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di Francesca Beretti

Venerdì 11 novembre presso l’Aula Magna della Facoltà di Agraria dell’Università di Bologna si è tenuta una giornata di studio dal titolo “Applicazioni della genetica molecolare alla tracciabilità e all’autenticazione delle produzioni animali e vegetali”, che ha visto la partecipazione di circa duecento persone fra docenti, ricercatori e addetti ai lavori. L’evento è stato organizzato dal DIPROVAL (Dipartimento di Protezione e Valorizzazione Agroalimentare) e dal DCA (Dipartimento di Colture Arboree) dell’Università degli Studi di Bologna, in collaborazione con Biolab S.p.A. e con il patrocinio di Regione Emilia Romagna, Facoltà di Agraria dell’Università di Bologna e ASPA (Associazione Scientifica di Produzione Animale).
Sono state presentate quattro relazioni riguardanti l’applicazione di alcune strategie innovative per la tracciabilità e l’autenticazione dei prodotti agroalimentari attraverso l’impiego della genetica molecolare come strumento di analisi e controllo per il monitoraggio delle filiere produttive.

“Applicazioni della tracciabilita’ di razza negli animali di interesse zootecnico” è il titolo della relazione, presentata dal prof. Russo (DIPROVAL – Dipartimento di Protezione e Valorizzazione Agroalimentare – Sezione di Allevamenti Zootecnici dell’Università di Bologna), che ha avuto come oggetto l’utilizzo di determinati marcatori genetici per identificare o escludere la razza di provenienza di prodotti di origine animale. La formazione delle razze negli animali di interesse zootecnico deriva da un lungo processo che passa attraverso una serie di eventi naturali e biologici, sociali ed economici che si sono susseguiti dai primordi della civiltà ad oggi. Dagli inizi del secolo XVIII alcuni allevatori iniziarono a scegliere gli esemplari che, o per il loro aspetto esteriore o per qualche misura delle loro capacità produttive, meglio si adattavano ai sistemi produttivi e alle esigenze di allora. Allo scopo di distinguerli dagli altri soggetti presenti nei loro allevamenti, questi allevatori cercarono di rendere uniforme l’aspetto esteriore degli animali prescelti, nella convinzione che alcune caratteristiche morfologiche, quali ad esempio il colore del mantello, fossero associate con il livello delle produzioni di latte o carne o con la resistenza alla fatica o all’adattamento all’ambiente. In questo modo, veniva attuandosi un processo di selezione che ha portato all’isolamento riproduttivo di gruppi di animali con caratteristiche uniformi e alla formazione di gruppi che prefiguravano le moderne associazioni di razza. Queste associazioni, per raggiungere l’obiettivo della standardizzazione, cercarono di tenere i loro animali in isolamento riproduttivo, attuando accoppiamenti soltanto tra soggetti appartenenti a membri delle associazioni stesse e fissando, così, alcuni caratteri fenotipici quali le dimensioni corporee, il colore del mantello, la pigmentazione delle mucose, la presenza o assenza di corna e la loro forma. Perciò le razze sono popolazioni chiuse (o parzialmente chiuse), costituite da soggetti con peculiari caratteristiche morfologiche e funzionali che le distinguono da altre. Il fulcro di questo sistema oggi è costituito dai controlli funzionali e dal libro genealogico a cui possono essere iscritti animali con un particolare standard proprio di razza che include in genere anche un caratteristico colore del mantello. Il colore del mantello è, infatti, il principale carattere esteriore che viene utilizzato per descrivere e riconoscere le diverse razze.
Le conoscenze acquisite negli ultimi anni sui meccanismi biochimici e genetici che influenzano la pigmentazione nei mammiferi hanno portato all’identificazione e all’isolamento di alcuni geni-chiave coinvolti nei processi che determinano la colorazione del mantello nei bovini. Se, come si è detto, nelle principali razze bovine questo carattere fenotipico è fissato, si può dedurre che particolari alleli di questi geni possano essere presenti in tutti gli animali di una particolare razza o che possano addirittura essere razza-esclusivi. Ne consegue che marcatori genetici che permettano di identificare questi alleli direttamente a livello del DNA, possono divenire importanti strumenti per tracciare i prodotti che derivano da una particolare razza, dal momento che il DNA dell’animale è presente sia nella carne che nel latte e quindi anche nel formaggio. Su questi principi si pongono le basi della tracciabilità di razza effettuata mediante l’utilizzo di tecniche di genetica molecolare. La tracciabilità di razza può essere utile per garantire l’autenticità di produzioni di alto pregio ottenute esclusivamente con animali di una sola razza come il caso di formaggi tipici prodotti solo con latte di una particolare razza; tra questi possiamo ricordare il formaggio Parmigiano Reggiano di solo razza Reggiana e i formaggi “disolabruna”. Per quanto riguarda i prodotti di salumeria si possono ricordare i salumi di Cinta Senese o di altre razze locali.
Presso la Sezione di Allevamenti Zootecnici dell’Università di Bologna sono iniziate alcune ricerche per mettere a punto metodi di analisi per la tracciabilità dei formaggi e dei salumi monorazza, basati sulla genetica molecolare ed in particolare sullo studio dei geni del colore del mantello a partire dall’analisi dei polimorfismi al locus MC1R (melanocortin receptor 1). In particolare, la relazione ha illustrato i risultati ottenuti dal DIPROVAL nell’ambito di un progetto di ricerca finanziato dalla Regione Emilia-Romagna che ha applicato l’analisi del gene MC1R nella razza Reggiana con la possibilità di identificare eventuali miscele di latte con altre razze persino nel formaggio Parmigiano-Reggiano di oltre 24 mesi di stagionatura.

