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di Chiara Alciati

Questa tesi racconta l’affascinante recupero di una memoria contadina perduta, l’efficacia della sua promozione che in breve tempo ha saputo far conoscere le particolari qualità di questo dono della nostra terra e del suo territorio, coinvolgendo e aggregando buona parte del tessuto sociale, non solo agricolo, di una media comunità subalpina come è Caraglio, in provincia di Cuneo.

Aglio di Caraglio

Aglio di Caraglio

L’aglio è una pianta originaria dell’Asia centrale. Questa coltura è stata apprezzata fin dall’antichità sia come alimento per insaporire i cibi sia come pianta medicinale
Tutt’oggi l’aglio è ampiamente conosciuto, coltivato e utilizzato in tutto il mondo, anche se in maggior parte viene prodotto su piccole superfici se confrontato con altre colture agrarie. Infatti gode di una notevole attenzione proprio per le qualità sopradette.
In Italia, già nel Medioevo esistevano dei bandi campestri in cui si obbligavano le famiglie a coltivarlo nel proprio orto, perché ritenuto utile per le sue proprietà terapeutiche.
Attualmente, la Cina ne è il primo paese produttore al mondo. A lunga distanza segue l’India, la Corea e la federazione Russa.
In Europa il principale paese produttore di aglio è la Spagna seguita dalla Romania e dall’Italia.
Secondo i dati ISMEA (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare) nel primo trimestre 2014 in Italia il prezzo all’origine mostra un’elevata volatilità. Il livello risulta influenzato dall’andamento del mercato internazionale.
In Spagna, le quotazioni all’origine sono meno volatili ma mostrano comunque forti variazioni tra un anno e l’altro.
In Francia, le quotazioni all’ingrosso del prodotto di origine francese seguono fedelmente quelle dell’aglio di origine iberica.
Il trend dell’esportazione italiano è positivo: negli ultimi anni è cresciuta anche la propensione all’export (rapporto tra spedizione e produzione) raggiungendo il 42%. Il grado di copertura (export/import) indica una sproporzione tra export e di import.
La grande distribuzione territoriale dell’aglio, nonostante la sua secolare storia ha fatto si che nel tempo si siano differenziati numerosi ecotipi locali, ciascuno con proprie peculiari caratteristiche: uno di questi è l’aglio di Caraglio.

La storia dell’aglio di Caraglio

La storia dell’aglio di Caraglio, chiamato localmente Aj ‘d Caraj,  è l’esperienza della mia famiglia. La coltivazione dell’aglio a Caraglio era confinata negli orti famigliari, nelle vigne della zona della collina del Castello e altre zone limitrofi. La produzione in eccesso veniva venduta nei mercati contadini di un tempo. Purtroppo le vigne, che nel passato avvolgevano tutta la collina e gran parte della pianura ai suoi piedi, per varie cause come il benessere e l’emigrazione dei contadini verso le fabbriche (redditi più sicuri e stabili) nonché per le difficoltà logistiche di coltivazione date dalla localizzazione dei terreni in luoghi difficili, vennero abbandonate, divelte e lasciate alla mercé  della natura. Con loro sparirono anche le coltivazioni intercalari quali, appunto, l’aglio, la lenticchia.
Poi, come è risaputo, l’aglio degenera rapidamente se coltivato senza rotazione agraria e nel medesimo terreno per più anni: una pratica anch’essa abbandonata.
Infine dell’aglio di Caraglio, sino a circa dieci anni fa, veniva ricordata solo più una conosciutissima filastrocca popolare che veniva rivolta, con ironia, verso questo paese e i suoi abitanti (a Caraj l’an piantà ij aj, l’an nen bagnaj e ij aj son secaj (a Caraglio hanno piantato l’aglio, non lo hanno bagnato e l’aglio è seccato), fondata sulla rima tra il nome della popolare erba aromatica e il piccolo paese di Caraglio.
Ma tutto questo non venne mai  collegato alla sua passata coltivazione ortense. Fino a quando, un giorno, durante una chiacchierata con un agricoltore caragliese, sulla bontà delle vecchie e tradizionali coltivazioni, citò della conosciuta delicatezza e, nel contempo, aromaticità e dolcezza dell’aglio di Caraglio. Nel tardo autunno del 2003 si è iniziata la coltivazione sperimentale per capire e verificare quanto si era recepito dalle varie testimonianze ormai sfumate dall’oblio del ricordo.
I risultati furono da subito incoraggianti. Il terreno locale, fresco e povero di solfati e le condizioni climatiche date dalla immediata vicinanza delle montagne donano all’aromatico bulbillo caragliese le peculiarità sopracitate.
Da quel primo, casuale accenno durante una chiacchierata, comincia quindi la storia di quello che oggi può essere considerato uno dei fiori all’occhiello della produzione agricola caragliese.

