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di Domenico Aloia

Introduzione al complesso mondo delle frodi in campo agroalimentare in Italia
L’articolo prende l’avvio enunciando i concetti di frode alimentare, adulterazione, sofisticazione, contraffazione, per proseguire con l’esaminare alcuni casi di agro-pirateria che coinvolgono sempre di più i prodotti di punta dell’agroalimentare italiano.

Ma cosa è una frode alimentare?
Una prima distinzione va fatta tra frodi sanitarie e commerciali.
Nel primo caso si tratta d’eventi i quali, oltre che rendere nocivi i prodotti, attentano alla salute pubblica.
Possono essere commesse da tutti coloro i quali detengono o mettono in commercio prodotti alimentari, acque, sostanze o cose da altri avvelenate, adulterate, contraffatte, in modo pericoloso per la salute pubblica (art. 440 del codice penale: adulterazione e contraffazione dei prodotti alimentari; art. 442: commercio di sostanze alimentari contraffatte o adulterate; art. 444: commercio di sostanze alimentari nocive).
Le frodi commerciali colpiscono invece i diritti contrattuali e patrimoniali del consumatore.
Un esempio è rappresentato dal fatto che nell’esercizio di un’attività commerciale all’acquirente viene consegnata una cosa per un’altra, o diversa da quella dichiarata in origine (art. 515: frode nell’esercizio del commercio; art. 516: vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine).
Esempio banale di frode commerciale può essere collegata alla quantità di prodotto venduto (caso del salumiere che pesa i salumi senza sottrarre la tara della carta).
Rientrano tra le frodi:
– le alterazioni: modifiche per mal conservazione della composizione del prodotto che ne intaccano le caratteristiche nutrizionali ed organolettiche;
– le adulterazioni: modifiche alla composizione analitica del prodotto, tramite aggiunta o sottrazione d’alcuni componenti al fine di aumentare la resa economica; esempi in questo senso sono: vendita di latte scremato o parzialmente scremato per latte intero, vino annacquato, olio ottenuto da altri semi (soia per esempio) e venduto per olio di oliva.
– le sofisticazioni: aggiunta in maniera illecita di sostanze estranee all’alimento per migliorarne l’aspetto o occultarne difetti; esempi di sofisticazioni: aggiunta a carni alterate di sostanze che ne ravvivino il colore, utilizzo di coloranti per far apparire come pasta all’uovo una qualsiasi pasta;
– le falsificazioni: totale sostituzione di un elemento con un altro;
– le contraffazioni: commercializzazione di prodotti industriali con nomi o marchi che possono creare confusione nel consumatore (caso di un comune formaggio venduto come Parmigiano-Reggiano).
Tutto ciò è legato più in generale alla sicurezza alimentare di cui si sta facendo un gran parlare negli ultimi anni, anche in seguito ad allarmi sanitari (BSE o mucca pazza, influenza aviaria, nuova influenza suina) che periodicamente investono alcuni settori produttivi dell’agroalimentare, riducendo drasticamente i consumi di taluni prodotti, e ai sempre più frequenti casi di agro-pirateria.
L’agro-pirateria è la contraffazione di un prodotto alimentare che ne sfrutta reputazione e notorietà, imitandone nomi, marchi, aspetto e caratteristiche, che nel caso dell’Italia colpisce soprattutto i prodotti a marchio DOC, IGT, DOP, IGP.
L’Italia risulta essere uno dei paesi nei quali maggiore è la contraffazione (tre prodotti alimentari su quattro sono falsi); al secondo posto dopo la Francia.
I paesi dove maggiormente si concentra l’agro-pirateria del “made in Italy” sono Stati Uniti, Australia, Nuova Zelanda e Cina.
Tutelare i prodotti in questione è un’operazione nient’affatto semplice, dal momento che si deve agire su due fronti, quello economico e quello dell’immagine.
Come detto, un numero molto elevato di prodotti viene imitato e tra questi possiamo ricordare: Parmigiano-Reggiano, Grana Padano, Asiago, Pecorino, Fontina, prosciutti DOP, vini, aceti, oli, conserve di pomodoro, pasta.
Casi che hanno fatto sì che il problema assurgesse ad ancora maggiore notorietà: Parmigiano-Reggiano e Parmesan (parmigiano prodotto negli Stati Uniti ma che sfrutta il marchio d’etichetta del ben più famoso Parmigiano nostrano), Grana Padano grattugiato in Canada, Gorgonzola e Cambozola, prosciutto di Parma affettato dalla grande distribuzione organizzata del Regno Unito, oppure registrato in Canada e tanti altri casi simili.

