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di Paolo Degli Antoni

La pubblicazione in formato webgis della Carta Forestale del Regno d’Italia (nota 1), edita nel 1936, rende possibile estendere gli studi vegetazionali e paesaggistici indietro nel tempo fino almeno al 1933, anno in cui prevalentemente furono eseguiti i rilievi.
Una prima analisi dei dati su scala nazionale, comparata con rilievi più recenti, ha consentito di ricostruire l’evoluzione della copertura forestale complessiva, che risulta essersi accresciuta, soprattutto come querceti di bassa collina, e compattata.
I risultati statistici estraibili da questo tipo di documenti sono molto sensibili alla scala, rivelando situazioni assai varie, alcune anche anticicliche rispetto alle tendenze generali; per la corretta analisi e pianificazione del paesaggio, si deve far riferimento alla scala locale, proprio per evidenziare e tutelare le differenze identitarie che distinguono ogni singolo paesaggio.

L’istituto norvegese Skog og Landskap ha messo a punto un sistema GIS ad alta risoluzione (nota 2) finalizzato a misurare l’espansione della foresta a seguito dei mutamenti occorsi recentemente nel settore agricolo e per effetto del cambiamento climatico, riuscendo a distinguere spazialmente e temporalmente i due fenomeni.
A scala nazionale, la Superficie Agricola Utilizzata (SAU) pare non aver troppo subito gli effetti della drastica riduzione del numero delle aziende agricole occorsa negli ultimi decenni, aziende che hanno perso la tradizionale piccola dimensione familiare del passato in favore di una produzione mercantile intensamente meccanizzata. Ma il fenomeno non è distribuito uniformemente, già dalla disaggregazione a livello comunale si notano forti distinzioni, che hanno indotto ad eseguire approfondimenti a scala di paesaggio e a scala aziendale. Dagli approfondimenti emergono dati altrimenti inattesi, per esempio si rileva che della perdita di SAU nelle regioni meridionali è maggiormente responsabile l’espansione della foresta rispetto all’urbanizzazione e alle nuove e impattanti infrastrutture, che invece certamente colpiscono di più dal punto di vista percettivo. In controtendenza col resto dell’accidentato Vestlandet, nel Rogaland si registra un aumento della SAU; nelle regioni più settentrionali appaiono distinte tendenze tra le aziende costiere, in regresso, e quelle dell’entroterra, in espansione. Per tutto questo, si parla di terreno agricolo in movimento (nota 3).
Negli ultimi decenni si osserva anche una specializzazione colturale che enfatizza le diverse vocazionalità dei terreni (es. frutticoltura nei fiordi occidentali, orticoltura lungo le soleggiate coste sud-orientali); la designazione d’origine internazionalmente apprezzata di alcuni prodotti, unitamente alla loro peculiare stagionalità (es. ciliegie dello Hardanger in agosto) e la fine del proibizionismo di Stato (si possono oggi produrre vino e sidro artigianali e somministrarli in azienda) hanno favorito il presente ordinamento colturale specializzato.

Fenomeni analoghi si registrano in zone diverse della Toscana da oltre sessanta anni. Ancora nel secondo dopoguerra furono messi a coltura olivicola terrazzata nuovi terreni sui Monti Pisani e sul Montalbano, conferendo a questi rilievi il caratteristico aspetto a fasce, con una cintura basale di colture legnose (olivo in prevalenza) e con sommità boscata.
Lo studio condotto nel Chianti senese e sui rilievi litoranei livornesi (nota 4) può essere esteso temporalmente nel tempo sino al 1933 utilizzando la Carta Forestale del Regno d’Italia.

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Considerando la diversa scala di rilievo, le 50+40 aree di saggio vanno ricompattate in 21+10 unità colturali omogenee, nessuna delle quali, fortunatamente, ricade nello spessore delle linee perimetrali della carta forestale, consentendo l’attribuzione delle stesse unità a un tipo di bosco o escludendone la natura boschiva. Grazie al webgis regionale toscano (nota 5), completo di elaborazioni basate sui catasti preunitari, si è in grado di ricostruire l’ordinamento colturale proprio dell’età mezzadrile nei terreni non boscati.
La comparazione degli usi del suolo evidenzia come la minima superficie boschiva si sia registrata intorno al 1954 nel Chianti, area di antica tradizione mezzadrile, e nel 1965-1978 sul litorale livornese, in parte diboscato solo pochi anni prima. La natura dei boschi nel 1933 risulta piuttosto omogenea: cedui quercini composti e boschi degradati (da decenni di utilizzazioni intense a turno breve e dal pascolo) nel Chianti, boschi misti di latifoglie e pineta sul litorale livornese. I rimboschimenti di conifere e l’arboricoltura da legno nel Chianti sono fenomeni più recenti.

