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di Nicolò Gallo Curcio

latticini formaggi biologico convenzionale confronto bio

Latte e derivati nell’alimentazione

Il gruppo latte e derivati comprende il latte, lo yogurt, i latticini e i formaggi. La funzione principale del gruppo è quella di fornire calcio, in forma altamente biodisponibile, ossia facilmente assorbibile e utilizzabile. Gli alimenti di questo gruppo contengono inoltre proteine di buona qualità biologica e alcune vitamine (soprattutto B2 e A). Nell’ambito del gruppo sono da preferire il latte parzialmente scremato, i latticini e i formaggi meno grassi.

I risultati della ricerca

Secondo l’ormai collaudato sistema, per il confronto sulla composizione chimica tra latte biologico e convenzionale è stata presa in considerazione una revisione della letteratura scientifica pubblicata nel 2016 la cui raccolta dati, limitata al periodo compreso tra 1992 e 2014, ha fornito 15.164 riferimenti. Altre 31 pubblicazioni sono state trovate contattando direttamente gli autori degli articoli identificati nella ricerca bibliografica iniziale; ciò includeva dati provenienti da ricerche pubblicate prima del 1992 che erano stati utilizzati in precedenti revisioni sistematiche della letteratura.

I dati sulla valutazione dei fabbisogni nutrizionali e i livelli di assunzione dei nutrienti invece sono stati estrapolati dalla IV revisione dei Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia per la popolazione italiana (LARN).

Profilo lipidico

Per quanto riguarda la composizione lipidica, il latte biologico e convenzionale hanno mostrato concentrazioni simili di acidi grassi a catena corta e acidi grassi monoinsaturi totali, mentre quantità maggiori di acidi grassi polinsaturi sono state rinvenute nel latte biologico (+15%). Tra gli acidi grassi polinsaturi, le maggiori differenze sono emerse per gli omega-3: +60% per gli omega-3 totali, +79% per l’acido α-linolenico, +63% per l’EPA, +38% per il DPA e +194% per il DHA. Nessuna differenza significativa tra il latte biologico e quello convenzionale invece è stata osservata nella concentrazione di omega-6 e acido linoleico; solo l’acido arachidonico è risultato inferiore (–21%). Per gli omega-3 a lunga catena sono state evidenziate concentrazioni maggiori (+57%) nel latte biologico rispetto a quello convenzionale.

Elevate assunzioni di foraggio fresco da parte degli animali al pascolo (come prescritto dagli standard dell’agricoltura biologica) aumentano le concentrazioni di acidi grassi desiderabili (monoinsaturi, polinsaturi, omega-3 e acido α-linolenico) e vitamine (fatto salvo per gli stereoisomeri 2R dell’α-tocoferolo) nel latte, mentre elevati apporti di mangimi concentrati hanno l’effetto opposto. Con l’agricoltura biologica da una parte, che prevede il razzolamento del bestiame e un’alimentazione a base di foraggio, e l’allevamento convenzionale dall’altra, basato su mangimi concentrati e integrazione vitaminica, risulta evidente come i regimi alimentari siano una delle cause alla base delle differenze di composizione tra latte biologico e convenzionale.

Nell’alimentazione tipica dei paesi industrializzati l’apporto di omega-6 (soprattutto acido linoleico) è troppo alto rispetto a quello di omega-3 e si stima che il rapporto omega n-6/omega n-3 si aggiri tra 15:1 e 40:1, quando invece le raccomandazioni per la salute ne suggeriscono uno compreso tra 16:1 e 2:1 (ovvero un’assunzione di riferimento pari al 4-8% delle kilocalorie giornaliere di omega-6 e allo 0.5-2% di omega-3).

Alla luce delle differenze nel rapporto omega-6/omega n-3 nel latte biologico (pari a 3.56) rispetto a quello convenzionale (5.42) emerge come la scelta del primo possa contribuire, se inserita in un regime alimentare vario ed equilibrato, a un apporto bilanciato di acidi grassi polinsaturi nel contesto dell’assunzione di riferimento stabilita per questi (all’incirca il 5-10% delle kilocalorie giornaliere) in quanto il gruppo “Latte e derivati” ricopre il 16% dell’introito giornaliero di omega-3.