Il convegno si è concluso con la relazione “Applicazione di traccianti biologici e analisi del DNA per garantire l’autenticità dei prodotti agroalimentari tipici”, tenuta dal dott. Pancaldi di Biolab S.p.A. che ha illustrato i principi e l’efficacia dell’utilizzo di traccianti biologici esterni di origine animale o vegetale per l’autenticazione di prodotti tipici. Il sistema produttivo italiano ha fra i suoi punti di forza la presenza di un gran numero di prodotti agroalimentari tradizionali: sono ben 1.424 i prodotti tradizionale indicati dal DM 350/1999 e 145 i prodotti tutelati dall’Unione Europea con i marchi DOP e IGP (l’Italia è al primo posto seguita da Francia, con 141 e Portogallo, con 92). Numerosi, però, sono anche i tentativi di imitazione e contraffazione dei prodotti tipici sui mercati esteri, che portano alla necessità di mettere a punto sistemi efficaci di tracciabilità e autenticazione delle produzioni. In questo quadro di riferimento si sono inserite le attività di ricerca di un progetto, proposto da Biolab e dal DIPROVAL e finanziato dalla Regione Emilia Romagna, volto a sviluppare un sistema di controllo dell’autenticità del prodotto tipico, basato sull’impiego di traccianti biologici esterni di origine vegetale (o animale) e sull’analisi del DNA degli stessi.
Il progetto illustrato si suddivide in diverse fasi, prima fra tutte la scelta della specie tracciante, intendendo per tracciante biologico qualsiasi prodotto naturale di origine vegetale (o animale) che possa essere utilizzato per tracciare inequivocabilmente un prodotto alimentare. Per questa scelta, l’attenzione si è concentrata su di una specie vegetale agamica o autogama, che fosse facilmente conservabile, con un’elevata variabilità intervarietale e sulla quale fossero a disposizione pubblicazioni scientifiche: il frumento. Una volta individuata la specie, la ricerca è continuata per identificare le varietà migliori, attingendo da linee pure, antiche varietà e selezioni non commerciali per un totale di 23 varietà considerate (11 di grano tenero e 12 di grano duro).
La ricerca è proseguita, poi, con la scelta dei microsatelliti (SSR) per l’analisi del DNA e la caratterizzazione delle 23 varietà di frumento (ovviamente varietà segrete e che solo i responsabili della ricerca conoscono) prese in esame. Questo ha permesso di identificare alcune varietà di frumento, da impiegare per la sperimentazione del metodo di autenticazione. Il primo prodotto tipico scelto per la prova su campo è un prosciutto DOP e sono state considerate tre possibilità di applicazione del tracciante: a) mescolare lo sfarinato ottenuto dal tracciante biologico alla sugna (grasso suino che già di per se può contenere farina di riso o di frumento e serve per evitare l’eccessivo essiccamento del prosciutto); b) mescolare lo sfarinato del tracciante biologico al colorante alimentare utilizzato per la marcatura delle cosce; c) applicare un parti di seme di frumento sul prosciutto stesso. Per quanto riguarda la prima tipologia di prova, dopo la preparazione della miscela di sfarinato e sugna è stato estratto il DNA a diversi tempi di irrancidimento del grasso, simulando una sorta di stagionatura, per verificare che tracciante, estraibilità, amplificabilità del DNA e profili dei microsatelliti rimanessero inalterati nel tempo. Il profilo del DNA estratto dalla miscela di sugna e sfarinato è risultato perfettamente sovrapponibile a quello ottenuto dalla varietà di riferimento impiegata per la prova. La prova di applicazione del tracciante miscelato con il colorante alimentare utilizzato per la marcatura è ancora in corso. In conclusione, il sistema descritto, basato su tecnologie e tecniche innovative,  risulta semplice, veloce, automatizzabile e praticamente impossibile da contraffare. A frutto della ricerca condotta da Biolab e DIRPOVAL è stata depositata domanda di brevetto in data 13 maggio 2005.

Prelievo del tracciante biologico miscelato con inchiostro alimentare
Prelievo del tracciante biologico miscelato con inchiostro
alimentare applicato ad un prosciutto per l’analisi del DNA

Al termine degli interventi in programma sono state poste diverse domande ai relatori sui temi principali che hanno animato la giornata di studio con particolare attenzione all’ultima relazione che, per la sua originalità ma nel contempo anche per la sua semplicità, almeno dal punto di vista teorico, ha particolarmente interessato molti partecipanti. In conclusione, l’attenzione si è spostata sugli sviluppi futuri delle tecniche e dei progetti illustrati e sulle loro possibili applicazioni. Sono stati fatti apprezzamenti positivi sulla collaborazione tra Università e impresa, sottolineando la concreta e auspicabile possibilità di far nascere progetti di ricerca che possano convogliare gli interessi di entrambe le parti. Il prof. Russo, moderatore della discussione, ha infine salutato e ringraziato relatori e partecipanti, auspicando un possibile aggiornamento futuro sugli sviluppi della genetica molecolare applicata alla tracciabilità delle produzioni animali e vegetali.

Francesca Beretti è laureata in Scienze e Tecnologie Alimentari all’Università di Parma. Attualmente collabora con il Dipartimento di Protezione e Valorizzazione Agroalimentare – DIPROVAL – sezione di Allevamenti Zootecnici dell’Università di Bologna, all’interno di un progetto sulla tracciabilità di prodotti di origine animale. Continua >>>

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