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di Mario Giannone

CARATTERISTICHE DEGLI ALLEVAMENTI ITALIANI, BREVE STORIA E NUOVI ORIENTAMENTI

L’allevamento dei suini è caratterizzato, in Italia, da forme differenti di impresa, in funzione delle possibilità agricole locali, dello sviluppo dell’industria casearia e di trasformazione, dall’ambiente pedoclimatico e delle necessità ed abitudini alimentari della popolazione. Alcune delle forme di allevamento che vengono descritte qui di seguito erano spiccatamente tipiche in passato. Lo spopolamento della campagne ed altri fenomeni sociali ed economici, l’ingresso in Europa, hanno indotto modificazioni rilevanti. Per contro, nei tempi più recenti, si è intensificata l’attività di lavorazione delle carni suine, nonché l’allevamento suinicolo da destinare alle richieste industriali e parallelamente il ritorno a produzioni del passato da tempo scomparse.

Suini di razza Cinta Senese
Suini di razza Cinta Senese (foto Mario Giannone)

Nel complesso della suinicoltura italiana si distinguono:

  • Allevamenti estensivi
    Oggi fortemente ridotti come numero e modificati nell’organizzazione, si svolgono allo stato brado e semibrado, dove si hanno adatte possibilità di pascolo (querceti soprattutto), come avviene ancora in qualche località dell’Italia centrale, meridionale e delle isole. Le “razze” allevate, spesso polimeticci non definiti, non sono precoci, ma rustiche e capaci di una conveniente utilizzazione delle possibilità offerte da quel pascolo, raggiungendo anche un discreto stato delle carni e dei prosciutti. Il prodotto ottenuto è generalmente pregiato per la grande sanità e la magrezza. Per contro le carni ottenute sono frequentemente dure e tigliose ma dalle caratteristiche organolettiche superiori. Molte di queste realtà si sono trasformate in allevamenti condotti con metodo biologico, senza subire radicali cambiamenti nella tipologia di allevamento. La situazione sociale ed economica odierna va riducendone il numero così come erano una volta, ma allo stesso tempo il ritorno del maiale all’aperto sotto forma di allevamenti biologici ne sta aumentando la presenza un po’ in tutta Italia.
  • Allevamenti familiari
    Erano diffusi maggiormente nelle province centro settentrionali. Ogni famiglia rurale allevava uno o due suini per le loro necessità, valendosi, per alimentarli, sia dei rifiuti della cucina, sia dei cereali e di altri mangimi (patate, castagne, ecc.) ma  particolarmente di mais che le famiglie dei salariati aziendali ricevevano in parziale compenso del lavoro prestato. Di norma, il giovane suino era acquistato appena slattato o poco dopo, al peso di Kg 20/38 ed era portato a Kg 120/150 di p.v. e più. L’allevamento familiare ha avuto notevole impulso durante l’embargo imposto all’Italia per volere Inglese quale risposta alla guerra di Abissinia  e poi durante la seconda guerra mondiale, in rapporto alle disposizioni che erano state emanate per favorirlo, in modo da accrescere la disponibilità di carni e di grassi per la popolazione. Ora la sua importanza sotto l’aspetto sociale è molto diminuita, per le mutate condizioni di vita  e di alimentazione, nonché economico-sociali delle popolazioni. Parallelamente alla riduzione degli allevamenti di questa tipologia, è invece aumentato, negli ultimi anni, il numero di maiali lavorati artigianalmente e in proprio, per consumi familiari, quindi acquistati presso allevamenti. Questo fenomeno è una conseguenza del ritorno in campagna di famiglie “cittadine”, spesso benestanti, che magari continuano a lavorare in città o comunque in settori diversi da quello agricoli e quindi con un rapporto con il territorio e le tradizioni del mondo agricolo molto diverso dei loro nonni, che magari avevano vissuto, abitato e lavorato nello stesso podere ma in modo chiaramente diverso.
  • Allevamenti poderali
    Prosperavano in passato molto più di adesso soprattutto nelle aziende appoderate dell’Italia centrale. A seconda delle zone veniva adottato il sistema semistallino e quello totalmente stallino per quanto riguarda l’ingrasso, mentre le scrofe avevano più possibilità di grufolare per i campi, fossi e piccole aree boschive, avevano libero accesso ai terreni quando erano a riposo o appositamente coltivati per loro. Si producevano lattonzoli oppure magroni per il mercato, come avveniva in Toscana e nell’Umbria, specialmente con l’allevamento di prodotti di incrocio, tra le razze locali e la Large White, assai apprezzati dai caseifici dell’Italia settentrionale, prima che questi passassero all’allevamento a ciclo chiuso. In altri casi si giunge anche alla produzione del maiale grasso, oggi più di ieri, del peso tradizionale di Kg 150/200. L’alimentazione comprende, in misura minore o maggiore, il pascolo (ghiande), nonché ogni altro mangime di produzione aziendale ed acquistabile sul mercato.
  • Allevamenti industriali
