Condividi l'articolo
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  

di Gennaro Pisciotta

famiglia contadina agro aversano
Fig. 1 –  Famiglia dell’Agro Aversano del secolo scorso durante la vendemmia

La vite maritata nel passato ha fortemente caratterizzato il paesaggio tradizionale rurale d’influenza colturale magnogreca e connotato storicamente dal latifondo e dalle colture estensive, la vite maritata ha avuto diffusione in alcune zone della Campania:

  • Pianura campana;
  • Isola di Ischia.

Definizione e descrizione della vite maritata

La vite maritata è un’antica tecnica colturale che prevede l’utilizzo di alberi vivi come tutori delle piante di vite. L’espressione “vite maritata” indica dunque il legame tra la pianta lianosa della vite ed il tronco legnoso dell’albero a cui la vite legata; di conseguenza per identificare l’immagine di una vite maritata è necessario che vi sia un albero tutore è una vite arrampicata.

La vite maritata non esiste come vigneto specializzato in quanto i filari di viti maritate costituiscono i confini dell’appezzamento, dove vengono coltivati cereali, legumi, piante tessili (fino agli anni settanta la canapa) o foraggere. I filari quindi si trovano lungo argini, canali e confini di appezzamenti coltivati o pascolativi.

Sistema casertano o aversano – Il tutore tipico di questo sistema di allevamento è il pioppo, che viene piantato in filari a distanze variabili da zona a zona. La densità ad ettaro risulta nell’Aversano di circa 50 piante, con distanze di circa 15 metri (sesto di impianto).  Le viti affidate a questi tutori assumono proporzioni notevoli dando nel periodo del loro pieno sviluppo un aspetto veramente lussureggiante a tutto l’agro aversano.

sistema aversano casertano
Fig. 2 – Antica iconografia del sistema aversano o casertano

alberata aversana
Fig. 3 – Alberata Aversana con aspetto lussureggiante

Approfondimento

Bisogna precisare che la dizione “alberata aversana” non è corretta in quanto si indica con il termine “alberata” il sistema di vite maritata ad alberi isolati con la vite sostenuta da un singolo albero tutore e “piantata” il sistema a filari con i tralci che passano da un albero all’altro.

Il tutore si lascia sviluppare su 2-4 branche fino ad altezze di 10-15 metri e le viti ad esso affidate in numero di 4-5 spingono i tralci a 5-8 metri dal suolo ramificandosi in vario modo e ricoprendo il tutore con tralci e foglie (Fig. 3).
La potatura di queste viti diventa un compito assai arduo e viene compiuta ogni due seguendo un criterio di alternanza che si è dimostrato molto pratico. Nell’anno della cosiddetta pota in chiaro si asportano tutti i capi che hanno già fruttificato e che generalmente sono quelli pendenti; nell’anno della ripota si esegue una specie di ripulitura con una spuntatura dei tralci dell’annata.
L’alberata aversana fornisce un elemento tipico legato alla potatura e alla vendemmia in quanto entrambe le operazioni colturali devono essere su scale molto alte: il vignaiolo ha la sua scala personale di legno lunga una quindicina di metri, i pioli hanno un incavo nella parte centrale in cui il vignaiolo incastra il ginocchio dopo aver appoggiato il piede sul piolo sottostante, assicurando una salda presa alla scala che viene a sua volta assicurata alla spalliera alta dell’alberata, mentre le mani rimangono per lavorare sui tralci. Per la raccolta dei grappoli vengono usate le fescine, cestini conici, che una volta pieni vengono calati la scala.


Fig. 4 – Alberata Aversana
Fig. 5 – Vendemmia dei vignaioli dell’Asprinio da Alberata Casertana con le tipiche scale

Breve storia della vite maritata nell’ Agro Aversano

La vite maritata in Agro di Aversa fu introdotta dagli Etruschi, che avevano scambi commerciali con le popolazioni campane fin dall’inizio del I° millennio a.C., attraverso questi contatti la tecnica vitivinicola etrusca arrivò in Campania e si diffuse nell’agro aversano. La Campania ebbe ancora un ruolo di primo piano nella commercializzazione dei vini nell’area mediterranea all’inizio dell’età moderna (1492 con la scoperta dell’America da parte di C. Colombo), quando si contavano una ventina circa di vini campani tra cui l’Asprinio; prodotto dell’agro aversano tipicamente ricavato da viti maritate.

E’ ricordato anche dai grandi viaggiatori europei alla fine del ‘700, nel mese di febbraio 1787 Goethe scriveva nel suo diario di viaggio “….. Giungemmo infine nella piana di Capua ….. un suolo deliziosamente soffice e ben lavorato, viti d’eccezionale altezza e robustezza con tralci fluttuanti di pioppo in pioppo a mo’ di reti”.
In epoca borbonica il paesaggio agrario della pianura intorno a Caserta, Aversa, Capua era fortemente caratterizzato dalla coltura di viti maritate a pioppi e olmi, varie fonti documentano questo paesaggio. Ad esempio nella Masseria Ferrara, di proprietà dei Borbone, sono documentati 121 moggia (= 4.259 m 2) di terreni coltivati con fruttiferi, ma soprattutto viti 3212 e 1444 tutori alle stesse, olmi e pioppi.

Asprinio d’Aversa

L’Asprinio è un vitigno che ha un’elevata quantità di acido malico rispetto agli altri vitigni per la particolare forma di allevamento, ma ha avuto una rivalutazione è nel 1993 è stato riconosciuto tra i vini DOC della Regione Campania con D.M. 31-07-1993 con successive modificazioni ed integrazioni fino al 2014. Le caratteristiche principali sono:

Anno Nome Tipologia Uvaggio
1993 Aversa o Asprinio di Aversa Anche Spumante Bianco: Asprinio (mim.85% possono concorrere altre uve a bacca, non aromatiche, per il 15%)

Spumante: Asprinio al 100%

vini docg campania

VINI DOCG e DOC della Regione Campania

Caratteristiche al consumo (art. 6 disciplinare)

Aversa Asprinio

  • Colore: giallo paglierino più o meno carico
  • Profumo: intenso, fruttato, caratteristico
  • Sapore: secco, fresco, caratteristico
  • Titolo alcolometri svolto totale minimo:10,50% vol.
  • Acidità minima totale: 6 g/l
  • Estratto non riduttore minimo: 15,0 g/l

Aversa Asprinio Spumante

  • Spuma: fine e persistente
  • Colore: giallo paglierino più o meno intenso
  • Profumo: fine, fragrante, caratteristico
  • Sapore: secco, fresco, caratteristico
  • Titolo alcolometri svolto totale minimo:11,00 % vol.
  • Acidità minima totale: 7 g/l
  • Estratto non riduttore minimo: 15,0 g/l

Gennaro Pisciotta, laureato in Scienze e Tecnologie agrarie all’Università G. Marconi – Facoltà di Scienze e Tecnologie Applicate di Roma, è Agrotecnico ed Enologo libero professionista e docente presso l’ISIS “Falcone” di Pozzuoli (Napoli). Curriculum vitae >>>

image_pdfimage_print

Condividi l'articolo
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •