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di Paola Soldi

Distillare è bello. Prima di tutto, perché è un mestiere lento, filosofico e silenzioso. Poi, perché comporta una metamorfosi: da liquido a vapore (invisibile) e da questo nuovamente a liquido; ma in questo cammino, all’in su ed all’in giù, si raggiunge la purezza… ” (Primo Levi)

L’autunno è la stagione del vino, ma anche di quella profumata bevanda alcolica, tutta italiana, che si chiama grappa. E’ dal 29 maggio 1989, con il regolamento CEE n. 1576/89, che la parola “grappa” è riservata unicamente all’acquavite di vinaccia prodotta in Italia da vinacce italiane, un’appartenenza totale al nostro Paese ribadita anche con il regolamento CEE n. 110/200, che porta con sé un immenso patrimonio di cultura e di storia. Dietro a questo termine, infatti, ci sono secoli di storia e di attività contadina, quando, nella povertà, si trovava il modo di non sprecare nulla e recuperare anche la vinaccia, ossia lo scarto del vino fatto di bucce e vinaccioli. Ed è proprio per recuperare la vinaccia che gli italiani hanno ideato apparecchi diversi dal resto del mondo.
Ancora oggi le distillerie italiane lavorano con strumenti che non hanno nulla a che vedere con i distillatori degli altri Paesi, dove si parte da materie liquide. La vinaccia, invece, è solida, anche se viene estratta fresca e grondante dalla fermentazione del mosto, e ha bisogno di particolari attenzioni. Per questo motivo, esistono le “caldaiette a vapore”, invenzione tutta italiana, e viene applicata la distillazione a “bagnomaria”.

La vinaccia
Vinaccia

La distillazione è un processo di concentrazione necessario per produrre una bevanda alcolica ad elevato tenore di alcol. Con qualche eccezione, i fermenti (Saccharomyces cerevisiae) non sopravvivono oltre 14-17 gradi alcolici ed è impensabile raggiungere gradazioni elevate con la sola fermentazione. Come Primo Levi indica poeticamente, la distillazione si basa sul riscaldamento della massa alcolica a bassa gradazione – la vinaccia ha circa 4-5 gradi alcolici – seguita da un successivo raffreddamento. Questo fa sì che il vapore, sprigionato al punto di ebollizione dell’alcol, ritorni liquido quando incontra l’acqua fredda del refrigerante, ma è concentrato.
Il processo inizia fornendo calore e l’alcol, al momento in cui raggiunge la propria temperatura di ebollizione, inizia a evaporare trascinando con sé anche un po’ di acqua ma è più concentrato rispetto al liquido di partenza e, raffreddandosi, dà luogo a un liquido con una concentrazione alcolica superiore. Se questo processo viene ripetuto più volte, il liquido si concentra sempre di più, fino a ottenere una miscela di elevato tenore alcolico, la “purezza” ricercata dagli antichi alchimisti medievali e l’”essenza” rarefatta che si confondeva con l’aria raggiungendo la perfezione. Oggi non si distilla più con molte distillazioni successive, chiamate anche “cotte” – il medico medievale Michele Savonarola ne indicava 10 come numero perfetto – e si ricorre alle “colonne di distillazione”, al cui interno i vari piatti formano degli schermi simili a tante distillazioni successive.

Distillazione
Distillazione

La grappa, però, non può essere un alcol in purezza e qui sta tutta l’esperienza, la bravura e la storia della distillazione alcolica italiana. La grappa, infatti, esce da una distillazione “imperfetta”, necessaria per mantenere nel distillato i profumi e la ricchezza sensoriale che si trova nella massa fermentata. Ecco allora che un po’ di “testa” – ossia gli scarti dove si accumula il metanolo – si unisce con la “coda” – gli scarti dove si mescolano alcoli a lunga catena, aggressivi e narcotici, ma anche oli e molecole odorose importanti. A confermare tutto questo è la normativa che regola la produzione di distillati alcolici e che permette la presenza di metanolo nel prodotto finito. Qui, ancora una volta, si misura l’esperienza e non è un caso che i distillatori italiani siano famiglie che si tramandano il mestiere, e soprattutto la passione, di generazione in generazione.
Perché un distillato di vinaccia possa chiamarsi “grappa”, deve avere un minimo di tenore alcolico pari al 37,5% vol, come stabilisce la normativa. Non c’è un limite superiore e si trovano grappe superbe anche a 50, 60 e 70 gradi alcolici. Inoltre, è previsto che il tenore massimo di metanolo nella grappa possa essere di 1.000 grammi per ettolitro di alcol a 100% vol.; che non possa uscire dall’alambicco sopra 86% vol. e che debba avere un tenore di sostanze volatili pari o superiore a 140 grammi per ettolitro di alcol a 100 % vol.
Questi tre limiti indicano che il distillatore non può estrarre alcol puro dall’apparecchio, in quanto deve stare sotto 86% vol.; che il prodotto può avere un po’ di metanolo e che deve mantenere nella massa distillata le sostanze volatili, ossia quelle che caratterizzano l’esperienza sensoriale nella degustazione di un distillato.
Quando portiamo al naso il bicchiere, sentiamo un’esplosione di profumi che invade i nostri organi sensoriali e quando la assaporiamo e deglutiamo ci colpiscono altre sensazioni aromatiche. Queti profumi e aromi non sono dati dall’alcol etilico, che in purezza è poco odoroso, ma, piuttosto, dalle “parti volatili”, molecole che si trovano in tracce e che il nostro bulbo olfattivo è in grado di percepire in parti per milione. E’ così che il sangiovese contiene profumi di piccoli frutti di bosco, il moscato ha preponderanti note floreali, il traminer uno sfacciato aroma di rosa. Il merito è proprio delle infinitesime molecole trascinate dalla vinaccia fermentata nella distillazione e, soprattutto, trattenute dentro il liquido dal sapiente equilibrio che il distillatore sa mantenere. Non resta che invitarvi a degustare il distillato italiano, scoprendo uno dei prodotti simbolo dell’Italia.

Bicchiere per la degustazione
Bicchiere per la degustazione della grappa

Paola Soldi, laureata in chimica, è presidente della Federazione Anag, Associazione assaggiatori grappa ed acquaviti dal maggio 2014, dopo essere stata, in precedenza, presidente regionale della delegazione Toscana. Negli anni di attività all’interno di Anag è stata coordinatrice della Commissione scientifica, ha fatto parte della Commissione didattica elaborando i testi per i corsi di degustazione dell’associazione e ancora oggi insegna ai corsi di primo e secondo livello per i soci, a quelli più specifici per i relatori e prepara i testi per l’aggiornamento dei relatori ufficiali Anag.
Sito Anag
: http://www.anag.it/

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