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di C.Maurizio Scotti

Non solo “pummarola”, ma anche sughi pronti, pelati, passata alle verdure e concentrato fanno gola al mercato globale, ovvero quello globalizzato, che in verità trova le nostre aziende (anche le più grandi) grossolanamente impreparate.

Il pomodoro fresco non figura tra le materie prime di interesse borsistico (cosa che invece capita allo zucchero ed al caffè), ma il suo valore commerciale nel comparto alimentare vale non meno di 6mila miliardi di dollari all’anno. Una cifra stratosferica, che equivale al triplo dell’intero debito pubblico italiano, anch’esso stratosferico.
In Italia, il pomodoro è una tradizione consolidata da quando questa orticola è stata importata dall’America; in alcune regioni, come Emilia Romagna, Lazio e Campania è diventato un valore economico indiscutibile, in altre, come Calabria e Sicilia, una questione di cultura alimentare. Da noi se ne producono milioni di tonnellate di tutte le varietà, a cominciare dal Sanmarzano per arrivare al tondo liscio, al Pachino e al grappolo. In Europa, più di noi ne produce la Spagna e poi nel novero dell’élite delle “verdure rosse” ci sono Grecia, Francia e Portogallo a cui negli ultimi decenni si è aggiunta l’Olanda (Fiandre). Nel mondo ci sono grandi produttori in America (Messico, Stati Uniti, Brasile, Cile, Argentina e Perù), Africa (Marocco, Algeria, Tunisia, Egitto, Sudafrica e Angola), Oceania (Nuova Zelanda e Australia), ma è soprattutto l’Asia ad aver messo a soqquadro i valori produttivi, con Kazakhstan, Indonesia, Filippine e Vietnam diventati improvvisamente “grandi produttori”. Il clou, però, è rappresentato dalla Cina, il cui pomodoro ha invaso letteralmente i mercati mondiali sia per quantità che per prezzo di vendita. Qualcuno afferma che anche la qualità sia notevolmente migliorata, anche per via del fatto che la produzione ha cercato di privilegiare le varietà maggiormente richieste sui mercati occidentali, come l’occhio di bue, il ramato e il piccadilly. L’annata agraria che si va ad innestare dovrebbe dare al Cina alcune decine di milioni di tonnellate di pomodoro fresco in più rispetto a quella conclusasi nel 2016, soprattutto perché nelle regioni del Fiume Azzurro (Sud Est del Paese) sono stati tolti della produzione circa 10milioni di ettari a riso, in previsione della costruzione di una grande diga per scopi idroelettrici, parzialmente sostituiti da 1,5milioni di ettari a pomodoro, come deciso dal piano agricolo quinquennale del Partito Comunista Cinese 2016-2020, che andrà decorrere nel 2018, anno previsto del completamente dello sbarramento di Whuan sullo Jang-tze, che consentirà l’indipendenza elettrica alla megalopoli di Shangai (28milioni di abitanti).

Ciò non toglie che le imprese tecnologiche cinesi ed i suoi contorni agroalimentari, avranno fortissime ripercussioni in tutto il resto del mondo, a cominciare dalle produzioni maggiormente attaccabili, come il pomodoro da trasformazione, ovvero da industria, dove il Made in Italy svolge un ruolo di primissimo ordine. Le conseguenze potrebbero essere disastrose, con un crollo verticale dei prezzi e delle remunerazioni, vista la possibilità di accesso, anche attraverso triangolazioni, al prodotto asiatico a basso prezzo: 35 dollari/tonnellata franco container porto di Savona (4 settimane di navigazione); 48 dollari/tonnellata franco Lipsia, Germania, via Transiberiana (2 settimane di treno); 279 dollari/tonnellata franco aeroporto Verona Catullo, Italia (via Chisinau, Moldova, 2 giorni).
Alla fine si scopre che costerebbe di più convogliare un camion (3,5 tonnellate) da Catania a Codigoro (Valfrutta) che l’intera spedizione di raccolto trasportabile, almeno stando ai prezzi cinesi che vengono proposti (e accettati) all’industria nazionale. Quasi uno scacco matto da cui proteggersi più in fretta possibile.

pomodoro da industria italia cina mercato salsa coltivazioni passata
Piantagione di pomodori da industria

Autore: C.Maurizio Scotti.
05/04/2017.

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