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di Nicolò Gallo Curcio

biologico convenzionale

Le carni nella dieta

Le carni hanno la funzione principale di fornire proteine di elevata qualità e oligoelementi (in particolare zinco, rame e ferro altamente biodisponibile, ossia facilmente assorbibile e utilizzabile) e inoltre vitamine del complesso B (in particolare vitamina B12). Nell’ambito del gruppo sono da preferire le carni magre (siano esse bovine, avicole, suine, ecc.) mentre va invece moderato, per quanto riguarda la quantità, il consumo di prodotti a maggiore tenore in grassi, quali certi tipi di carne e di insaccati.

I risultati della ricerca

In maniera simile all’articolo precedente, per il confronto sulla composizione chimica tra carni biologiche e convenzionali è stata presa in considerazione una revisione della letteratura scientifica pubblicata nel 2016 la cui raccolta dati, limitata al periodo compreso tra il 1992 e la fine del progetto nel marzo 2014, ha fornito 707 referenze. Altre 17 pubblicazioni sono state trovate contattando direttamente gli autori degli articoli inclusi nella ricerca bibliografica iniziale.

I dati sulla valutazione dei fabbisogni nutrizionali e i livelli di assunzione dei nutrienti invece sono stati estrapolati dalla IV revisione dei Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia per la popolazione italiana (LARN).

Macronutrienti

Differenze significative sono state riscontrate nei profili lipidici tra carne biologica e convenzionale; per le proteine invece non sono emerse particolari difformità.

La carne biologica ha mostrato un quantitativo di acidi grassi a catena corta simile (–2%), di acidi grassi monoinsaturi inferiore (–7%) e di acidi grassi polinsaturi maggiore (+19%) rispetto alla carne convenzionale; nello specifico, concentrazioni inferiori di MUFA sono state osservate per la carne di manzo (–8%) e pollo (–18%), mentre maggiori di PUFA nella carne di manzo, agnello/capra e pollo (+18%, +17%, +9% e +32%). Sono state osservati contenuti ridotti di acido miristico (–18%) e acido palmitico (–9%) nella carne biologica rispetto a quella convenzionale; nel dettaglio, le concentrazioni di acido miristico sono risultate inferiori nelle carni di manzo, maiale e pollo (–19%, –17% e –63%) mentre per quanto riguarda l’acido palmitico solo la carne di pollo ha mostrato possederne quantitativi minori (–37%). Il contenuto di omega-3 (+38%) e omega-6 (+13%) è risultato maggiore nella carne biologica rispetto a quella convenzionale; gli omega-3 sono stati trovati in concentrazioni elevate nelle carni di manzo (+55%) e pollo (+42%) e solo la carne avicola biologica ha mostrato un contenuto maggiore anche di omega-6 (+37%).

L’apporto adeguato di omega-3 nell’alimentazione è collegato a una serie di benefici per la salute (in quanto precursori di eicosanoidi e docosanoidi, molecole che partecipano alla regolazione della pressione arteriosa, ai processi emocoagualtivi, alle reazioni immunitarie e infiammatorie) e l’aumento dell’introito di questi con il consumo carne di biologica, stimato intorno a +17%, potrebbe essere vantaggioso se si considera che il gruppo “Carne e derivati” copre l’11% dell’assunzione totale giornaliera di omega-3. Le carni prodotte secondo questo metodo inoltre presentano un rapporto acido linoleico/acido α-linolenico e omega n-6/omega n-3 inferiore; dal punto di vista nutrizionale ciò sarebbe rilevante in quanto omega-3 a lunga catena (EPA e DHA) potrebbero essere ottenuti dall’acido α-linolenico dietetico mediante bioconversione dal momento che questa reazione si pensa che aumenti al diminuire del rapporto acido linoleico/acido α-linolenico nella dieta poiché questi due acidi grassi polinsaturi competono per l’attività della Δ6-desaturasi (sebbene i tassi di conversione da acido α-linolenico a EPA siano bassi negli esseri umani, come pure la sintesi del DHA). Comunque l’impatto nutrizionale positivo derivante dal passaggio dal consumo di carne convenzionale a quella biologica (o proveniente da altri sistemi che prevedono un’alimentazione degli animali ad alto contenuto di foraggio), in relazione alle più alte concentrazioni di omega-3 e alla bioconversione dell’acido α-linolenico in EPA e DHA, dipenderebbe anche da diversi altri fattori dietetici quali l’assunzione totale di grassi, la proporzione di prodotti lattiero-caseari, carne, pesce e grassi vegetali nella dieta, la tipologia di grassi vegetali consumata e la capacità individuale di convertire e/o allungare l’acido α-linolenico in EPA e DHA.