Il Parmesan, imitazione mal riuscita del Grana Padano, si differenzia da quest’ultimo oltre che nell’aspetto e nel confezionamento anche per caratteristiche riguardanti la lavorazione. Tra questi, il più breve invecchiamento, il fatto che la cagliata viene rotta in frammenti più piccoli rispetto alla versione nord americana il fatto di essere pressato meccanicamente, infine le forme del Parmigiano Reggiano presentano un peso di circa due terzi in meno rispetto al Parmesan.
Elemento fondamentale è rappresentato dal fatto che nel processo di produzione del Parmesan mancano i controlli sugli ingredienti e sui processi produttivi: il Parmigiano-Reggiano è tutelato, infatti, oltre che dal marchio Dop anche dal consorzio di tutela.
Per porre fine alla diatriba è intervenuta la Corte di Giustizia del Lussemburgo nel febbraio 2007, la quale ha ribadito che il termine “parmesan” in Europa deve essere utilizzato esclusivamente per il Parmigiano-Reggiano.
A fronte di ciò ha lasciato aperta la questione dell’intervento da parte degli stati membri dell’Unione Europea, facendo sì che i diversi stati si regolino autonomamente in materia.
Altra imitazione del Parmigiano-Reggiano è il Reggianito, prodotto in Argentina. Esso è realizzato in forme di 6,8 kg, ha una stagionatura più breve del Parmigiano (durata 5 – 6 mesi), è utilizzato grattugiato e spesso è commercializzato negli Stati Uniti con il nome di Parmesan.
Caso che deve far seriamente riflettere se si vuole tutelare nei fatti e non solo nelle parole il “made in Italy”, è il premio come migliore formaggio degli Stati Uniti assegnato ad un certo SarVecchio Parmesan (ulteriore imitazione del Parmigiano), prodotto nello Stato del Wisconsin dalla americana Sartori food corporation, (non ci inganni la presenza del cognome Sartori, la proprietà è del tutto made in USA), che ha addirittura relegato al terzo posto un tipico Cheddar statunitense.

Parmezan
Parmezan

Un’indagine a campione eseguita sul mercato di New York ha mostrato che i prodotti maggiormente contraffatti sono: sughi per pasta (63%), paste fresche (58%), paste alimentari (34%), formaggi (30%), affettati (23%), pomodori in scatola (20%).
Le esportazioni di formaggi italiani negli Stati Uniti si aggirano sulle 30.000 tonnellate annue delle quali 10.000 per Parmigiano e Grana.
Le imitazioni hanno raggiunto 1,7 milioni di tonnellate (1,3 milioni di tonnellate di mozzarella, 120.000  tonnellate di provolone, 111.000 tonnellate di ricotta, 60.000 tonnellate di parmesan, 15.000 tonnellate di romano cheese).
Per rimanere nel paese a stelle e strisce, il 2% appena dei consumi americani di formaggi di tipo italiano sono soddisfatti da importazioni made in Italy, il resto rientra tra le già citate truffe.
Inoltre la geografia USA dell’agro-pirateria ci indica che lo stato leader del formaggio italiano tarocco è lo Stato del Wisconsin, dove si situano impianti di produzione di Provolone, Romano cheese, Mozzarella e Parmesan, e che nello Stato di New York sono in crescita le produzioni di Mozzarella, Provolone e Ricotta, ed in California, di Provolone e Mozzarella.
A seguito di ciò possiamo ben dire (dati forniti dalla Coldiretti) che due piatti italiani su tre sono ottenuti con ingredienti non originali.
Il tutto è purtroppo destinato ad aumentare non essendo i nostri prodotti a marchio Dop, Igp e Stg, difesi a livello a livello mondiale.
Le truffe provocano danni di due tipi: uno all’immagine dell’agroalimentare italiano e all’Italia stessa ed uno economico, ad un settore che fattura annualmente al consumo 8,851 miliardi d’euro ed un export di 1,844 euro e che da lavoro ad oltre 300.000 persone.
L’agro-pirateria si muove in rete, dove è possibile acquistare numerosi formaggi dal Parmesan al Reggianito al Provolone all’Asiago statunitensi, la Robiola canadese, la Fontina cinese, i pomodori San Marzano, ecc, solo per citarne alcuni.
L’agro-pirateria non risparmia neanche un altro formaggio di sicura fama, il Gorgonzola, la cui imitazione è rappresentata dal Cambozola e dal Tinboonzola (australiano).
Il formaggio in questione, ottenuto da latte vaccino, è una “combinazione” tra un formaggio leggero francese e il Gorgonzola italiano; viene prodotto in Germania ed è distribuito fin dal 1970 dalla compagnia Champignon, nei paesi anglosassoni commercializzato con la dicitura di Blue brie.

