007), le cose sono cambiate, dando impulso anche in termini d’immagine e di mercato al “pesce bio”, colmando un “vuoto” esistente dal 1991, quando entrò in vigore il Reg. CEE 20902/91 ma non prendendo in considerazione il settore ittico.
Il comparto tuttavia si era già auto regolamentato da una decina d’anni, adottando disciplinari privati in USA e in diversi paesi europei – soprattutto Inghilterra, Scozia, Irlanda, Spagna, Austria – ma anche in paesi asiatici e del Sud America.
In Italia la ritardata regolamentazione è stata causata anche dal mancato inserimento del pesce biologico nell’ambito della normativa che ha disciplinato la zootecnia nel 1999, pertanto solo dal 2001 si sono avute iniziative di autoregolamentazione simili al resto d’Europa, ad opera di un consorzio privato.
Quando si pensa al pesce in Italia, viene in mente principalmente il mare, ma è molto importante anche quello d’acqua dolce e questa considerazione vale anche per quello biologico. Per questo tipo di produzione, occorre riferirsi soprattutto alla trota, che è la specie di pesce più allevato in Italia ed in particolare in Friuli Venezia Giulia, dove si allevano circa il 30% delle trote italiane, con un giro d’affari stimato intorno ai 40 milioni di euro; anche questo comparto, viste le esigenze e la crescente richiesta, si sta adeguando alle normative in materia, sviluppando una produzione biologica in grado di essere presente con efficacia sul mercato.
Accanto ai possibili vantaggi nutrizionali per il pesce bio in generale, sono da considerare anche quelli legati all’ambiente: un prodotto meno inquinato e più salubre che, attraverso queste condizioni e con caratteristiche “diverse” (per dire “migliori”) rispetto a quello convenzionali, dovranno però convincere sempre di più il consumatore a pagare un prezzo più alto per il suo acquisto rispetto al convenzionale.

Alcuni importanti produzioni di pesce biologico italiane

Con il nuovo regolamento che norma la produzione di alimenti biologici, a tutti gli effetti anche le produzioni ittiche, rientrano fra le specie animali da sottoporre al regime di controllo.
L’allevamento del pesce biologico segue una tradizione ciclica che riguarda principalmente la stagionalità e che dipende totalmente dai ritmi naturali. Per esempio in alcune zone d’Italia, nel caso specifico una zona del Veneto, in primavera, l’acqua della valle da pesca si scalda più velocemente del mare e i giovani pesci vengono attratti al suo interno. Durante l’estate invece, la ricchezza di questi fondali consente la loro alimentazione e una sana crescita. In autunno-inverno l’acqua all’interno della valle si raffredda di più rispetto al mare e quindi i pesci “adulti” migrano verso l’esterno (acqua più calda), ed è solo allora che vengono catturati in trappole chiamate “lavorieri”. La particolarità di questa gestione dell’allevamento, è che i pesci non alimentandosi con mangime, sono liberi di pascolare dove la loro natura li porta ed infine sono catturati senza l’utilizzo di metodi “aggressivi” come le reti da pesca o le fiocine. L’allevatore assiste passivamente alla produzione del pesce biologico, controllandolo ma non manipolandolo, così da avere un prodotto rigorosamente stagionale e perfettamente controllato (al contrario del pesce del mare aperto) essendo la valle da pesca un ambiente chiuso.
Alcune specie, come ad esempio i crostacei e i molluschi biologici, vengono invece allevati esclusivamente in acquicolture che simulano ambienti naturali in mare. Un’acquacoltura biologica, si differenzia dalle acquicolture convenzionali oltre che per la metodologia di allevamento, anche per determinati standard ecologici, quali ad esempio il mangime che dev’essere di origine vegetale e dev’essere ricavato unicamente da fonti biologiche.
I pesci d’acqua dolce biologici come la trota, invece, vengono allevati in vasche di cemento, curandone in particolar modo l’alimentazione, la loro concentrazione a livello di popolamento nelle vasche e la qualità dell’acqua che li contiene. Generalmente questo tipo di allevamenti, si trovano nelle zone pedemontane o di risorgiva, dove l’acqua non è ancora inquinata dalle attività umane. L’utilizzo poi di un mangime biologico con certificazione che ne attesta l’esenzioneda OGM nella sua composizione, garantisce l’assoluta qualità del pescato e rende possibile la sua commercializzazione con l’etichettatura: “acquacoltura biologica-regime di controllo CE”, che assicura il consumatore sull’assoluta qualità del prodotto.

Mauro Bertuzzi, laureato in Scienze e Tecnologie Agrarie presso la Facoltà di Agraria di Milano, è Presidente del collegio provinciale di Milano e Lodi degli Agrotecnici e Agrotecnici Laureati. Curriculum vitae >>>

 

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