Le fasi del processo produttivo:

La Coltivazione

La coltivazione dell’aglio di Caraglio prevede una rotazione quadriennale del terreno: il terreno coltivato ad aglio per un anno dovrà poi ospitare per i quattro anni successivi altre coltivazioni o esser lasciato incolto.
Tale tecnica è fondamentale per la buona riuscita del raccolto sia in termini qualitativi sia quantitativi. Il Consorzio ha promosso antiche colture intercalari tradizionali come l’ antica patata piatlina e la ciarda, le lenticchie, il “barbarià” (coltivazione mista di 60% di grano e 40% di segale da cui si ricava l’omonima farina), e le antiche qualità di mais.
La coltivazione dell’aglio si sviluppa in un periodo “morto” per l’agricoltura: nei mesi di ottobre e novembre, dove si procede con la “spicchiatura” dell’aglio e l’impiantamento dei bulbi.
La coltura sviluppandosi nei mesi freddi non richiede particolari attenzioni, irrigazione, né trattamenti antiparassitari e quindi ben si presta a metodi di coltivazione biologici.

La Raccolta

Il momento più impegnativo di tutto il ciclo produttivo è sicuramente la raccolta. La raccolta dell’aglio avviene nel mese di giugno in coincidenza con la festività di San Giovanni ossia il 24 giugno.
L’aglio una volta estirpato viene appeso e fatto essiccare al sole. Il bimestre estivo di riposo (giugno-agosto) destinato all’essiccazione naturale ne decreta la differenza qualitativa: pur perdendo metà del peso iniziale, i bulbi si stabilizzano in modo permanente, secondo il tradizionale sistema di conservazione.
Successivamente viene selezionato in base al calibro e gli verrà sottratto il suo primo rivestimento in modo da renderlo pulito. Verrà poi confezionato attraverso la realizzazione manuale delle tipiche trecce o dei mazzetti da 3 o 5 teste. I soci sono ad oggi una ventina e producono globalmente un raccolto annuale medio di 230 quintali.

Essiccazione naturale dell'Aglio di Caraglio
Essiccazione naturale dell’aglio di Caraglio

La Vendita e trasformazione del prodotto

La vendita dell’aglio di Caraglio avviene prevalentemente tramite le fiere. Maggior parte dei produttori preferiscono la vendita diretta proprio per far conoscere, e descrivere alla clientela la storia di questo interessante bulbo. Oltre alle fiere, l’aglio si può acquistare presso dei negozi, ai quali i produttori lo vendono. Naturalmente per essere produttori e poi per poter vendere l’ aglio bisogna essere iscritti a qualche sindacato agricolo, oppure essere un “imprenditore agricolo” e quindi essere in possesso di una Partita Iva.
Il regolamento stabilisce anche i prezzi a cui deve essere commercializzato l’Aj ‘d Caraj: 7 euro al kilo per l’ingrosso (rivenditori, trasformatori e ristorazione) e 10 euro per la vendita al consumatore (ora 13 euro).
Ad oggi, nel consorzio sono presenti quattro aziende agricole con certificazione Biologica,alcune di esse trasformano il prodotto producendo creme, olio e salearomatizzato, aglio essiccato.

Analisi Economica del prezzo dell’aglio riferito ai costi di produzione e vendita, raffrontato con altre produzioni convenzionali