Il contenuto totale di isomeri coniugati dell’acido linoleico nel latte biologico è risultato maggiore (+48%), in particolare il contenuto di acido rumenico o CLA9 (+34%) e CLA10 (+35%). Latte e derivati rappresentano la fonte dietetica principale di CLA (fino al 60-70%) dal momento che gli isomeri coniugati dell’acido linoleico si trovano nel grasso dei ruminanti; sebbene i prodotti biologici abbiano mostrato averne una maggiore concentrazione, secondo l’EFSA non vi sarebbero sufficienti prove a dimostrare la correlazione tra l’assunzione degli isomeri coniugati dell’acido linoleico e il controllo del peso corporeo, il mantenimento della massa magra nel contesto di un regime alimentare ipocalorico, l’aumento della sensibilità insulinica, la protezione di DNA, proteine e lipidi dallo stress ossidativo e il potenziamento della risposta immunitaria.

Vitamine e minerali

Nel latte biologico rispetto a quello convenzionale risultano maggiori concentrazioni di carotenoidi (+32%), α-tocoferolo (+12%) e ferro (+17%; non essendo il latte e i suoi derivati le principali fonti dietetiche del minerale è inverosimile che l’apporto superiore di questi abbia una qualche valenza nutrizionale), ma inferiori di iodio (–73%) e selenio (–28%).

La concentrazione di 3R α-tocoferolo (lo stereoisomero dominante nel latte bovino) è maggiore nel latte biologico, mentre inferiore quella di 2R α-tocoferolo; ciò non sorprende dal momento che:

  1. L’agricoltura biologica prescrive elevate assunzioni di foraggio fresco, che è la principale fonte naturale di α-tocoferolo nella dieta delle vacche da latte e contiene per lo più stereoisomeri 3R;
  2. Gli stereoisomeri 2R si trovano solo negli integratori di vitamina E impiegati nella produzione lattiera convenzionale.

Si ritiene che un aumento dell’apporto giornaliero con l’alimentazione di carotenoidi e α-tocoferolo sia desiderabile poiché in grado di ridurre lo stress ossidativo, noto fattore di rischio per una serie di patologie croniche-infiammatorie; tuttavia, dato che i prodotti lattiero-caseari non sono fonti dietetiche significative di carotenoidi e α-tocoferolo, è improbabile che le concentrazioni superiori di questi osservate nel latte biologico abbiano un impatto sulla salute umana.

Il riscontro di contenuti inferiori di iodio e selenio nel latte biologico è risultato inatteso, in quanto l’integrazione minerale è consentita dal disciplinare dell’agricoltura biologica ed è utilizzata nelle produzioni casearie, sia convenzionali che biologiche, poiché in grado di migliorare la salute degli animali. Questo può essere dovuto:

  1. Alle aziende agricole biologiche che utilizzano meno mangimi concentrati;
  2. All’obbligo di richiesta degli integratori minerali per i mangimi biologici (mentre i mangimi concentrati destinati all’allevamento convenzionale sono già fortificati);
  3. All’uso della disinfezione del capezzolo (nota per aumentare le concentrazioni di iodio nel latte), meno comune nella produzione biologica.

È noto come inoltre il contenuto di iodio nel latte fluttui stagionalmente, con una maggiore concentrazione durante l’inverno rispetto all’estate, che la presenza del minerale venga influenzata dalla vicinanza del mare (in quanto si deposita per effetto dall’evaporazione) e di come il minerale possa essere perso durante la pastorizzazione ad alta temperatura.

Lo iodio è essenziale per il corretto funzionamento della tiroide in quanto componente degli ormoni tiroidei triiodotironina e tetraiodotironina. Il ridotto contenuto del minerale nel latte biologico è da considerarsi negativo data l’importanza che il gruppo “Latte e derivati” ricopre nell’introito giornaliero del minerale; con il latte biologico, considerando il consumo di 2-3 porzioni giornaliere da 125 ml, verrebbe soddisfatto il 7-10% dell’assunzione adeguata di iodio (150 µg/die) contro il 25-38% per mezzo del latte convenzionale. L’apporto del minerale con entrambe le tipologie di latte potrebbe comunque essere eccessivo nelle regioni caratterizzate da un consumo elevato di prodotti lattiero-caseari quali Finlandia, Svezia e Paesi Bassi. Inoltre, l’impiego diffuso dello iodio come disinfettante e la fortificazione dei mangimi ha portato ad effetti negativi sulla salute dovuti a introiti elevati del minerale in alcune regioni del mondo quali ad esempio il Nord America, tant’è che le raccomandazioni sono di ridurne i livelli d’integrazione per il bestiame; per questo motivo gli inferiori livelli di iodio nel latte biologico potrebbero essere in certi casi positivi. D’altro canto, è evidente come un contenuto inferiore di iodio nel latte biologico possa determinare situazioni di carenza in condizioni di fabbisogno aumentato (come durante la gravidanza e l’allattamento), nella popolazione che consuma meno di 2-3 porzioni giornaliere di latte e derivati e in coloro che non hanno un sufficiente apporto del minerale da altre fonti alimentari.

