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di Samantha Angelelli e Annabella Vitalone

Il morbo di Alzheimer è una patologia neurodegenerativa multifattoriale, che in genere si manifesta in età geriatrica ed in cui si osserva una progressiva degenerazione del sistema limbico (deputato alle funzioni di memoria ed apprendimento). Secondo una stima del 2015, il numero di pazienti affetti da Alzheimer è di oltre 47 millioni di persone, numero destinato ad aumentare sempre fino ad una di circa 135 milioni nel 2050.

La sintomatologia, agli stadi iniziali della patologia, si manifesta con perdita di memoria a breve termine, mentre la memoria retrospettiva, all’inizio, rimane invariata. Nello stadio avanzato della patologia si perdono altre capacità, tra cui: l’abilità di effettuare calcoli, valutare gli stimoli oculo-motori (per esempio l’organizzazione dello spazio), il controllo dei movimenti e del linguaggio (afasia), il riconoscimento di luoghi, persone ed oggetti (agnosia). Nello stadio finale compare anche la perdita di attenzione e di vigilanza. Per quel che concerne le cause dal punto di vista scientifico, attualmente non esistono certezze, sebbene l’ipotesi della “cascata amiloidea” ed il deficit colinergico (acetilcolina particolarmente carente nella zona limbica del paziente affetto di Alzheimer) siano le più dibattute. Secondo l’ipotesi della “cascata amiloidea”, il peptide β amiloide, derivante per proteolisi operata dalle secretasi del precursore amyloid precursor protein (APP), viene sovraespresso e si deposita in fibrille formando le placche neuritiche. L’abnorme produzione di peptide β amiloide induce neurotossicità e sembra essere la causa della formazione di agglomerati neurofibrillari, dovuti all’iperfosforilazione della proteina τ che normalmente regola il trasporto assonale. Di recente è stata formulata “la teoria dell’eccitotossicità”, secondo la quale vi è il coinvolgimento del glutammato, le cui alte concentrazioni alterano l’equilibrio neuronale, influenzando la neurotrasmissione colinergica. L’acetilcolina è molto importante per la sopravvivenza e la plasticità neuronale nella zona limbica. Per questo, l’approccio farmacologico attuale riguarda l’utilizzo di inibitori dell’acetilcoliesterasi (AChE), enzima che catalizza la scissione di acetilcolina in colina e acetato, o della butirrilcolinesterasi (BChE), enzima non selettivo per la scissione dell’acetilcolina.
Nel tentativo di trovare un trattamento valido verso morbo di Alzheimer, molte ricerche si sono rivolte anche alla valutazione dell’attività di alcune piante medicinali, le più importanti delle quali sono: Gingko biloba, Salvia officinalis, Curcuma longa.
Gingko biloba (Fam. Ginkgoacaea) rappresenta la pianta medicinale più studiata nell’ Alzheimer dal punto di vista preclinico ed ampiamente valutata in studi di efficacia clinica. Il gingko è albero dioico originario della Cina, le cui foglie sono tradizionalmente impiegate per stimolare la funzione mnemonica (Figura 1).

ginko biloba foglia ventaglio
Figura 1
. Particolare di G. biloba L. Le foglie presentano la caratteristica forma bilobata a ventaglio [Barnes et al., 2007].

Già nel 2008, in studi di efficacia clinica è stata riscontrata l’importanza dell’estratto di G. biloba (Egb761) nella prevenzione della patologia ed alcuni studi del 2009 hanno evidenziato una marcata attività nel sistema limbico con un incremento della memoria, miglioramento dell’attenzione e decremento di eventi di amnesia nei pazienti affetti dal morbo di Alzheimer in stadio moderato, trattati per via orale per 6 settimane con 90 mg/kg di estratto Egb761. In studi successivi, la somministrazione di 240 mg di estratto di G. biloba, sono stati riportati risultati ancora più rilevanti, tra cui un miglioramento dell competenze funzionali tali da permettere lo svolgimento delle normali attività quotidiane. Nel 2016, anche se non ancora del tutto chiaro quale sia il meccanismo d’azione, si parla ancora di Egb761 nella cura del morbo di Alzheimer, in quanto sembra agire sulla neuroplasticità, modellando il sistema dopaminergico.

Un’altra potenziale strategia terapeutica potrebbe riguardare l’utilizzo di Salvia officinalis (Fam. Labiatae), pianta perenne con portamento cespuglioso, provvista di foglie dal profumo caratteristico fortemente speziato-aromatico e dal sapore amaro ed astringente (Figura 2). E’ proprio dalle parti aeree che si estrae l’olio essenziale con caratteristico odore di canfora [Barnes et al., 2007]. Salvia officinalis possiede non solo attività inibente la BChE, ma anche e soprattutto inibente l’AChE. In vitro  è emersa anche una potente attività antiossidante e neuroprotettiva, probabilmente ascrivile alla presenza di acido rosmarinico nell’estratto etanolico. Un altro marker farmacologico, attualmente studiato, è l’acido carnosico presente non solo nel fitocomplesso di Salvia officinalis, ma anche di Rosmarinus officinalis.

salvia officinalis foglia fiore
Figura 2
. Particolare delle foglie allungate e ispessite dalla peluria tomentosa e dei fiori che crescono in lunghezza di colore blu-violaceo di Salvia officinalis L.