    Gli allevamenti annessi ai grandi, ai medi, ai piccoli caseifici si svolgono tipicamente in Lombardia ed Emilia, oggi più che mai dato che le quote latte sono concentrate solo in queste regioni. Hanno carattere nettamente industriale e rappresentano un mezzo economico di trasformazione dei sottoprodotti dell’industria casearia. I caseifici acquistano soggetti per l’ingrasso ed il macello. In passato, con l’ingrasso si raggiungevano i 150/180 anche 200 Kg. Ora si tende invece, anche nelle latterie sociali, per esempio del Reggiano, a concluderlo ai 130/140 kg peso decisamente troppo basso per ottenere anche un prodotto di media qualità. L’alimentazione classica, fornita a questi maiali, è a base di siero di latte e di latticello commisto a farine specialmente di mais ed a crusca. Oggi si è largamente diffuso l’impiego di miscele più complesse, arricchite con integratori e promotori di crescita, ampiamente offerti dal mercato. Oggi oltre agli allevamenti connessi al caseificio, è più facile trovare grandi porcilaie con decine di migliaia di soggetti, senza terra e senza caseificio collegato. Si tratta di allevamenti molto funzionali e decisamente ad alta tecnologia, tanto da non venire più definiti allevamenti, ma complessi industriali. Nonostante quanto si legga e si senta dire, hanno costi di produzione e di gestione altissimi, di cui però “l’industriale del suini” si carica solo in piccola parte. Il ricorso ad agevolazioni fiscali e soprattutto al grande finanziamento pubblico, molte volte a fondo perduto, permette di produrre a costi possibili. Basti pensare che il solo smaltimento dei liquami, che in questi allevamenti senza terra, contrariamente agli altri dove il letame è sempre ricchezza e fertilità per i terreni, rappresenta un problema sociale per aree vastissime, questi costi aggiunti, assorbirebbero gran parte degli utili provenienti dall’impresa se non esistessero meccanismi artificiosi e sostegni provenienti dall’esterno. Il prodotto che forniscono è controllato per alcuni aspetti ma con profondi vizzi di produzione che un po’ alla volta stanno venendo fuori, costringendo questi “industriali” ad una maggiore attenzione e rispetto verso il consumatore finale. Il riferimento è indirizzato verso l’uso indiscriminato di promotori sintetici di crescita, sostanze auxiniche di varie molecole e uso di materie prime a bassissimo costo ma incerta provenienza.
  • Allevamenti biologici
    Questo tipo di allevamenti nasce e cresce d’importanza dopo che l’Unione Europea rende esecutiva una propria legge, il Reg. 1804/99, che regolamentando il modo di allevare con metodo biologico, lo ufficializza e consente, a tutti coloro che credevano in questo modo di gestire gli allevamenti, di avere riconoscimenti a livello politico, accesso ai finanziamenti e una tutela a livello giuridico. E’ un grande successo, perché, il movimento promotore, espressione di un’Europa unita, cosciente e per una volta protagonista sul piano mondiale, aveva trovato una infinità di ostacoli e di nemici potenti. Gli allevamenti del suino biologico riportano i maiali dove erano stati allevati da sempre; si consente di rivalutare le così dette aree marginali e difficili per alcuni, ma così generose in questo caso; si riconcilia il buon gusto con un consumatore sempre più consapevole e ben disposto a spendere di più per un prodotto di grandi caratteristiche organolettiche e sicuro da tutti i punti di vista. E’ un allevamento che non devasta i paesaggi, non diffonde maleodoranti lezzi a grandi distanze, ha rispetto del consumatore e dello stesso animale al quale viene concessa una vita rispondente ai dettami del proprio istinto. Le arche prendono il posto dei capannoni, le deiezioni ritornano a fertilizzare i campi piuttosto che inquinare le falde e i fiumi e anche il piccolo produttore premiato dalla qualità ricomincia a sperare, perché per lui si apre un mercato nuovo che gli era stato precluso da andamenti politici ed economici fortemente contrastanti con la salvaguardia del vecchio mondo rurale. Presso queste aziende, fortemente collegate ai propri territori, perché da essi devono prelevare buona parte degli alimenti con cui alimentare gli animali, tornano ad essere allevate razze storiche a rischio di estinzione, autentici gioielli genetici, frutto del duro lavoro delle nostre radici, che per un “malsano” concetto di modernismo hanno rischiato la scomparsa definitiva. Un vero recupero di una fetta della nostra storia rurale. Il filo elettrico per recintare, arche parto e allevamento come ricoveri, abbeveratoi automatici, mangiatoie antispreco e tante altre piccole innovazioni che servono a rendere meno difficile questo ritorno, sono ben gradite purché rispettose dell’ambiente. Il biologico per molte aree europee e per molte regioni d’Italia sarà l’occasione giusta per un grande recupero, restituendo alla collettività vaste aree erroneamente valutate come improduttive. Questi allevamenti rappresentano l’ultimo passo evolutivo.
  • Dalla ghianda al salamino (6^ Parte)
  • Dalla ghianda al salamino (8^ Parte)
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    “L’allevamento biologico del suino”
    Mario Giannone – Edagricole

    Le principali fonti di consultazione sono state:
    – “Etnologia Zootecnica” UTET, di Telesforo Bonadonna,
    – “L’allevamento biologico del suino” Edagricole, di Mario Giannone
    – Razze autoctone alla riscossa di M. Giannone, Rivista di suinicoltura n.4 2002
    – Dossier: Le regole d’oro per produrre il suino bio, Rivista di suinicoltura n.11, 2000 – M. Giannone
    – La filiera del biologico è una realtà, Rivista di Suinicoltura n.12, 2000 M. Giannone

    Mario Giannone è laureato in Scienze Agrarie all’Università di Firenze. Insegnante di zootecnia all’Istituto Tecnico Agrario di Firenze, presta la sua opera di assistenza tecnica specialistica presso Enti regionali, Parchi e Associazioni. E’ autore del libro “L’allevamento biologico del suino” edito da Edagricole-Sole 24 ore. Curriculum vitae >>>

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