I risultati indicano come l’impatto relativo all’utilizzo dei metodi di produzione biologica sul profilo lipidico delle carni differisca tra le specie di bestiame e che gli effetti benefici dovuti al consumo di carne biologica non dipendano solo dalla quantità ma anche dal tipo di carne consumata; vi sono grandi differenze nelle quantità relative di carne di manzo, agnello/capra, maiale e di pollo consumate nell’UE e altrove. Inoltre, i calcoli delle assunzioni di acidi grassi presuppongono che i lipidi nelle carni biologiche e convenzionali siano simili e che non vi sia differenza nelle porzioni consumate di carne biologica e convenzionale. Tuttavia, è noto come il consumo di carne varii tra gli individui, che la composizione degli acidi grassi nel grasso intramuscolare possa differire da quella nel sottocutaneo o degli altri depositi e che i metodi di lavorazione e di preparazione delle carni (ad esempio la quantità di grasso rimossa) possano influire sul contenuto di grasso totale e quindi sull’apporto di acidi grassi con la dieta.

Le stime circa l’introito totale giornaliero di acidi grassi sono state calcolate utilizzando i dati sul consumo medio attuale di carne nell’UE e negli Stati Uniti (circa 240 e 340 g/die a persona, con la sola carne rossa che raggiunge 180 e 270 g/die a persona) e devono pertanto essere interpretate con cautela; il consumo elevato di carne, in particolare di carne rossa, è ritenuto nocivo dal punto di vista nutrizionale in quanto correlato all’obesità, alle patologie cardiovascolari, al diabete di tipo 2 e a una serie di tumori. Le attuali raccomandazioni dietetiche vigenti negli Stati Uniti e nell’Unione europea infatti sono di ridurre il consumo di carne rossa a <70 g/die e, se ci si attenesse alle linee guida, l’assunzione totale di grassi e di acidi grassi omega-3 a lunga catena contenuti nelle carni risulterebbe minore.

Alla luce di queste considerazioni, piuttosto che aumentando il consumo di carne biologica, è bene che un corretto apporto di omega-3 e omega-6 sia raggiunto grazie a un’alimentazione varia e che contempli il consumo di tutti gli alimenti nel giusto equilibrio. Le agenzie per la salute nordamericane ed europee suggeriscono un regolare consumo di pesce, e in particolare di pesce grasso, per aumentare l’introito di EPA e DHA e ridurre il rischio di malattie cardiovascolari; tuttavia, l’adozione di queste raccomandazioni su larga scala è ritenuta insostenibile dal momento che la maggior parte delle riserve ittiche marine sono sfruttate oltre misura. Inoltre, vi sono preoccupazioni circa gli impatti ambientali della pesca e i livelli di mercurio/diossina nei pesci ricchi di omega-3 in alcune regioni del mondo; si ritiene pertanto essenziale lo sviluppo di strategie alternative per aumentare l’assunzione di EPA e DHA (ad esempio incrementandone le concentrazioni nella carne e con il consumo di alghe).

Micronutrienti

Rispetto al profilo lipidico delle carni, pochi dati erano disponibili per il confronto del contenuto medio di macro-/microelementi e metalli tossici (ad esempio arsenico, piombo e cadmio); differenze significative comunque sono state riscontrate per ferro (+19%), rame (–28%) e selenio (–8%) tra le carni biologiche e quelle convenzionali).