Sebbene sia limitato alla preclinica, lo studio in vitro ha valutato l’effetto neuroprotettivo e la riduzione della perdita delle spine dendritiche sui neuroni di ratti esposti al peptide β amiloide, mentre lo studio condotto su topi affetti di Alzheimer trattati con acido carnosico (2 volte a settimana per 3 mesi) ha mostrato l’incremento dei marker dendritici, sinaptici e la riduzione del numero di placche dendritiche del peptide amiloide e dell’iperfosforilazione della proteina τ nell’ippocampo.
Una scoperta rilevante nel settore delle piante medicinali riguarda Curcuma longa L (Fam. Zingiberaceae). Questa è una pianta erbacea originaria dell’Asia meridionale (India, Malesia e Pakistan). La parte più importante è il rizoma, di solito, solitario, eretto, di forma ovale o piriforme, di lunghezza 5-8 cm e larghezza di 4-5 cm. I rizomi secondari sono cilindrici e di lunghezza 5-10 cm e larghezza 2-3 cm. All’interno i rizomi hanno un colore tra il giallo intenso e l’arancio, sono aromatici e posseggono odore e sapore caratteristici. Dai rizomi si dipartono numerose radici, spesso tuberizzate all’apice (Figura 3).

curcuma fiore pianta
Figura 3
. Dettagli di Curcuma longa L: foglie, infiorescenza e rizoma [Hatcher et al., 2008].

L’interesse del mondo scientifico è rivolto allo studio sia in toto, sia delle sostanze isolate, contenute in questa pianta. La curcuma era tradizionalmente impiegata come rimedio per le infezioni e le infiammazioni soprattutto gengivali ed ossee (reumatismi), indigestioni, ulcere, dispepsia, calcoli biliari, reflusso gastro-esofageo e flatulenza. I marker farmacologici di C. longa più studiati sono i curcuminoidi: bisdemetossicurcumina, demetossicurcumina e curcumina (Figura 4).

curcuma molecola attiva curcuminoidi
Figura 4
. Formule di struttura relative ai curcuminoidi, marker farmacologici di C. longa A) bisdemetossicurcumina, B) demetossicurcumina,C) curcumina [Ahmed e Gilani, 2009].

Nell’ambito del morbo di Alzheimer, gli studi presenti in letteratura riguardano l’attività inibente l’acetilcolinesterasi, con andamento dose-dipendente ascrivibile al curcuminoide bisdemetossicurcumina. A differenza di Salvia officinalis, la curcuma (ed i curcuminoidi in particolare) non hanno attività inibente la BChE. Di notevole importanza sono gli studi preclinici che mostrano come la curcumina impedisca non solo la deposizione del peptide β1-42, ma anche la formazione delle fibrille, fungendo da disaggregante. Lo studio ha permesso di osservare che il residuo 12,17 e 21 del peptide β amiloide interagisce con i carboni adiacenti al gruppo metossi e/o gruppo idrossile della curcumina. La curcumina è in grado di deformare la struttura secondaria degli oligomeri attraverso le interazioni idrofobiche e di preservare il legame tra i monomeri del peptide. Studi in vitro evidenziano inoltre che la curcumina protegge le cellule dalla citotossicità indotta dallo stesso peptide, diminuendo la concentrazione di calcio intracellulare. Ulteriore evidenza a supporto dell’attività di C. longa riguarda l’inibizione (dose e tempo dipendente) della formazione del peptide β amiloide, dovuta all’inibizione della proteina GSK-3β, da cui consegue la fosforilazione della presenilina-1 e l’inattivazione della γ-secretasi. Mentre, la bisdemetossicurcumina agisce come promotore della degradazione del peptide β amiloide, attraverso la stimolazione dei monociti. Infine, in roditori, la curcumina (200 mg/kg) protegge l’ippocampo dalla tossicità del peptide β amiloide e preserva e l’apprendimento e la formazione della memoria a lungo termine. Nonostante le numerose evidenze precliniche, gli studi d’efficacia clinica di C. longa nell’ambito della patologia di Alzheimer sono ben poco documentati, pertanto è prematuro definirne il profilo neuroprotettivo.

In conclusione, le evidenze scientifiche riportate necessitano di essere approfondite, ma l’impiego di fitocomplessi e/o di marker farmacologici da essi derivati suggerisce un ampio ventaglio di targets nella ricerca di una possibile strategia terapeutica del morbo di Alzheimer.

Sunto ed aggiornamento dell’elaborato di tesi in Farmacognosia del Corso di Laurea in Farmacia, Sapienza Università di Roma.

Relatore: Dott.ssa Annabella Vitalone – Dipartimento di Fisiologia e Farmacologia “Vittorio Erspamer”, Sapienza Università di Roma.

Studente: Dott.ssa Samantha Angelelli, laureata in Farmacia, presso Sapienza Università di Roma. E-mail: samantha.angelelli@gmail.com

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