Molto spesso le imitazioni riguardano anche i nomi tradizionali d’alcuni formaggi tra i più conosciuti, quale gorgonzola, mozzarella e ricotta.
Altre truffe vengono compiute in giro per il mondo a carico del settore caseario italiano: nello Stato dell’Illinois (USA) è prodotto il Pecorino romano ottenuto con latte di vacca e non di pecora, il Parma è venduto in Spagna senza attenersi minimamente al disciplinare del Parmigiano-Reggiano,  le fontine danesi neanche lontane parenti della fontina valdostana, Asiago o Gorgonzola statunitensi, o il pecorino cinese, ottenuto da latte vaccino, ecc.
Anche i salumi entrano nelle grinfie degli agro-pirati, come nel caso del salame di Felino originario della Provincia di Parma).
Quest’ultimo non solo è prodotto in Francia ma addirittura esportato in Malesia.
Caso limite è rappresentato da prosciutto e salumi europei a scapito dei quali negli Stati Uniti ed in Canada si è frodato alla luce del sole, tramite la registrazione di marchi tipo: Parma ham, Daniele e Daniele ham.
Solo il 32% dei prosciutti venduti in Italia deriva da maiali italiani a fronte del 90% “dichiarato” italiano, perciò oltre la metà dei prosciutti in questione deriva dagli USA. (Coldiretti citando dati Istat ed Eurostat)
Non parliamo poi della pasta, partendo dal fatto che i prodotti “taroccati” utilizzano grano tenero e non duro, passando dall’imitazione dei nomi, spaghetti, maccheroni, lasagne, ecc., fino all’utilizzo di marchi che solo nella dicitura richiamano l’Italia, quale pasta festa, pasta primavera.
Altro prodotto fortemente imitato è il pomodoro, soprattutto il perino e i suoi derivati (sughi).
In questo caso le regole per architettare un’agro-truffa sono semplicissime: infatti, è necessario scrivere in etichetta “San Marzano imported peeled tomatoes” ed aggiungere in caratteri più piccoli la parola style (o italian style).