Il tipo di coltivazione, la resa produttiva, le operazioni di raccolta, conservazione e pulitura, la promozione e la commercializzazione sono fattori che influiscono decisamente sul prezzo di vendita dell’aglio di Caraglio. La tecnica di coltivazione adottata dal consorzio è di tipo tradizionale – biologico ed è indicata da un apposito disciplinare approvato e sottoscritto dai soci coltivatori.
Ed è improntato su un approccio più armonico con l’ambiente e con la tradizione, quindi senza uso di fitofarmaci, diserbi chimici e concimazioni sintetiche, tipiche dell’agricoltura convenzionale (peraltro ammessa dalla legislazione). Una tecnica, quest’ultima che abbatte notevolmente i costi di produzione, con basso impiego di manodopera e, paradossalmente, agrofarmaci meno costosi perché più concentrati e di rapido impiego e ancora con concimazioni chimiche mirate, quindi più prontamente assimilabili e più efficaci, tuttavia influenti sulla qualità del prodotto. Per cui il costo di produzione risulta incisivamente condizionato.
Come resta, conseguentemente, condizionata la resa di produzione proprio per il carattere tradizionale di coltivazione che si assomma al tipo di terreno dell’areale caragliese e del suo clima , tipico delle zone pedemontane, ma peculiarmente ricco di calcare e povero di zolfo (elemento che influenza marcatamente sulla “piccantezza” dell’aglio), tuttavia poco fertile.
Una resa che si attesta sul 50-60% di una coltivazione “aglicola” convenzionale in zone più fertili.
In più, nella coltivazione dell’aglio di Caraglio operata dai soci del consorzio, viene imposta, come da disciplinare sopra citato, una rotazione agraria quadriennale. Cioè il terreno che ha ospitato l’aglio deve seguire un ciclo quadriennale di coltivazioni diverse al fine di renderlo sano e fertile per il suo futuro reimpiego. Questo comporta una limitazione alla coltura aziendale dell’aglio, peraltro anch’essa prevista dal disciplinare per evitare produzioni estensive difficilmente controllabili e gestibili a rischio della qualità, della tracciabilità e della trasparenza. Una limitazione che aumenta indirettamente il costo di produzione.
Inoltre un agronomo “super partes” appositamente incaricato e retribuito controlla la corretta applicazione del disciplinare e provvede al campionamento “una tantum” del prodotto coltivato per verificare la salubrità di questo bulbo. Analisi a spese del produttore.
La raccolta è sostanzialmente manuale e onerosa come è onerosa la conservazione naturale del prodotto eseguita mediante la creazione di graticci (pendeis) e rastrelliere su cui vengono appesi o posti i mazzi d’aglio appena raccolti e lasciati asciugare per mezzo del circolo d’aria naturale.
L’aglio, in questo modo, dopo circa un mese perde una buona parte di umidità rendendolo perfettamente conservabile.
Per la vendita l’aglio viene mondato dalle tuniche superficiali, le radici vengono pareggiate e si procede alla produzione di piccoli mazzetti o trecce applicando la relativa etichetta recante il logo del consorzio, il nome del produttore, l’anno di raccolta e, naturalmente, la tipologia.
Nel contempo si procede alla promozione dell’aglio di Caraglio.
Sono stati istituiti due siti web promozionali: uno riguarda il consorzio di tutela (www.consorziodellagliodicaraglio.it) , l’altro riguarda la confraternita dell’aglio di Caraglio (www.confraternitadellagliodicaraglio.it) nata per gemmazione, nel 2008, dal consorzio e si occupa dell’aspetto culturale, gastronomico e ludico relativo all’aglio di Caraglio. Alcuni soci hanno un loro sito web. Si svolgono due manifestazioni promozionali, gestite e sostenute dal consorzio, dalla confraternita e dalla pro-loco locale, nel corso dell’anno: la festa dell’aglio nuovo a luglio per festeggiare il raccolto e Aj a Caraj – quando la festa sa di aglio, molto partecipata, che si svolge da 12 anni sempre la terza domenica di novembre.
La promozione si svolge anche con la commercializzazione che avviene, principalmente su mercati tipici che si svolgono nel territorio regionale ed extraregionale tramite la vendita diretta, la spiegazione del prodotto e la pubblicità tramite striscioni identificativi del consorzio. Anche le interviste televisive, radiofoniche e giornalistiche incidono nella promozione però con costi e impegno elevati.