I sistemi di allevamento differiscono per una serie di pratiche agricole che possono influire sulla composizione minerale della carne, per esempio i regimi tradizionali spesso si avvalgono di un elevata integrazione minerale (il che potrebbe spiegare i valori inferiori di rame e selenio riscontrati nelle carni biologiche); le concentrazioni maggiori di ferro nella carne biologica sono motivate dalla possibilità di razzolamento degli animali nei campi o al maggiore apporto di foraggio nella razione alimentare (come raccomandato dal disciplinare dell’agricoltura biologica), poiché contenenti quantitativi superiori del minerale rispetto ai mangimi concentrati.

Il ruolo nutrizionale del ferro si esprime attraverso le funzioni svolte dalle proteine in cui esso è presente (emoglobina, ferritina, emosiderina, mioglobina e transferrina); se la tendenza di una maggiore concentrazione del minerale nella carne biologica dovesse essere confermata, ciò risulterebbe desiderabile in quanto il gruppo “Carne e derivati” rappresenta il 17% dell’assunzione giornaliera ed è noto per essere un’importante fonte alimentare di ferro-eme, più biodisponibile rispetto al ferro non-eme delle fonti vegetali.

Il rame è un minerale fondamentale per la respirazione cellulare, la termoregolazione, la difesa antiossidante, lo sviluppo del tessuto connettivo, delle ossa e del tessuto nervoso ma anche per l’attivazione di molti ormoni peptidici; qualora nel futuro vi fosse una conferma che la carne biologica avesse un contenuto inferiore del 25% del minerale sarebbe comunque improbabile che ciò avesse un impatto determinante salute dal momento che le sue assunzioni nell’Unione europea (pari a 1.0-2.3 mg/die per i maschi e 0.9-1.8 mg/die per le femmine) sono superiori a quelle di riferimento per la popolazione adulta (0.9 mg/die) e che la maggior parte dell’apporto di rame proviene da alimenti appartenenti ai gruppi “Cereali e derivati” (35%) e “Verdure e ortaggi” (25%), mentre il gruppo “Carne e derivati” ne ricopre una percentuale minore (12%).

L’essenzialità del selenio è legata alla sua presenza nel sito attivo di alcuni enzimi (iodotironina deiodinasi, glutatione perossidasi cellulare, gastrointestinale, extracellulare e la fosfolipide-glutatione-perossidasi). Le concentrazioni del minerale nelle carni riflettono le assunzioni degli animali e sono in gran parte determinate dalla presenza del minerale nel suolo come dalla sua somministrazione sotto forma di supplemento dietetico; le differenze geografiche inoltre influenzano le concentrazioni di selenio nel foraggio e nei mangimi concentrati, contribuendo in questo modo al divario osservato. Pur presentando le carni biologiche un minor contenuto di selenio rispetto a quelle convenzionali, non risulta verosimile che la preferenza delle prime rispetto alle seconde possa avere delle ripercussioni sulla salute dell’individuo dal momento che il consumo settimanale di 3 porzioni da 100 g di carne biologica coprirebbe il 13% dell’assunzione raccomandata per la popolazione di selenio (55 µg/die) e quello della controparte convenzionale il 14%.

Bibliografia

  1. INRAN. LINEE GUIDA PER UNA SANA ALIMENTAZIONE ITALIANA. Roma: Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (INRAN), 2003.
  2. Composition differences between organic and conventional meat: a systematic literature review and meta-analysis. Srednicka-Tober, D., et al. 2016, British Journal of Nutrition, p. 994-1011.
  3. SINU. LARN – Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia per la popolazione italiana. IV Revisione. Milano: SICS Editore Srl, 2018.

Nicolò Gallo Curcio (Roma), Laureato in Scienze delle Attività Motorie e Sportive e Magistrale in Scienze della Nutrizione Umana. Libero professionista. E-mail: n.gallocurcio@gmail.com

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