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Radda in Chianti

Si può calcolare la naturalità dell’insieme delle unità colturali, distintamente nel tempo, attribuendo valore 0 alle aree urbane o infrastrutturate, 1 ai seminativi, 3 alle colture arboree promiscue o specializzate (compresa l’arboricoltura da legno), 5 ai pascoli cespugliati, 6 agli arbusteti postcolturali, 9 ai boschi di latifoglie o misti.
La naturalità delle unità colturali nel Chianti risulta scesa dal valore 4,4 del 1933 a 3,3 nel 1954 a 3,2 nel 1978,  per poi salire progressivamente fino a 4,7 nel 2013. Sul litorale livornese l’elevato valore (5) del 1933, dovuto alla prevalenza generalizzata del bosco,  scende a 2,4 nel 1954, 2,1 nel 1978 (massima espansione dei seminativi semplici), non riesce a risalire del tutto, -arrestandosi a 4,5 nel 2013- per effetto della diffusa rimessa a coltura amatoriale dei terreni.
Al recupero della superficie boscata avvenuto negli ultimi decenni non corrisponde dunque un equivalente recupero della naturalità dei luoghi. Per effetto dell’art. 80bis del regolamento forestale della Toscana, piccole superfici, evolutesi in bosco di latifoglie o in aree boschive in evoluzione, come da cartografia dell’uso del suolo 2013 del Piano Paesaggistico, che erano coltivate nell’anno di riferimento 1954, sono state rimesse a coltura, principalmente a oliveto, per ora in quantità non ancora sufficienti a incidere sull’indice di naturalità, suscettibile tuttavia di riduzione in caso di estesa attuazione delle opportunità offerte dalla nuova formulazione regolamentare.
Il legislatore regionale ha evidentemente deciso che il miglior possibile paesaggio toscano sia quello coi minimi indici di boscosità e di naturalità registrati nella sua storia.

Un indicatore del pregio naturalistico del territorio è la presenza di aree protette.
Nessuna delle unità colturali esaminate nel Chianti senese rientra in una di queste; il Sito d’Interesse Comunitario Monti del Chianti le sfiora appena, peraltro con un unico habitat d’interesse, proprio dei terreni agricoli abbandonati, 6210: praterie su substrato neutro-basofilo (FestucoBrometea).
Gli estesi boschi, governati per secoli a ceduo composto, con turni brevi nel primo secolo seguente l’Unità d’Italia, hanno perduto le specie forestali più mesofile e quelle riparie, come la rovere e la farnia, presenti nel Chianti ormai in via meramente testimoniale con esemplari anche monumentali.
Alcune unità colturali prese in considerazione sui rilievi costieri livornesi ricadono nell’Area naturale protetta d’Interesse Locale “Parco del Chioma”; il Repertorio Naturalistico Toscano (nota 6) individua in questa zona lo habitat “Garighe a Euphorbia spinosa su substrato serpentinoso”, riconducibile alla fitocenosi Armerio denticulatae-Alyssetum bertolonii euphorbietosum spinosae. Altre unità colturali sono poco distanti dai Siti d’Interesse Regionale Calafuria e Monte Pelato, una comprende un ginepreto delle coste rocciose individuato dal ReNaTo come Juniperion lyciae (Pistacio-Juniperetum macrocarpae anthyllidetosum). Il pino d’Aleppo, che ha qui l’unico popolamento spontaneo in Toscana, riconquista attivamente i terreni agricoli abbandonati; similmente fa la sughera a maggiore distanza dal mare.

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Monti livornesi

Il pregio naturalistico era ed è significativamente maggiore lungo la costa, dove peraltro la ricolonizzazione forestale è più veloce, mentre nella collina interna le perdite conseguenti a un secolo e mezzo di supersfruttamento paiono irreversibili.

Note:

  1. Ferretti F., Sboarina C., Trattoni C., Vitti A., Zatelli P., Geri P., Pompei E., Ciolli M. (2016) The 1936 Italian Kingdom Forest Map reviewed: a dataset for landscape and ecological research. In print
  2. Bryn, A., Dourojeanni, P., Hemsing, L.Ø. & O’Donnell, S. (2013) A high-resolution GIS null model of potential forest expansion following land use changes in Norway. Scandinavian Journal of Forest Research 28: 81-98.
  3. Strand, G.-H. 2009. Jordbruksareal på flyttefot (Kronikk). Nationen 29. januar nr. 25: 25.
  4. Degli Antoni P., Angiolini S. Cambiamenti nel paesaggio rurale toscano dal 1954 al 2014. Rinaturalizzazione e utilizzo dei terreni agricoli abbandonati (2015) Pagnini Firenze.
  5. Castore, castasti storici regionali http://web.rete.toscana.it/castoreapp/
  6. Castelli C., Sposimo P. (a cura di) La biodiversità in Toscana: specie e habitat in pericolo: archivio del Repertorio naturalistico toscano RE.NA.TO. (2005) Regione Toscana – Il Bandino Firenze

Paolo Degli Antoni: Laurea in Scienze Forestali, conseguita presso la facoltà di Agraria dell’Università di Firenze. Abilitazione all’esercizio della professione di Agronomo-Forestale. Già funzionario C.F.S. e collaboratore della Regione Toscana, è socio corrispondente dell’Accademia Italiana di Scienze Forestali, scrive contributi scientifici di ecologia del paesaggio, biodiversità, storia, arte e antropologia del bosco. Suo oggetto privilegiato di ricerca è la rinaturalizzazione spontanea dei terreni abbandonati, in campagna e in città.

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