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di Giovanni Canu

bufale inverno latte mozzarellaBufale dell’Az. Ferro Antonio loc.Spinazzo (Sa)

Abbiamo spesso parlato di come i nostri amici ruminanti reagiscono all’aumento delle temperature durante il periodo estivo, e, all’interno dello stesso periodo caldo, di come questi splendidi animali soffrano in quelle giornate maggiormente torride.
Abbiamo visto come le bufale sappiano adattarsi meglio al clima caldo delle estati del sud Italia, mai troppo umide per la verità, a differenza delle bovine, frisone, brune e pezzate rosse in particolare.
Abbiamo potuto constatare, dati alla mano, che le bufale grazie a particolari strutture anatomico-funzionali, sono in grado di reagire al clima caldo con maggiore efficacia, aumentando la temperatura rettale, i battiti cardiaci e gli atti respiratori in maniera considerevolmente minore rispetto alle vacche.
Ma cosa succede quando ad arrivare non è una ondata di caldo ma una morsa di gelo come quella presentatasi nel sud Italia nel mese di gennaio? Cosa deve osservare l’allevatore per cercare di ottimizzare gli interventi in stalla, cosa può e deve fare dal punto di vista gestionale e alimentare per mettere al riparo la mandria da scompensi troppo gravi, come deve interpretare il clima al fine da ricalcolare al meglio, inevitabilmente, tutti i fabbisogni dei nostri animali.
In Campania, era da almeno una quarantina di anni che non si assisteva al protrarsi di temperature così basse per cosi tanto tempo. In questo mese di gennaio, in alcune zone a forte vocazione di allevamenti bufalini, le temperature notturne sono scese anche di 3-4 gradi sottozero e durante le ore diurne si sono superati raramente i 2 gradi centigradi.
A fare il paio con questa situazione di freddo dell’aria si sono aggiunte le nevicate e un forte vento di tramontana che ha sferzato la Piana del Sele ed il Casertano…

Condizioni climatiche di per sé difficili, almeno per quanto riguarda la logistica e la gestione delle infrastrutture. Ricordiamo che non tutta la popolazione meridionale di bufale è ubicata nelle due pianure di Caserta e Salerno. Ricordiamo gli allevamenti presenti nelle zone più a nord della provincia di Caserta, verso Isernia e quelli ubicati ai piedi del complesso montuoso del Matese… a Salerno, poi, molti allevamenti si estendono fin a 600 metri di quota nelle colline dell’immediato entroterra che poco beneficiano dell’influsso del mare dal punto di vista climatico e della facile gestione della viabilità tipica della zona pianeggiante.
In queste zone, la già precaria e poco modernizzata rete idrica e stradale, già di per sé messa a dura prova da inverni normali, è andata al collasso per via delle nevicate. Tubature saltate per il ghiaccio, strade impraticabili per la neve ed un manto stradale che, quando pulito, presenta una pavimentazione difficile da percorrere per i mezzi più pesanti che trasportano mangimi o foraggi.

Allevamenti rimasti senza approvvigionamenti alimentari o senza elettricità ed acqua, hanno dovuto far fronte ad innumerevoli problemi di natura logistica che hanno rischiato di mettere seriamente a rischio la produttività aziendale.
Dal punto di vista sanitario, la bufala, conformata dal punto di vista fisico per far fronte agli insulti di un clima tipicamente caldo, tipico della Campania e del basso Lazio o semi arido come nella parte bassa della Basilicata, ha visto peggiorare rapidamente la sua condizione fisica. Come sappiamo, la termoregolazione negli organismi omeotermi ha la specifica funzione di mantenere entro limiti ritenuti ottimali, la temperatura corporea affinché le reazioni biochimiche avvengano correttamente. Ovviamente, se la temperatura corporea sale o scende al di sotto o al di sopra di certi valori, le reazioni biochimiche dapprima rallentano fino, in casi estremi, a fermarsi del tutto determinando la morte del soggetto. Ogni animale ha un cosiddetto “punto critico inferiore” che indica il metabolismo più basso in corrispondenza di una determinata temperatura ambientale.
Qualora la temperatura ambientale dovesse scendere ulteriormente si ha, per risposta difensiva, un aumento del metabolismo necessario per difendersi dal freddo. All’opposto si parla di “punto critico superiore” in caso di caldo eccessivo.
In definitiva chiamiamo “zona di neutralità termica” l’intervallo di temperatura tra i due punti critici inferiore e superiore in cui il metabolismo ha un valore minimo costante.