In sintesi:
E’ evidente che la produzione dell’aglio di Caraglio ha alti costi, soprattutto di manodopera e di commercializzazione diretta (spese di viaggio, plateatico, iscrizione, fattore presenza visitatori, confezionamento, ecc.) tuttavia ha il vantaggio di un buon margine di guadagno che permette un’importante integrazione economica al bilancio delle piccole aziende, tipiche della zona montana e pedemontana, caratterizzata da minimi appezzamenti, per di più frazionati, con poca e difficile meccanizzazione e di tipo famigliare. Difficilmente sfruttabili differentemente e in modo conveniente.
Anche se impegnativa è una coltivazione di facile attuazione, alla portata di qualsiasi età e che si adatta bene su terreni marginali e non irrigui.
Terreni rivalorizzati, che, diversamente, rimarrebbero di scarso interesse agrario.
Inoltre, e non per ultimo, è un prodotto di particolare qualità che lo differenzia da altre produzioni “aglicole”, che lo rende ricercato dai consumatori ed è motore di promozione anche del territorio, creando attrazione verso il paese, stimolando turismo paesaggistico, culturale e di interesse nei confronti di altri prodotti locali, non solo agricoli.
L’aglio di Caraglio ha creato un circolo virtuoso che ha coinvolto l’intero paese , nelle varie figure e nelle varie attività, sia economiche (ristorazione, commercio, agricoltura) che di rappresentanza (è logo della locale squadra di calcio) . Può, inoltre, considerarsi un esempio di importante opportunità e realtà economica, nata con le proprie forze , dalla tradizione, identificandosi nel suo territorio e sviluppandosi con una promozione innovativa e moderna, fatta con il contatto diretto e mediatico tra produttore-consumatore.
A tal proposito da alcuni mesi, all’entrata di Caraglio, sotto il cartello stradale che porta il suo nome, appare la scritta :” Caraj sità dl’aj” – Caraglio città dell’aglio accompagnato dal logo comunale e dal logo della confraternita.

I principali strumenti di valorizzazione

La nascita del “ Consorzio di promozione, tutela e valorizzazione”

Il progetto di riscoperta, recupero e valorizzazione dell’aglio di Caraglio è stato ufficializzato il 23 luglio del 2008 con la creazione del Consorzio di promozione, tutela e valorizzazione dell’ aglio di Caraglio con finalità promozionali, gastronomiche e  culturali.
Lo stesso ha adottato un disciplinare composto da 27 articoli, approvato dall’assemblea dei soci che impone una coltivazione in armonia con l’ambiente, senza diserbo chimico, limitata nei confini territoriali di Caraglio, allo scopo di fornire un prodotto sano, puro, rispettoso dell’ambiente e dei consumatori.
Vi è stabilito innanzitutto che l’area di produzione dell’Aj ‘d Caraj comprende il territorio del comune di Caraglio e parte di quelli confinanti di Bernezzo, Cervasca, Cuneo, Valgrana, Montemale, Dronero e Busca “per non oltre 200 metri dal confine caragliese”. 
Il disciplinare regolamenta anche le modalità di selezione dei semi e la gestione delle colture: per evitare problemi di produzione e di qualità legati ad inquinamento parassitario del terreno, deve avere obbligatoriamente una rotazione quadriennale.
Per poter ottenere anche una protezione giuridica del marchio “Aj ‘d Caraj” occorre avere le prove che i soci rispettino effettivamente la disciplina stabilita dal regolamento. Ed è per questo che ne l consorzio è affidato, ad un agronomo, il compito di eseguire controlli a sorpresa presso i produttori per verificare il rispetto della disciplina del Consorzio. Nel caso di irregolarità, l’assemblea dei soci potrà comminare sanzioni (fino all’espulsione) ai produttori inadempienti o perseguire chi si fregia illegittimamente del marchio “Aj ‘d Caraj”.

Il marchio del consorzio
Per valorizzare l’aglio di Caraglio quindi per dargli maggior pregio e renderlo preferito, da parte dei consumatori, anche a costo più elevato nei confronti dell’altro aglio in commercio, il consorzio si è dotato di un apposito marchio che lo qualifica ed identifica. Un marchio, nelle aspettative, in grado di trasmettere al consumatore un messaggio esclusivo dì un prodotto realizzato secondo dei criteri ben definiti da un disciplinare di produzione, concordato e condiviso dai soci.
Un disciplinare rivolto alla qualità, già favorevolmente condizionata dai benefici del peculiare ambiente pedoclimatico, incontaminato perché al fondo di una piccola valle chiusa, poco abitata e non industrializzata, in armonia con la tradizione contadina, il territorio, la natura, il gusto e la collettività. Caratteristiche opportunamente comunicate attraverso la promozione diretta e mediatica.
Peraltro tale valorizzazione è portatrice anche di benefit verso il suo territorio il quale viene positivamente pubblicizzato diventando motore turistico e vantaggiosa riconsiderazione economica delle zone coltivabili ma anche marginali.
Il marchio adottato, nei suoi colori, ricorda la calda campagna estiva. Lo spicchio d’aglio, stilizzato, centrale, di tonalità solare, chiara e sincera, nella sua forma riporta la C di Caraglio. La forma quadrata da il senso di unità e protezione (tutela). Le scritte: una in italiano (aglio di Caraglio) e l’altra in lingua locale piemontese (Aj ‘d Caraj) rappresentano il legame con il suo territorio e la sua cultura ma anche la pluralità sociale dei suoi attori.
Il marchio è stato depositato presso l’ufficio preposto della Camera di Commercio, Artigianato, Agricoltura di Cuneo nel 2008.