Le concentrazioni di selenio nel latte infine riflettono l’assunzione delle vacche di questi durante l’allattamento e sono in gran parte dipendenti dalla presenza del minerale nel suolo come dalla sua somministrazione sotto forma di supplemento dietetico; come già osservato per le carni, le differenze geografiche possono inoltre influenzare le concentrazioni di selenio nel foraggio e nei mangimi concentrati, contribuendo in questo modo al divario tra il latte biologico e convenzionale. Pur presentando il latte biologico un minor contenuto del minerale rispetto al latte convenzionale, non risulta verosimile che la preferenza di questi possa avere delle ripercussioni sulla salute dell’individuo dal momento che il consumo giornaliero di 2-3 porzioni da 125 ml del primo coprirebbe il 5-8% dell’assunzione raccomandata per la popolazione di selenio e quello del secondo il 7-11%.

Conclusioni

Negli ultimi tempi, forte dell’aumentato interesse dei consumatori verso la qualità degli alimenti e la tutela dell’ambiente, si sta assistendo alla crescita della domanda di prodotti ottenuti in maniera naturale ed ecosostenibile; in risposta a ciò l’offerta sta convergendo verso sistemi produttivi in grado di soddisfare tali priorità, uno fra tutti il metodo biologico. A testimoniare quest’inerzia le analisi di mercato hanno rivelato come a livello mondiale siano aumentate le aree agricole destinate all’agricoltura biologica e il numero di operatori del settore.

Bisogna osservare come l’agricoltura biologica abbia un impatto ambientale inferiore rispetto all’agricoltura convenzionale e la conversione al biologico delle imprese agricole che operano diversamente sarebbe positiva per la riduzione dell’impronta ecologica del settore; inoltre, pur essendo un metodo di gestione agricola impegnativo e caratterizzato da una produttività ridotta, tale sistema presenta una buona profittabilità per gli agricoltori e richiede più manodopera, rappresentando così un incentivo per la manutenzione e il ripopolamento delle zone rurali nei paesi industrializzati, ma anche un’opportunità d’emancipazione economica nei paesi in via di sviluppo.

Sul valore nutrizionale degli alimenti ottenuti secondo il disciplinare di produzione biologica occorre fare dei distinguo:

  • I vegetali biologici risultano superiori in virtù del maggior contenuto di vitamina C, ma anche più sicuri per via dei ridotti livelli di pesticidi, cadmio, nitriti e nitrati in essi riscontrati; è da considerarsi invece negativo il quantitativo inferiore di vitamina E registrato rispetto alle colture convenzionali;
  • Le carni biologiche presentano concentrazioni rilevanti di acidi grassi polinsaturi della serie omega-3 e di ferro rispetto alla controparte convenzionale;
  • Il latte biologico contiene elevate percentuali di omega-3, tuttavia l’apporto di iodio derivante dall’assunzione di questi risulta significativamente ridotto se paragonato al latte convenzionale.

Dal momento che uno stato di eunutrizione è raggiungibile senza il ricorso a un’alimentazione particolare bensì con una dieta varia ed equilibrata, l’unico stratagemma dietetico efficace nel concorrere allo stato di salute di un individuo rimane una regime alimentare bilanciato e non necessariamente basato sul consumo di alimenti biologici; la scelta di un alimento tuttavia non può limitarsi alle proprietà nutrizionali di questi ma dovrebbe prendere in considerazione anche la sostenibilità del sistema produttivo che lo ha generato e, in questo senso, l’agricoltura biologica si è dimostrata superiore al convenzionale, rendendo di fatto auspicabile l’acquisto di prodotti biologici da parte del consumatore.

Bibliografia

  1. INRAN. LINEE GUIDA PER UNA SANA ALIMENTAZIONE ITALIANA. Roma: Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (INRAN), 2003.
  2. Higher PUFA and n-3 PUFA, conjugated linoleic acid, α-tocopherol and iron, but lower iodine and selenium concentrations in organic milk: a systematic literature review and meta- and redundancy analyses. Srednicka-Tober, D., et al. 2016, British Journal of Nutrition, p. 1043-1060.
  3. SINU. LARN – Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia per la popolazione italiana. IV Revisione. Milano: SICS Editore Srl, 2018.
  4. EFSA; NDA. Scientific Opinion on the substantiation of health claims related to conjugated linoleic acid (CLA). Parma: European Food Safety Authority (EFSA), 2010. p. 1-26.

Nicolò Gallo Curcio (Roma), Laureato in Scienze delle Attività Motorie e Sportive e Magistrale in Scienze della Nutrizione Umana. Libero professionista. E-mail: n.gallocurcio@gmail.com

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