Partiamo, con ordine, ad analizzare la struttura fisica di questo animale e come esso riesca a far fronte alle varie situazioni climatiche.
La prima cosa che salta all’occhio è la totale pigmentazione della cute che d’estate serve a proteggere la pelle dal battere del sole. La pelle untuosa oltre che per proteggere dai parassiti, è fatta per dissipare rapidamente la calura e questo fa sì che l’animale al freddo perda calore in modo troppo rapido.
L’ampia superficie corporea data dalla larghezza dei processi trasversi, la quasi totale assenza di pelo e la totale assenza di sottopelo, unita alle larghe narici alla lunghezza delle orecchie e della coda, fa sì che gli utili “arnesi” per dissipare calore al meglio si rivelino un fallimento nel trattenerlo. Soprattutto le mobilissime orecchie lunghe hanno a che fare con la rapida dissipazione del calore vista l’imponente vascolarizzazione e l’ampia superficie di cui sono caratterizzate. Anche il piede, largo e profondamente vascolarizzato, cede calore quanto prima a contatto con acque gelide o neve.

podoloche podolica vacche pascolo
Podoliche al pascolo

Facendo un raffronto con una razza bovina specializzata nel far fronte a queste difficili condizioni climatiche e presente in zona da secoli, la Podolica, è facile capire come quest’ultima abbia sviluppato caratteristiche diametralmente opposte che ne fanno un animale perfettamente a suo agio con le rigidissime temperature invernali degli altopiani lucani, campani e calabresi spesso innevati e con temperature talvolta polari.
Pelle chiara e più spessa, un mantello adeguato che in inverno diventa opaco e foltissimo, zoccoli stretti e dalla consistenza estremamente compatta, orecchie piccole e foltamente impellicciate anche all’interno, narici strette, ne fanno una perfetta macchina per affrontare l’inverno.
Altra peculiarità anatomico-funzionale di questa splendida razza è la capacità di aumentare lo sviluppo del tessuto connettivo sottocutaneo che si accompagna ad un concomitante sviluppo di una plica cutanea che si estende dalla base del collo fino al petto (giogaia) la quale contribuisce a trattenere al caldo la zona del petto e del complesso cuore-polmoni.

toro podolico vacca razza
Toro podolico Lucano

Addirittura si ha l’eccezionale sviluppo di una fitta rete di capillari periferici e delle cosiddette “venae comites”.
Manunta (1981) riferisce testualmente che “sul dorso e sui fianchi dei bovini vi sono numerose venae comites (accoppiate in modo particolarmente ravvicinato) che rappresentano la base anatomica perché si possa avere uno scambio di calore contro corrente. Il sangue arterioso viene raffreddato dal sangue venoso proveniente dalla cute (con temperatura inferiore) e, pertanto, il sangue arterioso stesso che arriva alla cute avrà temperatura inferiore. La cute stessa non si riscalda e così si evita una dispersione di calore con notevole tesaurizzazione del calore stesso”.

Ci sono poi anche adattamenti di natura metabolica e biochimica come la presenza di un metabolismo lento che consente di utilizzare al meglio gli alimenti e la caratteristica di avere la temperatura rettale di mezzo grado più bassa rispetto agli altri tipi genetici (Cianci, 1986) con seguente migliore utilizzo del calore metabolico.
Al contrario della bufala e delle altre razze bovine locali e non, durante la stagione di massima disponibilità alimentare, la Podolica riesce ad accumulare un’elevata quantità di grasso ma ancor di più di grasso bruno che esprime un valore energetico enormemente superiore al grasso normale (Montemurro et al., 1986).