Il QR-code
Nel 2013 il consorzio dell’ aglio di Caraglio ha adottato il codice QR, un metodo di trasparenza e tracciabilità con la quale il consumatore può essere informato sull’ origine, sul tipo di coltivazione e sui produttori.
Il QR è un codice a barre bidimensionale formato da moduli neri inseriti all’interno di uno schema di forma quadrata. Possono contenere sia indirizzi internet, che testi, numeri di telefono. Sono leggibili da qualsiasi telefono cellulare e smartphone munito di un apposito programma di lettura.
In sintesi questo strumento consente di racchiudere in un piccolo codice i dati del Consorzio che è possibile decodificare attraverso un semplice software come il cellulare.
Il QR-Code rappresenta un nuovo strumento innovativo di marketing a tutti gli effetti, utilizzabile per comunicare con i propri clienti attuali e potenziali. Un sistema di etichettatura digitale volto a combattere la contraffazione dei prodotti .

Qr code dell'Aglio di Caraglio

Le strategie di valorizzazione

Prodotto Agroalimentare Tradizionale

Con il termine “prodotti tradizionali” s’intendono quei prodotti agroalimentari le cui metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura risultano consolidate nel tempo sul proprio territorio in maniera omogenea e secondo regole tradizionali e protratte nel tempo, comunque per un periodo non inferiore ai venticinque anni.
Questi prodotti, che possono essere oggetto di valorizzazione e di deroghe riguardanti l’igiene degli alimenti consentite dalla regolamentazione comunitaria, vengono individuati dalle Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano che ne accertano i requisiti e comunicano annualmente al Ministero per le politiche agricole il proprio elenco dei prodotti agroalimentari definiti “tradizionali”, al fine della pubblicazione dell’elenco nazionale.

L’inserimento di un prodotto nel predetto elenco nazionale non è costitutivo di diritti conseguenti alla pubblicazione e l’eventuale riferimento al nome geografico non costituisce riconoscimento di origine o provenienza del prodotto dal territorio stesso (come per le produzioni a denominazione di origine).
Il nome di ciascun prodotto però, o il suo eventuale sinonimo o termine dialettale, a decorrere dalla data di pubblicazione dell’elenco nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, non può costituire oggetto di deposito o di richiesta di registrazione, ai sensi della vigente normativa comunitaria e nazionale sulla proprietà intellettuale e industriale. (da agripiemonte.it).
Tuttavia diventa un buon strumento di valorizzazione in quanto l’inserimento del prodotto nell’elenco nazionale (consultabile pubblicamente sui vari siti istituzionali agroalimentari – es. Regione Piemonte- Ministero delle Politiche Agricole e Forestali) dei prodotti tradizionali italiani, ne conferisce allo stesso un requisito di qualità accertabile dal consumatore, dato da una rigida procedura d’indagine attuata da enti o esperti riconosciuti, incaricati dalla pubblica amministrazione (Regione).
Anche se, al momento, non esiste ancora una certificazione “PAT” garantita dalla Regione Piemonte. Ma quando esisterà tale certificazione (è in corso l’iter di richiesta presso la Comunità europea) l’etichettatura del prodotto PAT CERTIFICATO sarà riconoscibile perché sarà presente sulla confezione:

  • l’indicazione P.A.T CERTIFICATO che garantisce la conformità ad un determinato disciplinare di produzione;
  • due caratteristiche di produzione oggetto di controllo che il singolo produttore riterrà interessanti per il mercato (es. fatto a mano, ecc…);
  • il luogo di provenienza specifico (es. prodotto a ….);
  • esclusivamente per i prodotti ottenuti all’interno del territorio regionale la dicitura “Prodotto in Piemonte” con il logo identificativo PAT;

Può comunque, già da ora, essere indicata, sul materiale informativo, la dicitura: P.A.T. “Prodotto inserito nell’Elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali”, con notevole vantaggio promozionale e di conseguenza valorizzante.