Inoltre ormai all’estero è convinzione comune che si possano raggiungere ottimi risultati nel campo della ristorazione e dell’agroalimentare imitando nomi che richiamano il bel paese (Belvedere, Venezia, Lucia, Ortolano, Gemma, Primavera), questo perché i consumatori comprano o consumano il prodotto credendo a torto che sia italiano, quando nei fatti la realtà è un’altra.
Altri esempi di prodotti oggetto d’agro-pirateria sono: Aceto balsamico di Modena, Amaretto di Venezia prodotto in Germania, le cui forme imitano fortemente l’Amaretto di Saronno, l’olio d’oliva Romulo imbottigliato in Spagna, che riporta in etichetta la lupa che allatta Romolo e Remo, pasta Milaneza e spaghetti Napoletana portoghesi e la salsa al basilico di provenienza estone.
Fonte de preoccupazione ancora maggiore è costituita dai paesi “emergenti”, e tra questi la Cina, dove ad essere  imitati sono stati finanche i cioccolatini “Rocher” prodotti dalla famosa azienda italiana, che ha dovuto intraprendere una causa giudiziaria contro una azienda cinese (Montresor), rea di aver commercializzato un prodotto perfettamente uguale ai Rocher, causa che naturalmente ha visto vincitrice la Ferrero.
Addirittura in Cina si assiste ad un’opera di clonazione a tutti gli effetti, come nel caso di confezioni di concentrato di pomodoro (prodotto più esportato dalla Cina) perfettamente identiche a quelle originali prodotte in Italia, che riportano la dicitura “100 per cento prodotto italiano” e l’unico ingrediente riportato in etichetta risulta essere il pomodoro. In realtà il contenuto è decisamente diverso, essendo il prodotto come testimoniano le analisi, presente solo in tracce e sostituito da scarti vegetali vari.
Dalla Cina giungono in Italia anche altri prodotti, come funghi in scatola, mele, legumi, aglio, ecc, spacciati come prodotti tipici italiani, pur non essendoli (fagiolo di Lamon, aglio bianco del Polesine).
Comunque il governo, con il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali (MiPAF) in prima linea, ha improntato il proprio “credo operativo” verso la tolleranza zero nei confronti dell’agro-pirateria, al fine di tutelare i consumatori (dal punto di vista della qualità e della salubrità del prodotto) e i produttori che operano in maniera onesta.
Prova ne sono i numerosi sequestri operati in questi mesi di prodotti alimentari oggetti di frode (caso di una partita di carne avariata proveniente dall’Uruguay scartata dal consorzio di tutela della bresaola IGP della Valtellina, e che l’Istituto per il controllo della qualità a prontamente sequestrato e comunicato alle autorità competenti,  avvenuto a fine maggio).
Più recente è il sequestro, operato dall’Istituto per il controllo della qualità di Firenze, di 135 Kg di lardo e 290 Kg di derrate alimentari.
In quest’ultimo caso i problemi che hanno portato al sequestro sono stati: carni bovine congelate, prive di etichettatura e di qualsiasi elemento che faccia risalire alla tracciabilità, confezioni di lardo illecitamente spacciate per lardo di Colonnata  IGP, carni suine in semplici confezioni sottovuoto, alcune delle quali scadute, prosciutti, altri salumi e formaggi mal conservati.
Oltre al prodotto finito, il sequestro ha riguardato i locali, privi d’ogni autorizzazione per il deposito e la lavorazione dei prodotti alimentari, le apparecchiature utilizzate per la lavorazione, le etichette e il materiale informatico recante informazioni su acquirenti e fornitori della merce.
Ultimo atto in ordine di tempo ha riguardato il sequestro di 2.880 litri di falso olio extra vergine di oliva, eseguito dall’Ispettorato centrale per il controllo e la qualità dei prodotti agroalimentari di Ancona. L’olio sequestrato proveniva da uno stabilimento di confezionamento di Spoleto (Umbria), le analisi del caso hanno stabilito trattarsi non d’olio extravergine d’oliva, ma di prodotto ottenuto da oli rettificati. Il laboratorio di Perugia dell’Ispettorato che ha svolto le analisi ha informato l’autorità giudiziaria, la quale ha ipotizzato il reato di frode in commercio e vendita di prodotto non genuino, bloccandolo immediatamente.
Secondo quanto affermato dalla CIA (Confederazione Italiana Agricoltori) il giro di affari legato all’agro-pirateria è stimato intorno ai 52,6 miliardi di euro, dei quali 2 miliardi di dollari rappresentati dalle imitazioni dei formaggi operate negli Stai Uniti.
Ciò è dovuto anche a politiche di prezzi “aggressive” che spesso inducono i consumatori a scegliere le imitazioni
Per cercare di porre un freno al problema è necessario introdurre un sistema che tuteli le produzioni tipiche e tradizionali, ponendo anche sanzioni penali, per evitare tra l’altro di perdere oltre 2,5 milioni d’euro l’anno a causa di tali fenomeni.
La difesa del prodotto non a marchio Dop/Igp dovrebbe prevedere l’applicazione dell’etichettatura obbligatoria d’origine, al fine di garantire maggiore trasparenza.
Il Ministro delle politiche agricoli e forestali Luca Zaia auspica che una maggiore cooperazione, in particolare con i paesi emergenti, contribuisca a ridurre fenomeni di agro-pirateria.
Esempio di contrasto all’agro-pirateria è rappresentato dall’obbligatorietà d’etichettatura per gli oli d’oliva vergini ed extra vergini (modifica del regolamento 1019/02 e recepimento del regolamento comunitario n° 182 del 6 Marzo 2009), entrata in vigore lo scorso 1° luglio che impone di indicare la provenienza delle olive utilizzate.
A dare maggiore valore al tutto vi saranno diciture quali, “olio ottenuto da olive coltivate in Italia o 100% da olive italiane”, e nel caso di miscugli di varia provenienza “miscele d’oli di oliva comunitari o non”. Questo anche per impedire che, come spesso, accade non siano spacciati come italiani oli ottenuti da miscugli d’olive spagnole, greche o tunisine.
L’etichettatura consentirà all’olio italiano di essere maggiormente competitivo nei confronti di paesi concorrenti, valorizzando dalla grande messe di varietà di oli (350 a fronte delle appena 16 spagnole, ci cui ben 40 Dop rispetto alle 6 degli iberici).

Conclusioni
Naturalmente sconfiggere il problema non è cosa semplice, anche per la crescente competizione internazionale in campo agro alimentare, dove spesso i concorrenti “scavalcati” cercano di ricorre a mezzi spesso non leciti (o non del tutto leciti) per conquistare nuovi mercati.
Ciò provoca un danno notevole soprattutto ai tanti produttori che operano da sempre in modo serio e scrupoloso e che hanno contribuito a dare lustro all’agroalimentare italiano nel mondo.

Sitografia
– www.diariodelweb.it  (Coldiretti: da oggi l’olio ha l’etichetta made in Italy)
– www.agroalimentarenews.com  (Dati sull’ agro-pirateria)
– www.oggi7.info (Parmesan sarà lei)
– www.coldiretti.it (Agro-pirateria)
– www.ilpomodoroitaliano.it  (Agro-pirateria)
– www.libero-news.it (Alimenti: Zaia riscrivere le regole del mercato per contrastare l’agro-pirateria)
– www.newsfood.com
– www.italianfoodnet.com
– www.ermesagricoltura.it   Dicembre 2007 (Un vocabolario per orientarsi nella giungla degli inganni)

Domenico Aloia, iscritto al corso di laurea triennale in Scienze e tecnologie delle coltivazioni presso la Facoltà di Agraria di Perugia,  svolge servizio civile come volontario presso l’Istituto zooprofilattico sperimentale dell’Umbria e delle Marche.

Curriculum vitae >>>

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