Chi più chi meno, quindi, tutti i ruminanti attuano dei meccanismi di difesa dal freddo. In caso di freddo leggero, si inizia con la semplice vasocostrizione periferica e l’aumento del calore prodotto con il pascolamento. Con freddo più intenso (al di sotto del punto critico inferiore metabolico) la vasocostrizione diventa via via più intensa e diffusa e i muscoli che fanno drizzare il pelo si attivano per intrappolare aria ferma in una sorta di cuscinetto.
Quando le temperature si aggirano od oltrepassano un punto critico per i bovini (0 gradi o al di sotto), l’animale attiva dei processi di natura neuro endocrina al fine di compensare la dispersione di calore oramai imponente, accelerando di conseguenza i processi ossidativi metabolici… con consumo di riserve corporee.
Ovviamente, nel caso della Podolica, vediamo la massima espressione di questi fenomeni adattativi. Nel caso della bufala, oltre ad avere una struttura anatomica adatta alla dispersione di calore, anche i processi metabolici sono indirizzati ed ottimizzati in quel senso. Quando, infatti, nei mesi caldi le temperature iniziano a salire oltre i 26-28 gradi, le bufale attuano con enorme efficacia meccanismi di prima difesa come una iniziale vasodilatazione superficiale ed il rado pelo tende a spalmarsi sulla cute favorendo l’evaporazione del calore. Man mano che la temperatura sale la bufala tende a diminuire l’attività endocrina, a ridurre i movimenti e l’ingestione di sostanza secca. Anche le urine e le feci si concentrano al fine da trattenere al massimo l’acqua corporea.Soprattutto possiamo dedurre che il difendersi dal caldo implica un consumo energetico minore rispetto alla difesa dalle basse temperature.
Basse temperature che si presentano spesso in modo improvviso causando problemi di difficile soluzione.
Nel caso dell’allevamento bufalino, poi, dobbiamo rigorosamente evidenziare quanto l’allevamento intensivo penalizzi la naturale capacità di difendersi dal freddo dei vari soggetti.
In natura, come nel caso della podolica, i soggetti tendono a trovare riparo dai venti freddi nel sottobosco o dietro filari di alberi.
Nell’allevamento intensivo la possibilità di trovare postazioni confortevoli e riparate è confinato alla struttura e ubicazione della stalla. I pavimenti in cemento, restando umidi o addirittura bagnati, completano un quadro sempre difficile.
La bufala prova, comunque, a reagire, ed è proprio la prima azione di contrasto a determinare la comparsa dei fenomeni iniziali di perdita economica.

Nello specifico la bufala inizia a tremare con forte intensità per produrre calore, tralasciando totalmente la fase di ingestione della foraggiata. Meno alimento ingerito si traduce in un sostentamento fisico basato in maggior misura su riserve corporee che, sappiamo, sono quasi mai cospicue, visto che i nostri animali sono sempre sottoposti a cicli di produzione lattea dispendiosi già di per sé in regime di neutralità termica.
Subentrano, non di rado, problemi di ulcerazione agli unghioni, dermatiti e ragadi dei capezzoli la cui pelle viene irrimediabilmente irritata dall’acqua fredda.
Un buon bagno podalico con prodotti disinfettanti e ristrutturanti (a base di zinco, rame e zolfo) può aiutare in questa fase, così come l’utilizzo in post mungitura di prodotti post dipping filmanti, che evitano il contatto diretto del capezzolo con il freddo ambiente esterno.

Ricordiamo che la vasocostrizione periferica, repentina, può interessare anche animali che mettono il muso nell’acqua troppo fredda. Il contatto del musello con l’acqua gelida può determinare un flusso veloce di sangue dalla mammella verso il centro del corpo. Cosi facendo l’animale lascia la mammella con una quota di sangue che può non garantire copertura immunitaria adeguata, da qui la comparsa di mastiti anche gravi.
Ricordiamo che la somministrazione di erbe o foraggi troppo bagnati o gelati possono causare ischemia della parete del rumine, bloccare la ruminazione ad un punto tale da far comparire fenomeni meteorici (meteorismo acuto gassoso primitivo) che fanno   sempre perdere produzione ma che in casi non trattati, condurre anche alla morte del soggetto.