Condotta Slow Food

Nel 2011 il consorzio dell’aglio di Caraglio viene riconosciuto Comunità del Cibo di Terra Madre con la presenza di un suo rappresentante nel comitato di Condotta Slow Food – Cuneo e le sue Valli.
E’ un importante riconoscimento, dato dall’affinità di pensiero con i principi fondamentali (sano, pulito e giusto) dell’importante sodalizio conosciuto ed apprezzato in tutto il mondo. Ed ha un grande impatto promozionale e valorizzante nei confronti del consumatore attento alle produzioni di qualità , quindi disposto a pagare quel di più relativo alla maggior attenzione nei riguardi della eco-sostenibilità, dell’equità, del solidale, della preservazione del territorio e delle sue tradizioni e/o tipicità locali.

Conclusione

Questa trattazione  descrive un metodo virtuoso ed efficiente  di promozione, sviluppo e valorizzazione di un prodotto tipico locale di cui si era  quasi persa la memoria  e ricordato solo più nel  folclore paesano.
Un metodo, un percorso che ha preso in considerazione la ricerca storica svolta attraverso le rare testimonianze tramandate oralmente, la reintroduzione e la constatazione dell’effettiva, particolare, qualità dell’aglio prodotto in questo areale, lo sviluppo reale, in campo, della sua coltura, la  quale era ormai relegata in piccolissime quantità e in pochi orti.
Un percorso, non privo di difficoltà e di scetticismo iniziale ma, allo stesso tempo, coinvolgente per il sentimento della sua positiva potenzialità economica agricola, di aggregazione sociale e di attrazione turistica del suo territorio di elezione, nonché  di valorizzazione  dei terreni, specialmente quelli marginali e non irrigui.
Tuttavia questo percorso non è terminato.
Infatti continua la promozione con progetti didattici rivolti a far conoscere “l’esempio aglio di Caraglio” agli studenti delle scuole sia primarie che, specialmente, quelle tecniche nonché universitarie.
A questo proposito già l’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, da due anni a questa parte, nei suoi programmi di stage formativi, visita aziende del Consorzio dell’aglio di Caraglio.
Altro proposito in itinere è l’inserimento di queste aziende nei circuiti turistici al fine di far conoscere l’evidente stretto rapporto armonico tra prodotto e territorio. Un territorio praticamente incontaminato perché ai piedi di una piccola valle naturale, non industrializzata e poco abitata.
Proposito importante, per lo sviluppo del Consorzio e di riflesso della coltura, è l’approdo alla GDO (Grande Distribuzione Organizzata) di qualità tramite il supporto o l’intesa con cooperative agricole di distribuzione già inserite in quei circuiti.
Poi il proseguimento e la continua ricerca di eventi promozionali di alto livello, anche internazionali, (Salone del Gusto, Cibus, ecc) senza dimenticare la presenza territoriale presso i mercatini tipici popolari.
Infine, per adesso, e non ultima è la conclusione del non facile iter per l’ambizioso passaggio da Comunità del Cibo a Presidio Slow Food, il quale darà notevole impulso valorizzativo e promozionale verso questo prodotto della nostra terra perché universalmente riconosciuto severo, garante dei principi fondamentali sintetizzati nell’intento principe del Buono, Pulito e Giusto.
L’orizzonte è ampio, l’ idea è di un prodotto “glocal”: avvincente, probabilmente vincente.

 

Bibliografia
http://www.consorziodellagliodicaraglio.it/consorzio/il-consorzio
http://www.consorziodellagliodicaraglio.it/consorzio/lo-statuto
http://www.piemontemese.it/pm_archivio.asp?articolo=1432&archivio=2012_04&offset=0
http://www.slowfoodpiemonte.com/condotte.php?idcondotta=11#
“Prodotti tipici e denominazioni geografiche: strumenti di tutela e valorizzazione“ di F. Arfini, G. Belletti e A. Marescotti.
http://www.piemonteagri.it/qualita/sistemi-di-qualita/pat
http://www.confraternitadellagliodicaraglio.it/
http://www.freshplaza.it/article/62326/Resoconto-del-primo-Congresso-Internazionale-dellAglio
http://www.freshplaza.it/article/63975/Aglio-Italia-dipendente-dal-prodotto-dimportazione,-ma-con-trend-positivo-delle-esportazioni

Sintesi della tesi di laurea di Chiara Alciati – “Analisi della filiera dell’aglio di Caraglio”
Relatore: Prof. Giovanni Peira
Facoltà di Economia – Corso di Laurea Triennale in Economia e Gestione delle Imprese
E-mail: Chiara.alciati@libero.it

 

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