Per quanto riguarda le bufale in asciutta la situazione si può fare anche più grave. Animali che tremano e non mangiano possono avere un rumine talmente vuoto ed atonico da far insorgere la possibilità che l’utero abbia torsioni gravi… infezioni, ritenzioni placentari e talvolta prolassi hanno un’incidenza molto maggiore in questi periodi.
Cosa può essere fatto per limitare i danni?
Per prima cosa le razioni alimentari vanno adeguate alle mutate esigenze climatiche. Un mezzo chilo, se non un chilo in più di mangimi per gli animali in asciutta dovrebbero essere garantiti.
Per gli animali in lattazione può essere aumentata la quota di insilati di due o tre chili se necessario.
Con questi alimenti già ammorbiditi di per sé dalla loro quota di umido, digeribili per via di sfalci in tenera età, si ottiene il doppio effetto di favorirne l’ingestione e di somministrare alimenti fibrosi ma con ottimo tenore energetico. Per far sì che i capi mangino al meglio si deve prestare notevole attenzione alla meccanica di preparazione della razione.
Il carro unifeed va preparato con cura, in modo da far amalgamare i foraggi al meglio. Questo perché il vento che batte sulla corsia di alimentazione tende ad asciugare la parte fibrosa della razione e ad asportare con le raffiche di vento improvvise anche il 10-15% della razione dove i capi non possono più raggiungerla. Nella migliore delle ipotesi le razioni in questo periodo sono fortemente demiscelate, ed anche i tenori di grasso e proteine del latte possono subire alterazioni sensibili.

Ovviamente ogni azienda ha una sua strutturazione … quelle dotate di cancelli o portoni devono avere un monitoraggio costante per far si che i livelli di ammoniaca o idrogeno solforato non raggiungano picchi tali da infiammare le prime vie respiratorie favorendo l’insorgenza di patologie. Alcune aziende, poi, sono già disposte con i muri verso nord in modo da schermare i venti freddi mentre quelle che sono meno dotate di strutture in muratura possono ovviare al problema costruendo delle barriere temporanee con gli stessi balloni di fieno o paglia.
Ricordiamo i vecchi e sempre validi studi agronomici in cui si calcolava in 15 volte circa la lunghezza di una superficie protetta da un frangivento rispetto all’altezza dello stesso. Quindi un muro di balloni alto 3 metri creerà una superficie di circa 40/45 metri in cui il vento incidente non ha effetto marcato.
L’allevatore deve necessariamente porre attenzione anche alle vitellaie, dove gli animali sono sempre più soggetti agli sbalzi termici per via di un sistema immunitario in via di formazione, per un rumine del tutto inattivo o alle prime fasi di sviluppo ed in generale per la difficile fase in cui si trovano fisiologicamente i piccoli soggetti lattanti…
Nelle gabbiette di allattamento andrebbe sempre tenuta della paglia sulla pavimentazione ed anche delle lampade riscaldanti potrebbero aiutare. La temperatura del latte deve aggirarsi sui 38 -40 gradi alla somministrazione e non appena preparato il pasto… dopo pochi minuti la temperatura nel secchio scende di parecchi gradi peggiorando la successiva fase digestiva.

In definitiva, sebbene gli eventi gelidi siano di breve durata, è sempre bene che l’allevatore sappia cosa osservare in azienda e come intervenire prontamente per far si che questa razza, specializzata nella gestione delle alte temperature, possa reagire al meglio o con minor danno possibile anche al freddo intenso seppur occasionale.

bufale bufala pascolo soleBufale al sole invernale

Giovanni Canu, laureato in Scienze della Produzione Animale presso Università degli studi “Federico II” di Napoli, è iscritto all’albo dei Dottori Agronomi e Forestali della Provincia di Salerno. Dal 2004 è consulente in nutrizione animale per allevamenti intensivi sia in Italia che all’estero.  Curriculum vitae >>>

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